Nuovi negoziati tra Israele e Palestina?
Li ha annunciati il segretario di Stato USA John Kerry: il primo incontro sarà a Washington tra due settimane, ma ci sono ancora diversi ostacoli
Venerdì 19 luglio il Segretario di Stato americano John Kerry ha annunciato che Israele e lo Stato di Palestina hanno raggiunto un accordo di base per riprendere i colloqui di pace che si erano fermati nel 2010 a causa del rifiuto del governo israeliano di sospendere la costruzione di nuovi insediamenti in Cisgiordania. Kerry ha detto che i primi colloqui si terranno a Washington, negli Stati Uniti, nel giro delle prossime due settimane.
Da una settimana il Segretario di Stato americano si trova in Cisgiordania, a Ramallah: ha incontrato per tre volte il presidente palestinese Mahmoud Abbas e telefonato al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Giovedì 18 luglio anche il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha chiesto al primo ministro israeliano di continuare a collaborare, ha fatto sapere un portavoce della Casa Bianca. L’accordo è stato promosso anche dalla Lega Araba, l’organizzazione politica internazionale composta dagli stati del Nordafrica, del Corno d’Africa e del Medio Oriente. L’inviato palestinese sarà Saeb Erekat mentre quello israeliano Tzipi Livni, ex ministro degli Esteri.
Come parte dell’accordo, il governo israeliano ha annunciato oggi che rilascerà alcuni prigionieri palestinesi: Yuval Steinitz, ministro per le Relazioni internazionali, ha detto che si tratta di prigionieri “importanti”, in carcere da decenni. Parlando alla radio pubblica israeliana, il ministro ha spiegato che come controparte di questo accordo il presidente palestinese Abbas si è impegnato a portare avanti “seri negoziati”, per un minimo di nove mesi. Ha confermato inoltre la posizione del governo sugli insediamenti: «I negoziati non si baseranno su una ridefinizione dei confini o su delle concessioni da parte di Israele, né sul congelamento degli insediamenti».
Il problema degli insediamenti israeliani in Cisgiordania rimane l’ostacolo principale per i colloqui di pace: il presidente palestinese ha detto che Israele deve fermarne la costruzione prima di iniziare la trattativa. Mercoledì 17 luglio il governo israeliano aveva approvato la costruzione di più di 700 nuove case a Modiin Ilit, tra Gerusalemme e Tel Aviv: dal 1967 a oggi Israele ha costruito più di cento insediamenti tra la Cisgiordania e la zona est di Gerusalemme, dove vivono attualmente circa 500 mila cittadini israeliani.
Inoltre, il governo israeliano ha protestato contro la decisione dell’Unione Europea di vietare finanziamenti ad associazioni che operano nelle colonie dei territori occupati: «L’Unione ha pubblicato un documento che ribadisce la posizione secondo la quale gli accordi bilaterali con Israele non riguardano i territori caduti sotto amministrazione israeliana nel giugno 1967», ha scritto in un comunicato Catherine Ashton, l’Alto rappresentante per la Politica Estera dell’Unione Europea.
C’è anche un’altra questione che fino a oggi ha rappresentato un ostacolo per un accordo: i palestinesi hanno sempre chiesto – e continueranno a farlo – che i colloqui si basino sui confini esistenti tra il 1949 e il 1967, cioè prima che Israele occupasse la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e la zona est di Gerusalemme. In Palestina rimangono poi forti divisioni tra il movimento politico-militare di Hamas – che controlla la Striscia di Gaza e ha detto di essere contrario ai colloqui di pace – e Fatah, il partito del presidente Abbas che controlla la Cisgiordania.
Foto: John Kerry e Mahmoud Abbas (AP Photo/Fadi Arouri, Pool)