Le ultime sul caso Shalabayeva
Nuovi documenti di polizia mostrano ulteriori invadenze dell'ambasciata kazaka e sudditanze del Ministero dell'Interno: e l'ONU ha protestato
Venerdì 19 luglio Corriere della Sera e Repubblica, citando gli atti allegati all’inchiesta condotta dal capo della polizia Alessandro Pansa sull’espulsione di Alma Shalabayeva e della figlia di 6 anni Alua – rispettivamente moglie e figlia dell’oppositore politico kazako Mukhtar Ablyazov – hanno rivelato nuovi dettagli sui contatti tra i diplomatici kazaki e i funzionari italiani nelle ore successive alla prima irruzione della notte tra il 28 e il 29 maggio nella villa di Casal Palocco, nella periferia di Roma, durante la quale la polizia italiana aveva arrestato Shalabayeva.
Secondo i documenti, il 29 maggio ci sarebbe stato un incontro durante il quale l’ambasciatore kazako a Roma, Andrian Yelemessov, avrebbe “ordinato” una seconda perquisizione nella villa di Casal Palocco, nella periferia di Roma: la seconda perquisizione è poi avvenuta il 31 maggio, a due giorni di distanza dalla prima e dal fermo di Alma Shalabayeva. Dai nuovi dettagli sembrano emergere due cose nuove: che la diplomazia kazaka ha influenzato l’esito delle procedure di espulsione di Shalabayeva ancora di più di quanto già si pensasse, e che la relazione del capo della polizia Alessandro Pansa presentata al parlamento non si può definire completa ed esauriente su tutto quello che è successo.
Da capo: cosa sappiamo
La vicenda è molto complessa, e ancora difficile da ricostruire in molti suoi aspetti. Quello che si sa per certo fino ad ora è che la mattina presto del 29 maggio una quarantina di agenti della Digos ha perquisito una villa a Casal Palocco nel tentativo di individuare e arrestare Mukhtar Ablyazov, oppositore politico del presidente kazako Nursultan Nazarbayev, banchiere – già ministro in un governo di Nazarbayev – con una condanna per frode bancaria nel Regno Unito, dove aveva ottenuto la qualifica di rifugiato politico. Il giorno prima, il 28 maggio, l’ambasciatore del Kazakistan Adrian Yelemessov e il suo primo consigliere avevano incontrato al Viminale i più alti funzionari del ministero dell’Interno, tra cui il capo di gabinetto Giuseppe Procaccini. Durante la perquisizione venne fermata Alma Shalabayeva, moglie di Ablyazov.
Il video dell’arrivo di Shalabayeva e della figlia Alua all’aeroporto internazionale di Almaty dopo l’espulsione
La “seconda volta” dell’ambasciatore kazako nell’ufficio di Procaccini
Secondo quanto riportato oggi da Repubblica e Corriere, dopo il primo incontro del 28 maggio e la prima perquisizione del 29, ci sarebbe stato un secondo incontro al ministero dell’Interno tra l’ambasciatore kazako e il capo di gabinetto Giuseppe Procaccini: questo secondo incontro è una novità nelle ricostruzioni e non risulta dalla lettura della relazione del capo della polizia Alessandro Pansa presentata per la prima volta in Senato martedì 16 luglio.
Corriere e Repubblica raccontano che il 29 maggio Yelemessov avrebbe preteso una seconda perquisizione nella villa di Casal Palocco con l’impiego di strumenti più accurati per individuare un eventuale nascondiglio da Ablyazov. Per assicurarsi che la seconda perquisizione avesse esito migliore della prima e per definirne i dettagli, Yelemessov avrebbe anche inviato il suo collaboratore, Nurlan Khassen, alla sede della polizia a Cinecittà.
Anche il responsabile della segreteria del capo della polizia, Alessandro Valeri, ha confermato che la seconda irruzione nella villa di Casalpalocco, quella del 31 maggio, è stata ordinata direttamente dall’ambasciatore Yelemessov mentre si trovava nell’ufficio di Procaccini.
«Il mattino dopo, il giorno 29 intorno alle ore 7, venni informato dell’esito negativo delle ricerche. Immediatamente riferii l’esito delle ricerche al prefetto Procaccini e al prefetto Marangoni. Qualche ora dopo, in ufficio, fui riconvocato dal prefetto Procaccini perché era ritornato l’ambasciatore Yelemessov. Mi recai da lui ed il diplomatico esternò dubbi sulla efficacia dell’intervento fatto dalla polizia italiana, sostenendo che il latitante poteva essere nella villa in qualche nascondiglio appositamente realizzato».
Sebbene con alcune differenze, questa versione è confermata anche dal prefetto Gaetano Chiusolo, il capo della Direzione Centrale Anticrimine, che dice di essere stato contattato per telefono da Yelemessov per concordare i dettagli della nuova perquisizione. Riguardo alla seconda perquisizione del 31 maggio, la relazione di Pansa si limita a dire che è stata giustificata “per verificare la possibile esistenza di un nascondiglio sotterraneo”, senza citare alcun intervento dell’ambasciatore kazako.
Le versione di Procaccini
Il capo di gabinetto del Ministero dell’Interno Procaccini ha negato fino ad ora di essere stato a conoscenza del procedimento di espulsione di Alma Shalabayeva e della figlia, e di essere stato al corrente del caso solo fino all’esito negativo della prima perquisizione. In un’intervista a Repubblica lo scorso mercoledì ha detto:
Della signora Shalabayeva quando ha saputo?
“Dai giornali”.
Questo implicherebbe quindi che nell’incontro con l’ambasciatore del 29 mattina, Procaccini non abbia saputo del fermo di Alma Shalabayeva: o non ne era stato informato neanche l’ambasciatore kazako, oppure glielo avrebbe taciuto.
Il Corriere riprende anche la testimonianza dell’assistente capo Laura Scipioni, unica donna presente nello scalo dell’aeroporto di Ciampino il 31 maggio, il giorno del rimpatrio di Shalabayeva e sua figlia: Scipioni ha detto di essere stata informata dell’arrivo del console kazako e del consigliere della stessa ambasciata e poi di avere incontrato il consigliere, che con «atteggiamento preoccupato mi mostrava il biglietto da visita del prefetto Procaccini dicendo che stava cercando di contattarlo». Dopo cinque tentativi di chiamata, racconta Scipioni, il consigliere si sarebbe allontanato per parlare al telefono.
La banca dati dell’Interpol
Dalla relazione del capo della polizia Pansa si legge che Ablyazov risultava nella banca dati dell’Interpol per alcuni reati compiuti in Kazakistan, in Russia e in Ucraina. Oggi Repubblica scrive che la mattina del 28 maggio l’ufficio Interpol kazako si attivò improvvisamente per le ricerche di Ablyazov: in un rapporto consegnato al capo della polizia da Gennaro Capoluongo, funzionario della sala operativa del Criminalpol – la struttura della polizia cui fa capo la sezione italiana dell’Interpol – si legge: «Dalla data di inserimento nella banca dati del nome di Mukhtar Ablyazov, non risultava esserci stato alcun seguito sul territorio sul soggetto». Repubblica spiega che la pratica di Ablyazov era congelata, e che da diverso tempo nessuno si preoccupava di segnalare la pericolosità del sospetto: tuttavia, alle 10.15 del 28 maggio, è stata diffusa una nota che «conferma le ricerche di Ablyazov, indica le false identità utilizzate, rappresenta che la persona è ricercata anche dalla Russia e dall’Ucraina, rende noto che il soggetto possa essere a Roma, sollecita una verifica su un indirizzo in Roma».
La condanna dell’ONU
L’ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani dell’ONU, con sede a Ginevra, ha diffuso tre rapporti che chiedono che l’Italia e il Kazakistan raggiungano un accordo per un “ritorno rapido” in Italia di Alma Shalabayeva e della figlia Alua. Gli esperti dell’ONU hanno condannato l’Italia per avere eseguito una cosiddetta “extraordinary rendition”, cioè un’azione illegale di cattura/deportazione/detenzione eseguita in maniera clandestina nei confronti di una persona sospettata di essere un terrorista. «Quando sono state espulse – dice un rapporto dell’ONU – la signora Shalabayeva e sua figlia erano residenti legalmente nell’Unione Europea»; l’Italia avrebbe violato le garanzie del giusto processo e privato la madre del suo diritto di fare appello contro la deportazione e di chiedere asilo. Il rapporto dice che le autorità italiane «sembrano avere ignorato le preoccupazioni che la signora Shalabayeva poteva avere di essere perseguita, torturata o soggetta ad altre forme di maltrattamento dopo il suo rimpatrio forzato in Kazakistan, a causa dell’attività politica del marito».