L’Italia di Funari
Chissà se è cambiata. Lui però era un fenomeno, e morì oggi cinque anni fa
Il 12 luglio 2008 morì in un ospedale milanese Gianfranco Funari, a 76 anni. Era stato una parte essenziale e memorabile di un periodo televisivo-politico italiano – pur avendo avuto una carriera in tv più lunga della fase che viene sempre ricordata – e aveva anticipato con grande sincerità una deriva “popolare” della tv italiana e del suo racconto della politica, negli anni Ottanta e Novanta.
Funari parlava agli spettatori, guardando spesso in macchina e gestendo quasi da regista il rapporto con le telecamere, parlava con accento romano, usava parolacce con grande disinvoltura, trattava ospiti anche molto “importanti” come se fossero vicini di pianerottolo o in alternativa come se lui stesso fosse uno spettatore del suo programma: era un grande demagogo naturale, nel corpo di un venditore di automobili usate. Fece cose trash prima che dilagasse il trash, mescolava le domande dell'”uomo della strada” a temi di grande rilievo politico o sociale, faceva pubblicità ai prodotti più vari e quotidiani con totale sfacciataggine, tirava molto in ballo il pubblico e le “persone qualunque”. Dopo di lui quelle cose furono raccolte da conduttori e giornalisti più autorevoli da una parte, e furono sdoganate e sfruttate artificiosamente nei programmi più ordinari.
Aveva cominciato in tv a quasi 40 anni, da conduttore e cabarettista, dopo averne già fatte diverse, nella vita. Ma il suo spostamento verso i temi della politica avvenne alla fine degli anni Ottanta, poco prima che arrivassero le inchieste sulla corruzione nella politica che misero in crisi tutti i partiti di governo (e che l’indignazione degli elettori diventasse una consuetudine), prima in RAI e poi a Mediaset, con tempestosi rapporti interni in entrambi i casi. Alla fine degli anni Novanta era ancora in tv, ma erano cambiati i tempi – sia politici che televisivi – e la sua forza non fu più quella degli anni precedenti: tutto era diventato Funari.