Il discorso di Bush sull’immigrazione
L'ex presidente degli Stati Uniti si fa vedere pochissimo in giro: stavolta lo ha fatto per tentare di convincere i repubblicani a votare la riforma sostenuta da Obama
George W. Bush, ex presidente degli Stati Uniti, ha pronunciato un discorso a Dallas durante il quale ha detto di essere favorevole a riformare le politiche sull’immigrazione, appoggiando di fatto l’ambiziosa riforma approvata dal Senato statunitense il 27 giugno scorso. Bush è stato praticamente assente dalla vita pubblica americana dopo aver lasciato la Casa Bianca, al contrario di altri suoi predecessori, quindi il discorso di oggi è un’eccezione e ha ricevuto una certa attenzione dai media: lui ha precisato che non intende intromettersi nel dibattito in corso al Congresso.
Anche una settimana fa, durante un viaggio in Africa, George W. Bush aveva discusso il tema dell’immigrazione facendo cenno al percorso graduale previsto dalla riforma per dare la cittadinanza a 11 milioni di persone che oggi si trovano illegalmente negli Stati Uniti. Questa è la parte della riforma che piace molto ai democratici, e che al Senato i repubblicani hanno tollerato in cambio del rafforzamento militare del confine tra Stati Uniti e Messico, con lo schieramento di 20mila soldati e la costruzione di recinzioni per oltre 1000 chilometri (cosa che invece saranno i democratici a dover tollerare).
I deputati repubblicani, che hanno posizioni più radicali dei loro colleghi del Senato, hanno già fatto sapere però di essere contrari alla riforma così com’è: hanno detto di voler quantomeno introdurre delle modifiche eliminando soprattutto la proposta di dare la cittadinanza a 11 milioni di immigrati illegali. George W. Bush li ha invitati a cambiare posizione, raccomandando loro di mostrare uno «spirito benevolo». La necessità più importante, secondo Bush, è riformare i controlli alle frontiere. Nel suo discorso Bush ha poi sottolineato l’importanza dell’immigrazione nella storia degli Stati Uniti e ha detto che così dovrà essere in futuro: «La stragrande maggioranza degli immigrati è gente onesta che lavora duro, crede nella sua fede e conduce una vita responsabile». Bush ha parlato durante una cerimonia per attribuire la cittadinanza statunitense a venti persone.
L’atteggiamento oltranzista dei conservatori si deve anche al fatto che più del 70 per cento dei deputati repubblicani della Camera è stato eletto in collegi dove meno del 10 per cento degli elettori hanno origini latinoamericane. Anche per questo, secondo l’Atlantic, il discorso di Bush è arrivato nel giorno in cui le possibilità di successo della riforma possono essere definite praticamente “fallite”. Proprio ieri, infatti, alcuni esponenti repubblicani si sono incontrati per decidere la linea sul tema: la volontà generale è quella di voler congelare la riforma e posticiparne il dibattito, almeno fino a dopo le elezioni di metà mandato del 2014.
Il presidente della Camera, il repubblicano John Boehner, aveva già spiegato a fine giugno che il partito non vuole irritare la parte più radicale dei deputati conservatori, per non mettere a rischio la maggioranza alla Camera. Il corteggiamento degli elettori ispanici – e quindi anche il dibattito politico sulla riforma dell’immigrazione – riprenderà eventualmente quando sarà scelto il candidato per le elezioni presidenziali del 2016.
La posizione di Bush dentro al partito è oggi marginale, spiega in un articolo il New York Times, e di fatto poco influente. D’altronde anche quando era presidente, nel 2007, la maggior parte del suo stesso partito votò contro una proposta di riforma da lui sostenuta, per dare agli immigrati senza documenti il diritto di rimanere nel paese e intraprendere un percorso graduale per acquisire la cittadinanza: «L’America può essere allo stesso tempo una società in grado di accogliere gli immigrati e continuare a far rispettare le proprie leggi», ha detto Bush oggi durante la cerimonia alla Bush Institute.
George W. Bush è stato l’ultimo candidato repubblicano alle presidenziali a ottenere una fetta consistente di voti dagli elettori ispanici, sia alle elezioni del 2000 che a quelle del 2004: dopo, per via delle posizioni sempre più radicali dei candidati repubblicani, gli elettori latinoamericani hanno votato in larga maggioranza per i democratici, e lo stesso è accaduto al Congresso.
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