I bar cinesi di Milano
Nel 2007 erano 120, adesso sono 552: una crescita del 335 per cento in sei anni, e Carlo Verdelli su Repubblica ne spiega le ragioni
Carlo Verdelli racconta oggi su Repubblica come negli ultimi anni sia aumentato notevolmente il numero di bar gestiti da cinesi a Milano, passati dai 120 del 2007 agli attuali 552 (con una crescita del 335 per cento), oltre a ristoranti e centri massaggi: molto spesso sono frutto di trattative sottobanco e di soldi in contanti offerti a proprietari indeboliti dalla crisi.
Un terrestre su cinque è cinese. Un bar di Milano su cinque, pure. Anzi, un po’ di più: uno su quattro e mezzo. Nel 2007 erano appena 120. Adesso sono 522 su 2.300 totali. In sei anni, una crescita del 335%, che non ha riscontri in nessun’altra città italiana. Terzi, dopo di loro e naturalmente gli italiani, gli egiziani, con un marginale 2%. Se poi a Milano aggiungiamo l’hinterland, i piccoli bar con titolare cinese salgono a 709. Il tutto mentre nella capitale dello shopping (ex?), da gennaio a oggi hanno tirato giù la saracinesca 140 vetrine, con la prospettiva di una Caporetto entro l’anno, comparto ristorazione compresa.
Milano in saldo, con i francesi di Lvmh, colosso del lusso, che si pappano la pasticceria Cova, due secoli di storia nel quadrilatero della moda, per una cifra superiore ai 12 milioni di euro offerti e rifiutati a Prada. E con i cinesi che invece scendono a pioggia, piccole gocce da 80 a 300 mila euro.
Comprano o aprono ristoranti (e qui i prezzi salgono, fino al milione di euro): oggi sono 450 con la loro cucina, più 250 giapponesi, che di nipponico mantengono giusto il menù. Ma soprattutto collezionano, muri compresi, bar su bar su bar, a macchia di leopardo, dovunque ci sia un’occasione o un proprietario indebolito dalla crisi. Soldi in contanti (molto spesso), trattative sottobanco (molto spesso), due giorni di training per imparare l’indispensabile, e via che si parte. Un caso, un affare o una strategia?
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