Che a noi le cose facili ce fanno schifo

Uno dei momenti alti del campionato della Roma in un anno con molti bassi, nel nuovo libro di Diego Bianchi e Simone Conte

Teammates congratulate AS Roma defender Alessio Romagnoli (2nd L) after he scored against Genoa during the Italian Serie A football match AS Roma vs Genoa at the Olympic Stadium in Rome on March 3, 2013. AFP PHOTO / TIZIANA FABI (Photo credit should read TIZIANA FABI/AFP/Getty Images)
Teammates congratulate AS Roma defender Alessio Romagnoli (2nd L) after he scored against Genoa during the Italian Serie A football match AS Roma vs Genoa at the Olympic Stadium in Rome on March 3, 2013. AFP PHOTO / TIZIANA FABI (Photo credit should read TIZIANA FABI/AFP/Getty Images)

È uscito per Isbn Edizioni Kansas City 1927 Anno II. Dalla Z di Zeman alla A di Andreazzoli di Diego Bianchi e Simone Conte, con le illustrazioni di Zerocalcare. Il libro – seconda puntata di un’idea nata l’anno passato con molto successo – raccoglie le schede pubblicate ogni settimana su Facebook che descrivono le partite della Roma nel campionato 2012-2013, iniziato con grandi aspettative per il ritorno di Zeman come allenatore, proseguito con la sua sostituzione con Andreazzoli a metà campionato, e finito male con la sconfitta in finale di Coppa Italia contro la Lazio.

***

A Bomba Intelligente (Roma-Juventus 1-0)

Che a noi le cose facili ce fanno schifo.
O tutto o niente.
O vetta o abisso.
O bianco o nero.
O bianconero.

Se rivede la difesa a tre, che ignorando Genova e recuperando il precedente de Firenze ce fa soride.
Se rivede Poropiris nella difesa de cui sopra, il che trasforma il soriso in quarcosa de più simile a na mezza paresi.
«Che è oh, nsei contento? Che è quaa faccia»
«No no che scherzi, so contento, Piris è sinonimo de sicurezza, poi a tre è er suo, ce giocava da piccolo nel Rosario Fiorello Central, è solo er freddo che iriggidisce i muscoli».
È pure er giorno dell’esordio dall’inizio de Torosidis, pe l’amici Er Kierika, pei nemici Porosidis, pe noi uno che sostanzialmente deve core na cifra e nun fa cazzate.
Ma soprattuto è er giorno dell’esordio der paraculo riscaldamento a domicilio, pratica suggerita da spin doctor in pausa da campagna elettorale, che non consiste nella capillare diffusione de stufette porta a porta, ma in una serie de esercizi aerobici prepartita da svorgese sotto Mamma Curva.
Madre Sud accoje i fii scapestrati proprio come se fa cor fio che torna tardi a casa, prima mpo’ sule sue perché mpo’ te lo deve fa pesà e perché s’era preoccupata, ma poi t’abbraccia e nte lascia più, e se te molla è solo pe guardatte camminà sule zampe tue.
Ce sta Ercapitano e ce sta Capitan Pio, ce sta er Cipolla che se deve fa na cifra perdonà, ce sta Ladolescente che è l’unico che ha giocato bene na settimana fa, ce sta Bosnia Capoccia e ce sta Franco, l’unico che non teme fischi.

I segnali ce stanno tutti. Ma noi de segnali positivi e de relative disillusioni ce venimo ar mondo e ce crepamo ner giro de 24 ore da secoli, quindi il tutto rimane confinato a un diffuso e malcelato senso de vago ottimismo da tené er più possibile a bada.
Se parte e quello che de solito viene accompagnato co na vena de insofferenza assurge a motivo de speranza ner domani, co discrete prospettive pure pe er dopodomani: «Ao, 10 minuti e stamo ancora zerazzero».
Memori dell’andata, dopo artri 10 a reti imbiancate stamo carichi. «Ao 20 minuti e niente massacro! Daje!» Anche perché er nemico a strisce schierato oggi nun pare animale feroce ma bestia domestica, che po comunque esse un discreto dito ar culo, ma quantomeno nte lascia co la panza sgarata in mezzo ala savana.
Anzi, de sgarato, dopo 18 minuti, ce sta solo lo stinco delo svizzero meno neutro sgravato dale mucche viola, quello cor nome da sussidiario de geografia (e comunque prima o poi ci andremo a Vaduz, armeno pe vedé se esiste davero) che capisce tosto l’ammonimento da ammonizione de Capitan Palloppiede.
Noi semo puliti, quadrati, ordinati, precisi quanto lo po esse un naufrago che ha toccato tera pe grazia ricevuta, discretamente propositivi, mai veramente pericolosi, ma manco mai in vero pericolo.
Ovviamente, manco er tempo de dillo, ma anche solo de permettese de pensallo, e il pericolo se manifesta.
Punizione dala mattonella de Pirlo.
L’ideale pe «la maledetta de Pirlo».
L’ideale pe fa dì a Caressa sta cazzata dela maledetta de Pirlo.
Guarda caso batte Pirlo.
Gne se po nasconne niente a Pirlo.
Che lui non è solo indomito barzellettiere, imitatore, ballerino, ventriloquo, cabarettista a tutto tondo, performer burlesque, trapezista circense, depositario della Sacra Verve, ma è proprio svejo de suo.
L’omo che sussurava ai cavalli «deprimemose ar passo» scaja verso la porta na palletta de veleno che pare nata apposta pe annà a stirà le zampe all’angoletto basso.
Franco vola e stavorta non c’ha sorprese a attendelo all’atterraggio. La manonitudine vince sulla velenitudine, na parata de Cristo. Che, come scritto e rappresentato sur Vangelo de Panini, tra un miracolo e l’artro giocava in porta.

E a proposito de miracoli, c’è da registrà l’ennesimo atto de santità de san Francesco da Porta Metronia, concretizzatose stavolta in un’operazione a stadio aperto, effettuata co la parte del proprio corpo che mejo risponde agli ordini del padrone: i piedi.
Perché dopo mezz’ora de suppliche e de lamentele da parte de Euphoria Pirlo, Ercapitano nse l’è sentita de ignorà un omo in difficoltà.
«Ho qualcosa nel ginocchio Francesco, mi fa male, non riesco a correre, imponi su di me le tue mani salvifiche.»
«Eh, lì è quarcosa che deve spurgà, stai gonfio stai, e comunque co le mani ce fai poco, co queste ar massimo ce magno e ce scrivo» «Fai come credi, ma fai, non resisto più.»
«Eh ma devo incide eh, too dico, non sarà na passeggiata, lì c’è da aprì.»
«Te ne prego! Non mi fido dei miei medici, tu solo hai parole di vita.»
«Vabbè fermate che me pari Pjanić, arivo, tiè.»
Chirurgico e millimetrico, il tacchetto Capitano seziona la carne Pirla ormai prossima alla putrefazione e la libera dal siero venefico che la insidiava dall’interno. Il sangue che sgorga porta via con sé il maleficio e sventa il rischio di vedere il calcio privato di un fuoriclasse. Ancora una volta sto gioco deve dì grazie Arcapitano, nce se crede. La sutura lascia un tatuaggio de graffio de tigre, na roba tarmente artistica e fomentatrice che Bonucci, appena la vede, se sente subito motivato a chiamà er motivatore suo pe fassene fa uno uguale.

In tutto ciò Osvardone se move e sgomita, s’accentra e ritorna, se libera e se propone, co la voglia di fare ma soprattutto la serenità tipica de chi gira pe il campo co addosso na lettera scarlatta e un cartello che reca scritto HO FATTO UNA CAZZATA MASTODONTICA E ME VOJO FA PERDONÀ.

Non succedendo niente de particolare, le considerazioni dei più se soffermano sull’unica vera novità de sta gara: Er Kierika. «Questo nun po giocà a pallone!!!!» sentenzia er capannello de urlatori de Tevere dimenticando d’avello appena finito de dì de tutti a partì da Totti. «Pare Masciarelli ar derby der core» chiosa namico più amorevole e ottimista. La verità è che Er Kierika pare na cifra tranquillo, de sicuro più de noi. Nonostante un rodaggio farraginoso, egli pare giocatore de categoria, tipo na seconda de vertice, ma pure na prima de metà classifica se la farebbe da titolare inamovibile. Egli, soprattutto, pare giocatore greco.
Se badi che per giocatore greco non s’intende giovane de belle speranze andato a farsi ossa e sopraccìa ner Veneto leghista, bensì giocatore che ner precipizio senza fonno der carcio greco ci ha pascolato fino a du minuti fa ar punto da perde buona parte de capelli senza trovà er tempo de facce caso, che artrimenti se sarebbe rasato a zero pure lui. Er giocatore greco è, come ce fu chiaro co Traianos, colui ar quale de notte ricresce la barba. Er giocatore greco non longilineo, quello der tipo der Kierika pe capisse, c’ha financo i peli sula schiena. Che je ricrescono de notte. E fanno rumore come la barba de Dellas.

Er primo tempo se ne va così, in relativa tranquillità, senza spargimenti de sangue se non quello de Pirlo, cor calore degli spalti a fa da contraltare a un freddo de Cristo. Che, come scritto sur Vangelo de Erméteo, generava anticicloni pure a occhi chiusi e bendato. Miracoli de dubbia utilità, dirai tu. Sì ma anche meno, te risponderemo noi. Perché non è che stai qua a dà le pagelle a Gesucristo eh. C’avrà avuto i motivi suoi. Mamma mia. Sempre a mette bocca. E che è. Na pentola de fagioli. Ma leggite la scheda e basta no? Amo fatto tanto pe scrivela, mo te devi fa er sangue cattivo su sta cosa? È da sabato sera che aspetti, mo devi fa er pignolo. Co Gesucristo poi. Bah. Allora fa na cosa, scrivilo te er Vangelo. Eh? Famo così? Ahhh, ahhhh, mo te cachi sotto? Te ce sai mette coi rigazzini eh? Guarda fatte nfavore, statte zitto. Bravo. Ciao.

L’intervallo ha il sapore de na polemica inutile co nipotetico lettore dela scheda.
E Vučinić? Eh? Eh? Ndo sta sto core de latta? Eh? Nse fa vede eh? Paura eh? Ah eccolo, no vabbè stavamo a scherzà Mì, oh, OH.
Un brivido lungo quanto er Montenegro percore la schiena de tantemila schiene coi peli quante semo ner momento in cui la difesa intera se fa nostalgica e contestatrice tornando zemaniana giusto er tempo de perdese Pogba, carneade dala pettinatura e dai mezzi fisici e tecnici utili a finì in nazionale in cinque o sei sport diversi che oggi ha momentaneamente deciso de venì a cacà er cazzo a noi. Pogba nell’area gvà e indietro lagdà là dove arigvà Mirkò, che da fori areà al volo incollà in pogsà per il postèr de Tuttosport utile a immortalà er gò dela domenicà. De sabato però, ragion per cui non va, fischi per lui, sciabolata, e altre cazzate utili ar poro Piccinini.

Su quer tiro voglioso ma stitico finisce la partita de Vuziniz e dela Juve in generale, e comincia definitivamente la nostra. Er Trio de difesa, sussurrando ar nemico «You don’t love me I don’t love you», inibisce cor soriso e l’apparecchio tra i denti ogni tentativo avverso. Centrocampo e attacco corono e sovrappongono de ripartenza coatta e spavarda ar punto da comincià a creà occasioni utili a rivalutà mpo’ tutti, co Buffon a parà ogni pretesa der Cipolla di modo da lasciacce sospesi ner dubbio tra miracolo suo e gò magnato nostro.

Poi succede che er Capitano sfascia tutto.
La vita, la morte, i miracoli, la tristezza, la depressione, la rassegnazione, la delusione, le attese tradite, i pareggi in casa, le sconfitte fori, le vittorie a tavolino, gli obiettivi sfumati, le qualificazioni mancate, i derby persi, i passaggi sbajati, le uscite sfarfallate, le imbucate dell’artri, i gò magnati nostri, la classifica inutile, i sabati rovinati, le domeniche sgarupate, i lunedì incupiti, i martedì rimuginati, i mercoledì de coppartrui, i giovedì de coppartrui, i venerdì de speranza e de novo i sabati rovinati.
Spazzati via dalla Madre De Tutte Le Bombe, La Genitrice De Tutte Le Suatte, la Levatrice De Tutte Le Pigne. Rasi al suolo, polverizzati, cancellati dalla faccia della terra ma soprattutto dalla faccia nostra che nse ricordava più come se strilla de gioia e liberazione.

È lei, è la Bomba Intelligente.

È quell’urlo che ariva imprevisto, perché ce so gò che puoi prevedé co nanticipo de mezzo secondo utile a non perde la corda vocale, e gò come questo che se materializzano prima de pensalli, e te costringono a portà er volume delo strillo dar minimo ar massimo, come quando sbatti pe sbajo sula manopola der volume delo stereo arzandolo a livelli dove volontariamente non l’hai portato mai.

Te giri e abbracci la prima cosa che te se move nei paraggi prima che quella cosa abbracci te. Tipo un signore antico e gentile casuale compagno dele sventure d’annata, ar quale finarmente strizzi tutte le vertebre, ce salti e lo tieni saltando, e quando lo molli pe guardatte in faccia coll’artri millemila lo fai piano, pe paura d’avé fatto danni sparpajando sui seggiolini costolette de tifoso felicemente fratturato.
Tutto ciò non è per sempre, chiaro. È per mo. È per noi. Poi tornerà tutto eh. Mica semo così fregnoni che pensamo che un tiro risolve i problemi de na vita. Ma mo levateve tutti, scansateve proprio.

Chi non ha intenzione de scansasse manco de un millimetro dalla sua posizione privilegiata de Primo Adoratore Dercapitano è Miralem, ormai prossimo al’estasi e al rapimento in cielo. Tanta è la voglia de urlà più dell’artri e de fallo vedé ai fotografi immortalanti, che nella foga dell’eccessiva divaricazione orale atta all’esplorazione de forme de bestiale ruggito ancora ignote, la mandibola je se svita, la testa je s’allunga vieppiù, e le capocce deformate de Elio e le Storie Tese a Sanremo tornano normali.
«AZIONE INSIEME, PALLA A TE DA TIRO MIO RIBATTUTO, SE PO PRATICAMENTE DÌ GOL INSIEME, ESULTIAMO INSIEME, NA VITA INSIEME, SPOSAMOSE CAPITÀ!»
«Eeeeeh?»
«NO DICO… ESULTIAMO INSIEME!»
«E dopo?»
«CAPITÀ!»
«No, prima de quello.»
«ESULTIAMO INSIEME!»
«Guarda ringrazia che mo me devo fa sommerge dalla caratteristica esurtanza liberatoria che prevede che tutti me se ammucchieno addosso, sennò era ora de affrontà sto discorso una volta pe tutte.»
«EEEEEH ESULTIAMO CARATTERISTICI AMMUCHIATI EEEEEHHHH INSIEMEEEE DAI TUTTI E UNDICI! TUTTI! PURE FRANCO! OH! FRANCO! OOOOHH FRANCOOOOOO, vabbè… famo in dieci, è uguale.»

Poi se ricomponemo. Manca ancora na cifra. Tipo na ventina de minuti, contro la prima in classifica ferita e vogliosa, che accidentarmente non battemo da lustri in cui se sentivamo molto più illustri d’adesso. Scalà er K2, disintossicasse da Ruzzle, arivà fino ala fine de na canzone dei Modà, fa pià na laurea a Giannino, tutto sommato, ar confronto, ce sembrano imprese ala portata.

Eppure non soffrimo praticamente mai.
Belli, compatti, sporchi e cattivi, non se scomponemo manco all’ingresso de Seba la formica stronza. Certo, quando er carcio moderno riesuma Anerka proprio al nostro cospetto e proprio nei minuti che ce separano dall’unica, fin qui, gioia dell’anno, er tifoso smadonna. Senza senso, senza logica, senza stile. E però too ricordi Sansone? Come fai a non fa tesoro del’esperienza più fresca e a nun pensà ala prima pagina de Tuttosport de domani co Anerka che bacia la maja e dichiara: «30 sur le champs!». E invece no. La capoccia a ovo de Anerka va dietro le punte a fa specchio riflesso cor cranio der subentrato Bradley. Roba da mettese l’occhiali da sole ale 22.30 de sera.
Ma pe loro è buio, pericoli zero.

Addirittura, a na cinquina dar termine, Aurelio se permette er lusso dela mossa segreta, o armeno tale sembra a noi che de provà a difende un risultato non volemo sentì più ragione da mpar d’anni almeno. Quando Totti esce cor tributo de Olimpico, Coni, Unione Europea, Unione Africana, Commonwealth, Onu e Festival de Sanremo, tutti aspettamo López, l’Incisivo López.
Ma entra Sturmentruppen Florenzi, UNCENTROCAMPISTAPENAPUNTA.
«Ce piace vince facile eh» pensamo lì pe lì, graziarcazzo che poi vinci, eh, stai unazzero, mancheno 5 minuti, levinapuntapencentrocampista, così so boni tutti a vince, così, sobbo…
E però er brivido de piacere ce cresce dentro forte quanto un sempre più insopprimibile STICAZZI!!! che non urlamo perché de scorettezza politica de sti tempi ce ne sta in giro tarmente tanta che abussanne mo, qui, pare mpeccato.
E però la Juve attacca, tira e crossa e rimpalla senza costrutto, fino all’urtimo secondo, perché er parucca così j’ha insegnato, mai rassegnasse, un rimedio, na cura, niniezione denergia, un trapianto de vigore se trova sempre. Tipo un carcio d’angolo a tempo de recupero scaduto.

Quando Buffon parte dall’area sua pe venì a fa der male nela nostra, l’effige de Rampulla che esurta ce se staja nitida. Se non ora quando uno come Buffon potrà fa na cosa der genere? Solo questo je manca a lui e noi certe vorte paremo creati apposta pe riempì le mancanze artrui. Ecco, guarda te come deve finì st’impresa sa. Tanto amo fatto, tanto amo visto, tanto amo detto e sperato, che voi scommette che Buffon la intruppa de Twitter e segna? Daje, che te ce giochi?
Alla domanda traditora, er portierone nazionale se distrae quer tanto che basta all’arbitro pe non piglià in considerazione l’ipotesi e sancì la fine.
I giochi so fatti, gnente va più.
Amo vinto.
L’anti-Juve semo noi.
Come sempre.
Armeno pe na sera.