I Balcani e l’Unione Europea
Si sta creando una divisione netta tra i paesi che fanno parte dell'Unione (o stanno per entrare) e quelli che sono rimasti fermi, con conseguenze delicate
Il primo luglio la Croazia è entrata a far parte dell’Unione europea che, nonostante una crisi economica e un processo di integrazione politica degli stati membri piuttosto difficile, continua a essere per i paesi dei Balcani occidentali una specie di “terra promessa”. Nel senso letterale: «Il futuro dei Balcani è nell’Unione europea», c’era scritto nella dichiarazione di Salonicco firmata nel giugno del 2003 dopo il vertice tra l’Unione europea e i paesi della regione.
Ma il processo di integrazione è andato avanti in modo frammentario e molto lento, creando una divisione sempre più netta tra i paesi dei Balcani che sono entrati nell’UE o hanno fatto dei passi avanti per entrarci, e quelli invece per i quali l’avvio dei negoziati sembra essere sempre più lontano. Con il rischio, secondo molti analisti, che si formi un nuovo “ghetto” e una nuova marginalizzazione dei paesi che rimangono fuori.
Quali sono i criteri dell’UE
In occasione del Consiglio europeo di Copenhagen, nel 1993, l’UE ha stabilito una serie di criteri che ogni stato membro e gli stati candidati si devono impegnare a rispettare: c’è un criterio politico («la presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo stato di diritto, i diritti dell’uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela»), un criterio economico («l’esistenza di un’economia di mercato affidabile e la capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale all’interno dell’Unione») e il criterio del cosiddetto “acquis comunitario” («l’attitudine necessaria per accettare gli obblighi derivanti dall’adesione e, segnatamente, gli obiettivi dell’unione politica, economica e monetaria»). Affinché il Consiglio europeo decida di aprire i negoziati, in ogni stato deve risultare rispettato il criterio politico.
La situazione nei Balcani
Geograficamente la penisola balcanica si trova tra i mari Adriatico, Ionio, Egeo e Mar Nero. Non esiste una barriera fisica che divida la penisola dal resto dell’Europa, ma gli studiosi concordano in maggioranza sul fatto che la delimitazione settentrionale sia costituita dal confine segnato dai fiumi Danubio, Sava e Kupa. Il termine “Balcani” cominciò a essere usato per indicare la parte europea dell’Impero ottomano nel XIX secolo, progressivamente abbandonata dai turchi, e fu usato comunemente dalla prima metà del XX secolo, con le guerre balcaniche (1912-1913) e con la Prima guerra mondiale.
Nella Penisola balcanica si trovano oggi Serbia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Bulgaria, Kosovo, Macedonia, Albania, Grecia, parte della Turchia e, anche se non sono mai cadute sotto l’egemonia turca, Croazia e Slovenia. A questi stati si aggiunge a volte la Romania. Dei Balcani occidentali fanno parte i sette paesi che si trovano sul versante ovest della penisola: Albania, Croazia, Serbia, Montenegro, Bosnia-Erzegovina, Macedonia e Kosovo.
Poiché è priva di un’unità etnica, la penisola è stata per secoli un luogo di incontro tra culture diverse ma anche di scontro, con guerre gravi, complicate e sanguinose. I paesi che ne fanno parte sono economicamente e politicamente diversi, e si trovano in posizioni radicalmente differenti soprattutto per quanto riguarda il processo di integrazione nell’UE e la soddisfazione dei criteri che la stessa Unione richiede.
I Balcani e l’UE
Il primo paese dei Balcani – o, meglio, che storicamente viene considerato tale, pur non essendo mai stato dominato dai turchi – che è entrato a far parte dell’Unione europea è la Slovenia (2004), seguita nel 2007 da Bulgaria e Romania. Per quanto riguarda i Balcani occidentali il processo è stato e continua a essere più complicato: a parte la Croazia, che è entrata il primo luglio dopo otto anni di negoziati, tre paesi hanno ottenuto lo status di candidato (Macedonia, Montenegro e Serbia) e i restanti tre (Albania, Kosovo e Bosnia-Erzegovina) rimangono ancora nelle fasi iniziali del processo di integrazione.
La Serbia dovrebbe ricevere a giorni una data per l’inizio dei negoziati. La Macedonia si trova formalmente nella stessa posizione della Serbia, ma aspetta la comunicazione di una data dal dicembre del 2005. Il Montenegro ha avviato i negoziati nel giugno del 2012. La candidatura dell’Albania è stata rifiutata dall’UE nel 2010 poiché il paese non aveva raggiunto il criterio politico di Copenhagen: l’esito dell’inizio del processo di integrazione dipenderà molto da come andranno le cose dopo il voto che si è tenuto domenica 23 giugno. La posizione della Bosnia-Erzegovina non è sicuramente migliore, a causa di una serie di tensioni etniche. Il Kosovo non ha ancora raggiunto un “Accordo di stabilizzazione e associazione”, il primo passo verso l’integrazione, che consiste nella firma di una serie di accordi bilaterali che riguardano questioni politiche, economiche, commerciali e anche relative ai diritti umani. Diversi paesi europei, peraltro, devono ancora riconoscere il Kosovo come paese indipendente: tra questi la Spagna, la Grecia e la Romania.
Perché l’Europa ha rallentato
Dopo la caduta del muro di Berlino, furono gli Stati Uniti a svolgere un ruolo di “guida” nei Balcani, con i contestati accordi di Dayton, che nel 1995 misero fine ufficialmente alla guerra civile in Jugoslavia, e con il successivo intervento militare in Kosovo. Dalla fine degli anni Novanta, però, agli Stati Uniti è subentrata sempre di più l’Unione Europea: nel 2003, con la dichiarazione di Salonicco, fu addirittura delineata una specifica strategia per l’inclusione nell’Unione Europea dei paesi dei Balcani occidentali.
A partire dal 2008, però, con l’inizio della crisi economica e finanziaria, è stata la stessa UE a rallentare il processo di adesione e a non considerare più una priorità la questione dei Balcani occidentali. Queste nazioni hanno una popolazione complessiva di 15 milioni di persone, le cui condizioni economiche sono piuttosto precarie: secondo alcuni il loro ingresso rischierebbe di aumentare la situazione di “paralisi istituzionale” in cui già si trova l’Europa. La Grecia, sotto la cui presidenza semestrale dell’Unione si tenne il vertice di Salonicco del 2003, ha più volte prospettato l’idea di una Salonicco II, che si dovrebbe svolgere durante il prossimo semestre di presidenza europeo della Grecia, nella prima metà del 2014.
Le conseguenze
Nonostante i diversi problemi politici interni, i conflitti e le crisi sociali, l’obiettivo dell’integrazione non viene comunque messo in discussione da nessun governo della regione, almeno verbalmente. L’entusiasmo iniziale e la fiducia nell’intero processo sono però sensibilmente diminuiti, come dimostra il referendum che si è svolto in Croazia nel 2012 e a cui ha partecipato solo il 47 per cento degli aventi diritto al voto.
D’altra parte, senza l’incentivo deciso di una futura integrazione esiste il rischio che questi paesi non facciano le necessarie riforme per modernizzare le loro amministrazioni, trovare una stabilità politica, aprire le loro economie, ridurre la corruzione, diventando sempre più marginali sia economicamente che politicamente. Con la possibilità di una rinascita dei nazionalismi, delle proteste e delle rivolte.
foto: la festa per l’entrata nell’UE della Croazia. (STR/AFP/Getty Images)