Katharine Hepburn
Che altro titolo vuoi dare, a un ricordo fotografico della più grande di tutte?
Il 29 giugno 2003 tutte le luci di Broadway a New York vennero spente per un’ora: era morta quel giorno, a 96 anni, Katharine Hepburn, grande attrice ribelle e anticonformista che aveva attraversato il cinema americano di tutto il secolo precedente, forse la più grande diva dei tempi dei “divi” la cui popolarità non fosse legata a un’ideale immediato e canonico di bellezza. Al cinema, in teatro, in tv, era stata versatile, bizzarra, brillante, con l’inconfondibile voce che lei stessa aveva definito «un incrocio tra Paperino e uno Stradivari» e una personalità che permetteva a tutti i suoi personaggi di tenere testa ai loro interlocutori maschili. Katharine Hepburn è tutt’oggi l’attrice ad aver vinto il maggior numero di premi Oscar, 4 su 12 nomination, ed è entrata nell’immaginario come la figlia o la moglie ribelle, la zitella eccentrica e un po’ stralunata, la donna libera e indipendente nel cinema come nella vita. Faticò molto per ottenere successo, in un’epoca in cui le donne nel cinema e nella società erano fondamentalmente sottomesse agli uomini e i loro ruoli erano legati a questo e alla loro avvenenza, ma per fare questo sacrificò al lavoro e al successo la vita privata, come raccontò in una delle poche interviste rilasciate durante la sua carriera (nel 1991, a Barbara Walters della ABC), quando disse di «aver vissuto come un uomo».
E Katharine Hepburn era mascolina, e non di certo la classica bellezza americana: quando arrivò ad Hollywood nel 1932 i dirigenti della RKO la descrissero come una specie di “incrocio tra un cavallo e una scimmia”, ma lo stesso anno le fecero girare il primo film con George Cukor, Febbre di vivere (il primo di una lunga serie con lui). Col volto spigoloso, esile e altissima, virile ma anche affascinante col suo modo di fare austero e altezzoso, intraprendente e insopportabile, che indossava solo pantaloni e detestava le incursioni dei giornalisti nella sua vita privata, negli anni Trenta era stata soprannominata Katharine of Arrogance ed era vista come “un’avvelenatrice di botteghini” perché i suoi film non incassavano abbastanza.
Ma nel 1933 aveva vinto il suo primo Oscar per La gloria del mattino (alla sua terza interpretazione) e nel 1938 aveva recitato in una delle commedie più belle della storia del cinema, Susanna (Bringin’ Up Baby) di Howard Hawks, insieme a Cary Grant (e a un celebre cucciolo di leopardo). Secondo la RKO non avrebbe avuto successo, e con quel caratterino e le sue idee progressiste non avrebbe fatto strada. Era nata a Hartford, nel Connecticut il 12 maggio 1907 (anche se per anni usò la data di nascita del fratello morto suicida quando lei era molto piccola, l’8 novembre), una casa in cui si sentivano discorsi considerati all’epoca scandalosi: suo padre, un urologo, era un convinto sostenitore del controllo delle nascite e della necessità di informare la gente sui rischi delle malattie veneree, sua madre una femminista a capo dell’associazione statale delle suffragette.
E negli anni Quaranta, in un momento in cui il ruolo della donna iniziava ad essere riconosciuto nella società americana, Hepburn impose il suo modello arrivando persino a schierarsi apertamente contro “la caccia alle streghe” nel mondo del cinema promossa dai senatori anticomunisti e rischiando in prima persona incriminazioni per attività antiamericane.
Nel frattempo, dopo essere stata licenziata dalla RKO, nel 1940 ottenne un successo definitivo con l’interpretazione di Tracy Lord, l’ereditiera viziata di Scandalo a Filadelfia di George Cukor, brillante saggio di recitazione con Cary Grant e James Stewart (tratto dall’omonima opera teatrale che la stessa Hepburn aveva interpretato un anno prima a Broadway).
Due anni dopo incontrò Spencer Tracy, sul set della Donna del giorno di George Stevens: lui era sposato (non divorziò mai da sua moglie per ragioni di fede cattolica), lei dal divorzio col suo unico marito nel 1934 aveva deciso di non sposarsi mai più (ma aveva avuto, tra le altre, una movimentata storia col produttore Howard Hughes, raccontata nel film di Scorsese The Aviator). Iniziarono una lunga ed intensa relazione, nella vita e nel lavoro: fecero insieme 9 film, in cui duettavano e duellavano in ormai leggendarie schermaglie verbali: Il Mare d’erba di Elia Kazan, La costola di Adamo di Cukor, La segretaria quasi privata di Walter Lang e infine nel 1967, l’ultimo film di Tracy, Indovina chi viene a cena? di Stanley Kramer, per cui ricevette il suo secondo premio Oscar e che è rimasto la memoria mondiale del rapporto tra lei e Tracy.
Gli altri due Oscar arrivarono nel 1968 per Il leone d’inverno di Anthony Harvey e l’ultimo nel 1981 per Sul lago dorato (col suo vecchio amico Henry Fonda, premiato come miglior attore per lo stesso film, facevano gli anziani e si prendevano in giro). Ma prima ancora Katharine Hepburn aveva interpretato altri memorabili ruoli: tra questi, la missionaria Rose innamorata del burbero e alcolizzato Humphrey Bogart ne La Regina d’Africa di John Huston, nel 1951 (sulla cui lavorazione lei scrisse il libro “The Making of The African Queen or How I Went to Africa with Bogie, Bacall and Huston and Almost Lost My Mind”) e nel 1959 Violet Venable, la madre ossessiva e inquietante di Improvvisamente l’estate scorsa di Joseph Mankiewicz, con Liz Taylor e Montgomery Clift. Nel 1975, a quasi settant’anni, fece Amore tra le rovine, litigando meravigliosamente con Laurence Olivier in una storia d’amore anziano.
«Non ho paura di morire. Dev’essere meraviglioso, come un lungo sonno», aveva detto una volta.