“Ich bin ein Berliner”
La storia del famoso discorso di John Fitzgerald Kennedy a Berlino, esattamente 50 anni fa (e la questione del bombolone)
Il 26 giugno del 1963 l’allora presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy, in visita a Berlino ovest, pronunciò uno dei discorsi più famosi della storia davanti a centinaia di migliaia di berlinesi, più volte interrotto dagli applausi. Parlò quasi completamente a braccio e fu molto duro contro il comunismo e contro l’Unione Sovietica, esaltando nel contempo lo spirito dei berlinesi che, disse, da 18 anni vivevano sotto assedio. Nel momento culminante del discorso – e ripetendo l’ultima frase di nuovo alla fine – disse.
Duemila anni fa, l’orgoglio più grande era poter dire civis romanus sum. Oggi, nel mondo libero, l’orgoglio più grande è dire “Ich bin ein Berliner!”
Breve storia di Berlino divisa
Alla fine della Seconda guerra mondiale le potenze vincitrici divisero la Germania in due stati diversi. A ovest venne creata la Repubblica Federale Tedesca, con capitale Bonn, a est la Repubblica Democratica Tedesca, sotto l’influenza sovietica. La capitale della vecchia Germania, Berlino, che si trovava nel mezzo della Germania est, venne divisa. La metà occidentale era controllata dalle tre potenze alleate che avevano vinto la guerra: Francia, Regno Unito e Stati Uniti. La metà orientale avrebbe dovuto essere amministrata dall’Unione Sovietica, che però di fatto passò il controllo della parte orientare della città all’esercito della Germania est.
Berlino fu per tutta la prima parte della Guerra fredda il punto di maggior tensione tra le potenze occidentali e l’Unione Sovietica. Uno dei primi incidenti fu il blocco di Berlino, cominciato il 26 giugno del 1948, quando l’Unione Sovietica decise di bloccare l’accesso via terra alla città. Berlino ovest si trovava nel mezzo del territorio della Germania est, quindi tutti i rifornimenti di cui aveva bisogno la città e la sua guarnigione – acqua, carburante, munizioni – dovevano arrivare a Berlino via strada o con un treno, partendo dalle aree della Germania occupate dagli alleati.
Lo scopo dell’Unione Sovietica era costringere gli alleati a lasciare Berlino, senza però arrivare a causare una guerra – nel 1948 la Russia non possedeva ancora la bomba atomica. La risposta degli alleati fu creare il più grande ponte aereo della storia. Berlino aveva necessità di un’enorme quantità di rifornimenti: 1.500 tonnellate di alimenti al giorno e altre 3.500 tonnellate di carburanti vari, in gran parte necessari per il riscaldamento. In tutto erano necessarie 5.000 tonnellate di rifornimenti al giorno, per evitare che i berlinesi morissero di fame o di freddo.
Le prime settimane furono difficili, con molti incidenti e un flusso di rifornimenti appena sufficiente. Con il passare dei mesi sempre più aerei – e aerei sempre più grandi – arrivarono nelle basi della Germania occidentale. A settembre, due mesi dopo l’inizio del ponte aereo, l’aviazione americana e quella inglese erano arrivate a consegnare a Berlino tutte le 5.000 tonnellate di rifornimenti che erano state ritenute necessarie all’inizio dell’operazione. Il successo del ponte aereo – ancora oggi molto ricordato in città da targhe e monumenti – costrinse l’Unione Sovietica a interrompere il blocco nel maggio del 1949.
La visita a Berlino
Quando Kennedy arrivò a Berlino nell’estate del 1963, era appena terminato uno dei confronti più duri tra Stati Uniti e Unione Sovietica: la crisi dei missili cubani. La crisi era cominciata nell’ottobre del 1962, quando vennero scoperte delle basi per missili nucleari sovietici sull’isola di Cuba. L’incidente si chiuse quando entrambe le parti accettarono di fare delle concessioni (pubbliche quelle sovietiche, in gran parte segrete quelle americane).
L’incidente che aveva quasi portato a un confronto armato i due paesi spinse i leader americani e sovietici a trattare e abbassare la tensione. Poche settimane prima del discorso venne firmato il protocollo che portò all’instaurazione del Telefono Rosso, la linea diretta per comunicare tra Cremlino e Casa Bianca che avrebbe aiutato a evitare futuri incidenti come la crisi di Cuba. Nello stesso periodo si stava completando un trattato che avrebbe posto fine agli esperimenti nucleari nell’atmosfera.
Accanto a questo clima di dialogo, che spinse i consiglieri di Kennedy a scrivere un discorso dai toni bassi e pacifici, c’era un’altra questione che spingeva invece nella direzione opposta. Poco meno di due anni prima che Kennedy arrivasse a Berlino, il governo della Germania orientale aveva costruito il “Bastione di protezione anti-fascista”, quello che poi sarebbe divenuto famoso come il Muro di Berlino. Si trattava di una barriera in filo spinato e più tardi di cemento, che seguiva il confine di Berlino ovest cingendola come una cintura.
La costruzione del Muro cominciò il 13 agosto del 1961 e fu, di fatto, un’estensione del confine fortificato che già correva lungo tutto il confine delle due Germanie. Fino alla costruzione del Muro, Berlino era stato il punto dove era più facile attraversare il confine da est a ovest. Si calcola che circa 5 mila persone riuscirono a oltrepassare il muro tra il 1961 e il 1989. Circa un centinaio morirono provandoci e uno di questi fu Peter Fechter, che fu ucciso poco meno di un anno prima della visita di Kennedy in un modo che scandalizzò molti.
Fechter tentò di scavalcare il Muro in pieno giorno, fu individuato e ferito dalla polizia della Germania est. Restò ferito ai piedi del muro, davanti a centinaia di testimoni occidentali, tra cui anche molti giornalisti, e dopo un’ora morì dissanguato. Il suo corpo fu prelevato dalla polizia orientale soltanto dopo ottanta minuti. In molti all’epoca della costruzione avevano accusato le potenze occidentali di non aver reagito con abbastanza forza alla costruzione del Muro, e l’incidente causò molte manifestazioni di protesta a Berlino ovest e rinnovò le critiche agli Stati Uniti per non aver reagito con abbastanza durezza.
Il discorso di Kennedy
Il discorso che lo staff preparò per Kennedy era prudente e in linea con il clima di distensione che stava cominciando ad aleggiare nelle trattative tra Unione Sovietica e Stati Uniti. Non è chiaro se nella sua prima versione contenesse già la frase “Ich bin ein Berliner“. Alcuni collaboratori dissero che quella frase era stata inserita ancora prima di cominciare il viaggio, mentre altri dissero di averla vista nella versione del discorso preparata il giorno precedente. Altri sostengono che Kennedy abbia chiesto come tradurre “Io sono un berlinese” pochi minuti prima del discorso, nell’ufficio del sindaco di Berlino Willy Brandt, e che si sia appuntato la pronuncia in un foglietto.
In ogni caso, Kennedy trascurò quasi completamente il discorso preparato e parlò a braccio. Non usò toni concilianti ma criticò duramente l’Unione Sovietica, la Germania est e il comunismo (qui potete leggere il testo originale del discorso). Esaltò lo spirito dei cittadini di Berlino ovest, suscitando gli applausi dei circa 250 mila spettatori. In un’altra parte del discorso pronunciata in tedesco – molto meno citata, ma politicamente ancora più importante – riferendosi a coloro che ritenevano che si potesse dialogare con i comunisti disse “Lass’ sie nach Berlin kommen”. Lasciate che vengano a Berlino.
Secondo il consigliere per la sicurezza nazionale, McGeorge Bundy, il discorso di Kennedy era andato «un po’ troppo in là», un’opinione condivisa dai suoi collaboratori che ne avevano scritto la versione più conciliante. Nikita Kruscev, leader dell’Unione Sovietica, qualche giorno dopo attaccò Kennedy proprio per la frase sul “lasciate che vengano a Berlino”, che era stata intesa quasi da tutti come un rifiuto netto del dialogo.
La controversia sul bombolone
Negli anni successivi al discorso ci fu una controversia sul significato letterale delle parole di Kennedy. Nel romanzo di spionaggio Berlin Game, dello scrittore Len Deighton, uno dei personaggi spiega che in realtà Kennedy non disse “Sono un berlinese”, ma “Sono un bombolone”. Questo errore era dovuto all’articolo indeterminativo “ein” messo prima di “Berliner”. In tedesco non si utilizza, solitamente, l’articolo determinativo prima della cittadinanza. L’italiano funziona in maniera simile: è più normale dire “sono veronese”, piuttosto che “sono un veronese”.
Il lato comico derivava dal fatto che Berliner nella Germania settentrionale è il nome del dolce che in Italia si chiama bombolone e nell’Italia settentrionale e nella Germania meridionale si chiama krapfen. Nella recensione del romanzo il New York Times dette per scontato, come fosse un fatto assodato, l’errore di Kennedy: negli anni successivi moltissimi giornali e televisioni diffusero questa versione.
In realtà, esattamente come in italiano, l’uso dell’articolo indeterminativo prima della cittadinanza non è formalmente scorretto e, come hanno sostenuto diversi docenti di lingua tedesca e altri madrelingua, è improbabile che di fronte a un contesto così chiaro, qualcuno, il 26 giugno del 1963, abbia potuto, anche per un secondo, pensare che Kennedy avesse detto “Io sono un bombolone”.
Le altre visite a Berlino
Poche settimane fa anche Obama ha visitato Berlino e ha tenuto un discorso davanti alla porta di Brandeburgo. Davanti alla stessa porta tenne un discorso anche Ronald Reagan, nel 1987, il più famoso probabilmente dopo quello di Kennedy. Reagan parlò mentre nell’Unione Sovietica erano in corso le prime aperture del regime volute dal segretario del partito comunista dell’Unione Sovietica Michail Gorbaciov. Reagan disse che c’era una sola cosa da fare per rendere quelle aperture alla libertà credibili all’occidente: abbattere il Muro di Berlino. Si rivolse personalmente a Gorbaciov con una frase che poi dette il nome al discorso: «Mister Gorbaciov, tear down this wall!», “signor Gorbaciov, butti giù questo muro!”. Due anni dopo, nel 1989, il muro fu abbattuto.