L’epidemia di rosolia in Polonia e Giappone
Decine di migliaia di casi dall'inizio dell'anno, molto oltre la media: niente di così preoccupante, ma gli Stati Uniti sconsigliano i viaggi alle donne incinte
Dall’inizio dell’anno in Polonia e in Giappone è stato registrato un numero molto più alto del solito di casi di rosolia, rispetto agli ultimi anni. Le autorità sanitarie giapponesi hanno calcolato fino a ora 10.102 casi contro i 2.392 di tutto il 2012. In Polonia le persone che hanno avuto la malattia nei primi sei mesi di quest’anno sono state almeno 26mila. Per questo motivo diversi paesi sconsigliano di visitare la Polonia e il Giappone alle donne che potrebbero essere o sono incinte. Negli Stati Uniti, il Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC), l’organismo che si occupa dei contagi e delle epidemie, ha emesso alcuni bollettini invitando le donne incinte a consultarsi con il loro medico prima di intraprendere un viaggio verso la Polonia o il Giappone.
La rosolia è una malattia alquanto frequente nell’età scolare e si presenta di solito sotto due forme. In circa la metà dei casi causa la formazione di piccole pustole sulla pelle, febbre non molto alta e disturbi passeggeri ai lifonodi. In un caso su quattro causa solo febbre, e in un altro 25 per cento dei casi ha un decorso senza dare sintomi.
La malattia non è di per sé molto pericolosa e non richiede quindi particolari terapie se contratta in giovane età. Il sistema immunitario provvede a debellare il virus che la causa e rende immune chi si è ammalato da possibili ricadute. La rosolia può però essere problematica in età adulta, soprattutto per le donne, e per questo motivo è importante che dopo la pubertà le donne che non hanno avuto la malattia si vaccinino.
Il virus si trasmette dalla madre al feto e causa seri problemi, a seconda della settimana di gravidanza. I casi fino alla quarta settimana sono rari, ma quando si verificano causano l’aborto. Nelle settimane successive gli effetti sul feto variano sensibilmente, ma si verificano spesso malformazioni. Per questo motivo è importante che durante il periodo della gravidanza siano ridotte il più possibile le probabilità di entrare in contatto con individui malati. Cosa che non è sempre semplice: chi ha la rosolia è infettivo ben prima di sviluppare i sintomi, quindi a volte non è facile isolare gli individui infetti.
Come molte altre malattie esantematiche, quelle cioè come morbillo e varicella tipiche dei bambini, anche la rosolia è stata resa meno pericolosa grazie allo sviluppo e alla diffusione dei vaccini. In Italia è in corso da tempo un programma di vaccinazione non obbligatorio, ma raccomandato dal Servizio Sanitario Nazionale e gratuito, per la rosolia insieme con il morbillo e la parotite (i cosiddetti “orecchioni”). Il vaccino antimorbillo-parotite-rosolia (MPR) viene somministrato in giovane età, per essere il prima possibile immuni a eventuali contagi (ma questo non impedisce di farlo da grandi).
Se si viene a contatto in età adulta con persone che hanno la rosolia, e non si è immuni perché non si era mai contratta prima la malattia, è possibile effettuare la vaccinazione. Non è però detto che il vaccino in questo caso sia efficace, se l’infezione è stata già contratta. Le donne incinte non vaccinate e che non hanno avuto la rosolia non dovrebbero vaccinarsi: il vaccino contiene virus viventi attenuati e si potrebbe quindi verificare il contagio del feto. Non è così probabile che avvenga, ma la maggioranza dei medici è concorde nell’applicare il principio di precauzione per non esporre il feto a eventuali rischi. Ed è per questo motivo che i CDC hanno emesso il loro bollettino sconsigliando alle donne incinte, o che prevedono di iniziare a breve una gravidanza, di visitare la Polonia e il Giappone, dove si sta verificando un picco non previsto di infezioni da rosolia.
Mediamente, circa 750mila statunitensi si recano ogni anno in Giappone, mentre le persone che dagli Stati Uniti viaggiano verso la Polonia sono circa 350mila. Le città giapponesi maggiormente coinvolte dall’epidemia sono Tokyo e Osaka, tra le mete più visitate soprattutto per lavoro dagli Stati Uniti.
In Giappone le oscillazioni nei casi annuali di rosolia sono in parte dovuti alle politiche per le vaccinazioni seguite nei decenni scorsi. Nel 1976 le autorità sanitarie giapponesi resero obbligatoria la vaccinazione di tutte le bambine in età scolare. Nel 1989 si decise di passare alla vaccinazione sia delle femmine sia dei maschi nei primi anni di vita. Il vaccino era in quel caso anche per il morbillo e la parotite. Ci furono problemi con i componenti per la parotite e si passò a un sistema di vaccinazione per ogni singola malattia, più complicato e difficile da tenere sotto controllo.
Si stima che in Giappone buona parte degli individui sopra i 50 anni abbia avuto la rosolia da piccolo e sia quindi immune, quindi il gruppo più esposto riguarda la popolazione più giovane. In questi mesi sono stati registrati cinque casi certi di nascite con malformazioni a causa della rosolia, contratta da donne incinte. Il ministero della Salute giapponese non ha però ritenuto necessario avviare una campagna di vaccinazione su larga scala, che del resto sarebbe difficile e molto costosa da gestire. Diverse amministrazioni locali sovvenzionano comunque la vaccinazione su base volontaria.
Il numero crescente di casi di rosolia è tenuto sotto controllo anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che vuole evitare che si verifichino contagi su larga scala soprattutto tra gli individui adulti. Per questo motivo fa da tempo pressioni nei confronti dei singoli stati affinché adottino programmi uniformi di vaccinazione contro la rosolia, insieme con campagne di immunizzazione dal morbillo. Questa malattia può rivelarsi particolarmente pericolosa nei bambini: durante l’ultima grande epidemia italiana, quella del 2002, su circa 40mila bambini malati di morbillo ci sono stati oltre 600 ricoveri in ospedale, diversi casi di encefalite e 6 morti. La vaccinazione, di solito tra il 12esimo e il 15esimo mese di età, con un richiamo tra i 5 e i 6 anni, garantisce l’immunità tutta la vita.