Il dannato Grande Fratello
Storia e copertine di 1984, il libro che ha creato uno dei personaggi letterari più citati di sempre, e dell'uomo che lo ha scritto, nato oggi 110 anni fa
di Giovanni Zagni – @giovannizagni
L’inverno del 1946 fu uno dei più freddi del secolo. A una decina di chilometri dal paesino di Ardlussa, nell’estremo nord della remota isola scozzese di Jura, si era trasferito da pochi mesi uno scrittore e giornalista diventato improvvisamente famoso, in una casa sperduta di proprietà del direttore del giornale per cui lavorava, l’Observer di Londra.
Nel saggio “Perché scrivo”, pubblicato nell’estate di quello stesso anno (sull’ultimo numero, il quarto, dell’effimera rivista letteraria Gangrel), l’uomo aveva detto che «scrivere un libro è una lotta orribile e sfiancante, come un lungo attacco di una qualche dolorosa malattia». Sull’isola di Jura lo scrittore si impose quella lotta per mesi, con l’obiettivo di finire un romanzo che aveva in mente da molto tempo. Era gravemente malato e sarebbe morto poco dopo la pubblicazione.
Si chiamava Eric Arthur Blair – nato il 25 giugno 1903, esattamente 110 anni fa, a Motihari, nell’India britannica – ma tutti lo conoscevano con lo pseudonimo di George Orwell. Il libro sarebbe diventato uno dei più famosi romanzi di sempre in lingua inglese, Nineteen Eighty-Four, cioè “1984”.
Il Grande Fratello
Da giovedì 6 giugno i mezzi di comunicazione di tutto il mondo si stanno occupando del caso PRISM, il sistema grazie al quale la National Security Agency (NSA), l’Agenzia per la sicurezza statunitense, controlla da almeno sei anni le comunicazioni online effettuate all’estero dai clienti delle più grandi società informatiche del mondo. La vicenda è molto probabilmente il più grave scandalo che ha colpito l’amministrazione Obama dal 2008 a oggi.
Venerdì 7 giugno, parlando in difesa del programma, Barack Obama ha citato uno dei sistemi totalitari di sorveglianza più famosi della letteratura: «In astratto, ci si può lamentare del Grande Fratello e del fatto che questo è un programma governativo che è andato fuori controllo, ma quando si guarda ai dettagli penso che abbiamo mantenuto il giusto equilibrio».
Il riferimento al “Grande Fratello” è al romanzo più famoso di George Orwell e Obama non è l’unico che lo ha citato riguardo a PRISM: il famoso giornalista del New York Times Nicolas Kristof, due volte premio Pulitzer, si è chiesto ironicamente se l’amministrazione Obama stia pagando i diritti agli eredi di Orwell per il suo programma di sorveglianza.
Il libro ha conosciuto un ritorno di popolarità, stando ai dati di uno dei maggiori rivenditori di libri online, Amazon: a metà giugno era ancora ai primi posti della lista “Movers and Shakers“, quella dei titoli che hanno avuto il maggior aumento di vendite nelle ultime 24 ore.
L’ultimo libro
Nineteen Eighty-Four venne pubblicato l’8 giugno 1949, quando Orwell era diventato famoso da pochi anni. Nel 1945, infatti, aveva pubblicato La fattoria degli animali, una satira contro l’Unione Sovietica che ebbe una storia affascinante e un’eredità complicata: Orwell aveva finito di scriverla nel 1944, quando l’alleanza tra Unione Sovietica e Alleati nella Seconda guerra mondiale attraversava uno dei suoi periodi migliori, ma il libro apparve però nell’agosto 1945, mentre la guerra stava finendo e le divisioni che avrebbero portato alla Guerra Fredda erano già evidenti.
I servizi segreti dei paesi occidentali, CIA in testa, fecero in modo di trasformarlo negli anni successivi in un testo molto diverso – negli intenti e, in alcuni casi, perfino nella lettera – da quello che aveva in testa il suo autore. Ma questa, per usare un’espressione proverbiale, è un’altra storia.
Nonostante il successo – che arrivava dopo una vita di continue difficoltà economiche – Orwell stava attraversando un periodo molto difficile. Nel marzo del 1945, mentre si trovava in Europa come inviato dell’Observer, Orwell era stato raggiunto dalla notizia che sua moglie Eileen era morta per le complicazioni di un’operazione chirurgica. Distrutto dal dolore, e poco a suo agio tra gli impegni e le richieste che gli venivano dalla sua improvvisa popolarità, Orwell accettò volentieri l’offerta del direttore dell’Observer – un suo amico e ammiratore – di andarsi a trasferire nella sperduta tenuta dell’isola di Jura.
Nel maggio del 1946, quando arrivò a Jura, Orwell aveva portato solo una branda, un tavolo, qualche sedia e un po’ di stoviglie. Non c’era elettricità e la casa – un’ampia cucina a piano terra e quattro piccole camere da letto al piano di sopra – era illuminata da lampade di paraffina, mentre per il riscaldamento bisognava arrangiarsi con il gas o con la torba. L’unico contatto con il mondo esterno era una radio a batteria.
Dopo qualche settimana lo raggiunsero a Jura il figlio adottivo Richard e la sua tata, ma l’arrivo più importante fu quello della sorella Avril, che si prese cura della casa. Orwell cominciò la sua personale lotta con il libro, interrotta solo dalle gite con il figlio, dai viaggi in barca – durante uno di questi, nell’agosto del 1947, rischiarono di annegare nella corrente – dalla visita di qualche amico e da brevi ritorni a Londra.
La prima stesura del nuovo romanzo finì nell’autunno del 1947. Nel frattempo, la sua salute stava peggiorando: sofferente da molto tempo di “dolori al petto”, magro e pallidissimo, alla fine di quell’anno venne ricoverato in ospedale e gli fu diagnosticata la tubercolosi. La malattia era allora considerata quasi incurabile, ma era stato scoperto da poco un nuovo antibiotico che sembrava in grado di fare qualcosa: la streptomicina, che aveva tremendi effetti collaterali ma che, fatta arrivare dagli Stati Uniti pare con l’intercessione dello stesso ministro della Salute britannico, aveva tolto a Orwell tutti i sintomi della TBC dopo un trattamento di tre mesi.
Appena uscito dall’ospedale, Orwell tornò a Jura e si gettò di nuovo sul suo libro, passando l’estate e l’autunno del 1948 a rivedere il manoscritto: oltre alla sua volontà di finirlo c’erano anche le pressioni del suo editore, che avrebbe voluto il libro entro la fine dell’anno. Orwell disse che ce l’avrebbe fatta anche se era troppo debole perfino per camminare: per lui diventò normale lavorare a letto, battendo per ore sui tasti della sua “decrepita” macchina da scrivere.
Fino all’ultimo, Orwell rimase indeciso sul titolo. Le due possibilità erano The Last Man in Europe (“L’ultimo uomo d’Europa”) o semplicemente l’anno in cui era ambientata la vicenda, che all’inizio doveva essere il 1980, poi divenne il 1982 e infine, mentre la stesura si trascinava con difficoltà attraverso i mesi e la malattia, 1984. Dopo aver battuto a macchina da capo il manoscritto, diventato un incomprensibile groviglio di correzioni e riscritture, Orwell mandò le prime copie al suo agente Leonard Moore e al suo editore Fredric Warburg il 3 dicembre del 1948.
Ci vollero altri sei mesi perché il libro uscisse, e fu un successo immediato: nel frattempo il suo autore aveva lasciato Jura ed era stato ricoverato prima in un sanatorio dell’Inghilterra centrale e poi all’University College Hospital di Londra. A ottobre, nella sua stanza di ospedale, sposò Sonia Brownell, che gli fu vicino durante gli ultimi mesi, con il direttore dell’Observer David Astor come testimone. Morì nelle prime ore del 21 gennaio 1950, in seguito a una grave emorragia.
La storia di Winston Smith
1984 è l’esempio più popolare di romanzo distopico: Orwell immagina un futuro in cui prevalgono gli aspetti negativi per l’uomo e per la società (in opposizione all’utopia che immagina generalmente un futuro migliore o più desiderabile). Il mondo è diviso tra tre superpotenze: Oceania, Eurasia e Estasia, che sono emerse dopo una guerra nucleare globale e si trovano da decenni in uno stato di guerra permanente.
Il protagonista è Winston Smith, un funzionario del Ministero della Verità del regime dell’Oceania. Vive a Londra, e come tutti i membri del partito è sotto la costante sorveglianza della Polizia del Pensiero: la sua vita è tenuta sotto controllo per individuare ogni minimo dissenso e ogni gesto che sia la spia di una fedeltà meno che assoluta all’ideologia di regime. Ma Winston è un dissidente: piano piano, nella sua mente, si fa strada la volontà di ribellione, che si esprime anche nella sua relazione amorosa con Julia, un altro membro del partito. I due vengono scoperti e passano attraverso un lungo processo di rieducazione.
Nella grigia e deprimente Londra di 1984 dominano gli enormi poster del Grande Fratello (Big Brother), il primo dei quali è descritto già nella prima pagina del romanzo:
Mostrava solo un viso enorme, largo più di un metro: il viso di un uomo di circa quarantacinque anni, con grandi baffi neri e lineamenti squadrati ma piacevoli.
I poster portano spesso la scritta “Il Grande Fratello ti sta guardando”. Quella del regime di 1984 è quindi una sorveglianza esplicita, evidente: il Grande Fratello è la massima personalità del partito, l’uomo – che nel romanzo non compare mai di persona – che detta la linea politica e che tutti devono considerare infallibile e perfetto. Nessuno ha diritto a una vita privata: l’idea centrale del romanzo è che il regime vuole in tutti i modi ottenere un controllo totale sull’individuo, un controllo che arrivi anche al suo pensiero.
Le parole
Lo strumento principale di questo controllo è il linguaggio, uno dei temi che interessavano di più a Orwell e che vengono esposti nel modo più sottile e affascinante. Attraverso il linguaggio, dice Orwell, si può controllare il pensiero: e così il regime di 1984 sta lavorando a una nuova lingua, estremamente semplice nelle sue strutture e povera nel suo lessico, attraverso cui confida di riuscire a entrare nella testa degli abitanti di Oceania.
Come viene spiegato nel corso del libro, alla fine del processo, quando tutti parleranno Newspeak (“neolingua”), la dissidenza non sarà possibile semplicemente perché non esisteranno le parole per esprimerla. L’attenzione di Orwell per la lingua è fondamentale per capire lo scrittore e ha almeno due risvolti notevoli.
Il primo è che 1984 ha introdotto nella lingua inglese diverse parole nuove. Abbiamo già parlato del Grande Fratello e il discorso di Obama è solo l’ultimo capitolo della lunga fortuna di quella espressione: il definitivo ingresso nella lingua comune – non solo in inglese ma anche in italiano – è stato probabilmente il format televisivo omonimo, creato dalla casa produttrice Endemol e lanciato in Olanda nel 1999 prima di diffondersi in molti altri paesi.
Ma i dizionari di inglese contengono diverse altre parole o espressioni che provengono da 1984. Ad esempio Thought Police, la polizia il cui scopo è trovare i dissidenti prima ancora che compiano gesti sovversivi; oppure doublethink (composto di double-, “doppio”, think, “pensare”), che l’Oxford Dictionary of English definisce come “l’accettazione di opinioni o credenze tra loro contrarie allo stesso tempo, specialmente come risultato di indottrinamento politico”; o infine thoughtcrime, cioè (ancora l’ODE) “un caso di pensiero non ortodosso o controverso, conseiderato offesa criminale o socialmente inaccettabile”.
Il successo di 1984 ha popolarizzato in molte lingue anche un aggettivo, orwelliano, registrato nei dizionari con riferimento al pensiero di Orwell e alle sue rappresentazioni di società totalitarie e oppressive.
L’altra cosa da notare è che, nell’eterna contrapposizione tra “descrittivi” e “prescrittivi” in ambito linguistico, cioè tra chi si limita a presentare l’evoluzione della lingua nel tempo senza indicare giusto e sbagliato, e chi invece distingue gli usi corretti da quelli ritenuti scorretti, Orwell era saldamente dalla parte dei secondi.
Era un grande utilizzatore ed estimatore dell’allora celebre manuale di stile di Fowler. Pensava che la lingua dovesse essere chiara e concisa, meno decorativa possibile – mai usare una parola lunga se l’inglese dispone di una più breve per dire la stessa cosa, era uno dei suoi consigli – ed era quasi ossessionato dalla necessità di dire la verità con onestà e totale trasparenza: “la buona prosa”, scriveva, “è come il vetro di una finestra”.
Le idee di Orwell
Orwell è stato probabilmente uno dei primi ad usare l’espressione “guerra fredda”, in alcuni articoli tra la fine del 1945 e l’anno successivo, per descrivere la situazione geopolitica che stava emergendo dalla Seconda Guerra Mondiale. Il suo romanzo più famoso, infatti, è anche il racconto di quello che Orwell pensava delle evoluzioni politiche e sociali dei primi decenni del Ventesimo secolo.
L’ideologia che domina l’Oceania di 1984 e che è simboleggiata dal Grande Fratello si chiama IngSoc, una abbreviazione che sta per “English Socialism”: il pericolo totalitario per il Regno Unito e per il mondo, insomma, era per Orwell molto più vivo e minaccioso di quello che appare oggi a noi lettori dei decenni successivi.
Orwell era un socialista rivoluzionario e uno degli esempi più chiari del cosiddetto “scrittore impegnato”. Nella prima metà del 1937 combattè nella Guerra civile spagnola, dove venne ferito alla gola da un cecchino, e vide con i suoi occhi la brutale repressione comunista degli altri movimenti all’interno dell’alleanza repubblicana (la raccontò in Omaggio alla Catalogna, pubblicato nel 1938).
Poco tempo prima aveva passato due mesi nelle zone industriali del nord dell’Inghilterra: questi due eventi, che lo segnarono profondamente, formarono una volta per tutte la sua coscienza politica, quella di un feroce antistalinista e di personaggio con idee e critiche importanti all’interno della stessa sinistra britannica.
Credeva nella necessità di fare una rivoluzione socialista nel Regno Unito – anche violenta, se necessario, come spiegò lui stesso più volte in anni delicati come il 1940 e il 1941 – alla quale sarebbero seguite un’economia pianificata, l’abolizione della proprietà privata e l’abolizione di tutte le classi. In altre parole, credeva fermamente in uno stato socialista senza essere convinto di una sua necessaria deriva totalitaria, una posizione che è difficile da distinguere per noi lettori di oggi, dopo il fallimento del socialismo reale.
Chi conosceva Orwell lo ha descritto senza esitazioni come un bastian contrario, un solitario spesso critico di chi gli stava vicino e un nemico di ogni compromesso. Nonostante fosse un figlio della classe media che aveva studiato a Eton, odiava gli intellettuali e anche la classe media, ostentando atteggiamenti da uomo del popolo (i “proletari”, proles, sono descritti con una certa ammirazione colma di pietà nel mondo di 1984).
Quando venne pubblicato 1984, molti lo presero per un attacco al Labour britannico, e Orwell fu costretto a diffondere una dichiarazione, attraverso il suo editore, in cui da una parte rifiutava quella lettura – il Labour era pur sempre il partito a cui si sentiva più vicino – ma dall’altra ripeteva con la sua solita chiarezza che il romanzo era semplicemente una previsione: la previsione più pessimistica di come le cose sarebbero potute andare nel mondo.
Non credo che il tipo di società che descrivo arriverà per forza, ma sono convinto (fermo restando che il libro è una satira) che qualcosa che gli assomigli potrebbe arrivare. Credo anche che le idee totalitarie abbiano messo radice ovunque nelle menti degli intellettuali e ho provato a portare quelle idee fino alle loro logiche conclusioni.