Il ritorno del vinile
L'avete già letto mille volte? Anche noi, ma stavolta ci sono i numeri (dei Daft Punk, per esempio), e poi oggi è l'anniversario del primo LP di sempre
Il 18 giugno 1948, 65 anni fa, la Columbia Records convocò una conferenza stampa all’hotel Waldorf Astoria di New York per presentare le prime 100 opere musicali della storia pubblicate come “33 giri”, o “album”: un formato che avrebbe costruito la storia della musica successiva e che si doveva a una novità tecnologica che con termine oggi desueta si chiamò per molti decenni “microsolco” (il 33 giri esisteva già, ma durava molto meno). Prima di allora su un disco in vinile potevano stare solo pochi minuti di musica, da allora in poi ogni lato cominciò a ospitare la durata di 20-30 minuti che sarebbe stata legata alla produzione musicale per quasi mezzo secolo successivo. Benché i titoli presentati allora furono cento, quello che viene indicato – per numerazione di catalogo – come il primo “album” della storia è la ristampa di una raccolta di Frank Sinatra che fino ad allora era venduta su quattro dischi a 78 giri.
È passato un sacco di tempo e abbiamo assistito a grandi rivoluzioni tecnologiche e alle celebrazioni di nascite, morti, rinascite, ritorni, sopravvivenze e resurrezioni di supporti musicali diversi. Ma l’ormai rituale letteratura su “il ritorno del vinile” sembra avere conquistato un fondamento concreto rilevante. In un articolo pubblicato il 9 giugno il New York Times ha messo insieme un po’ di dati sulle vendite dei dischi in vinile, confortando il tema con qualche statistica. Il Times scrive che l’ultimo album dei Daft Punk “Random Access Memories”, uscito il 17 maggio 2013, ha venduto 19.000 dischi in vinile nella prima settimana, il 6 per cento degli acquisti complessivi dell’album; nella stessa settimana il nuovo album della band indie rock Vampire Weekend “Modern Vampires of the City” ne ha venduti circa 10.000.
Il mercato musicale a partire dall’inizio degli anni Ottanta aveva concentrato i suoi investimenti sulla produzione di compact-disc (CD), e molte fabbriche che producevano dischi in vinile diventarono obsolete e fallirono. Negli ultimi anni però negli Stati Uniti ne sono nate circa una dozzina di nuove, che si sono aggiunte alle poche che non hanno mai chiuso. Un problema che queste fabbriche devono affrontare è quello delle presse per produrre dischi in serie, che non vengono più fabbricate: l’espressione “incidere” un vinile infatti si riferisce al disco in metallo sul quale i suoni vengono incisi con un supporto magnetico, in positivo: questo disco poi serve da stampo per le forme grezze in vinile, un materiale plastico molto versatile e resistente.
Le nuove fabbriche sono quindi costrette a acquistare presse usate, assemblate per lo più negli anni Sessanta e Settanta: l’ultima è stata costruita nel 1982. Costano circa 25 mila dollari, mentre è stato stimato che progettarne e costruirne una nuova costerebbe circa 500 mila dollari.
La Quality Record Pressings, una di queste nuove fabbriche, è stata fondata nel 2011 a Salina in Kansas da Chad Kassem, che già possedeva la Acoustic Sounds, una società che vende per corrispondenza dischi in vinile, CD, DVD e impianti stereo. La Quality Record Pressings, che oltre a produrre nuovi album ristampa anche quelli di gente come Jimi Hendrix e i Nirvana, produce circa 900 mila dischi all’anno: «Abbiamo sempre più lavoro di quanto ne possiamo portare a termine. Quando avevamo una sola pressa ricevevamo ordini sufficienti per poterne comprarne un’altra; una volta che entrambe sono entrate in funzione abbiamo dovuto comprarne altre due. Non abbiamo mai speso un dollaro in pubblicità, ma dal giorno in cui abbiamo aperto abbiamo un sacco di lavoro».
Nielsen SoundScan, il servizio che censisce le vendite di album musicali, ha registrato che nel 2011 sono stati venduti negli Stati Uniti circa 4.6 milioni di vinili, una cifra che rappresenta l’1.4 per cento dell’intero mercato della musica. I commercianti stimano invece che la vendita di vinili occupi una cifra tra il 10 e il 15 per cento del mercato, sostenendo che i dati di SoundScan riguardano solo quelli effettivamente acquistati dai clienti, e che quindi non siano affidabili. Il loro ragionamento è basato sul fatto che le case discografiche, al contrario di quello che fanno con i CD, non accettano che i vinili invenduti vengano restituiti, e di conseguenza ne producono un numero calcolato in base alla domanda.
Josh Bizar, il direttore dell’ufficio vendite di Music Direct, una società che produce vinili e giradischi, ha detto al New York Times che «si è chiuso un cerchio. Abbiamo ragazzi che ci contattano e che ascoltano musica sui vinili, e quando gli chiediamo perché non comprino i CD ci rispondono “Quella è roba che faceva mio padre – perchè dovrei farlo io?”.
foto: Keystone/Hulton Archive/Getty Images