Munch compie 150 anni: cose da sapere
L'Urlo, la Norvegia, e altre storie intanto che prenotate il viaggio a Oslo o lo rimandate all'anno prossimo
di Rossella Quaranta – @genevris
Il prossimo 12 dicembre sarà il 150esimo anniversario della nascita dell’artista norvegese Edvard Munch, uno dei maggiori vanti della cultura e della storia della Norvegia. Sono previste mostre in tutta Europa, negli Stati Uniti e in Giappone, ma il centro delle celebrazioni sarà “Munch 150“, un’ampia retrospettiva organizzata in Norvegia: dal 2 giugno al 13 ottobre la Galleria Nazionale e il Museo Munch di Oslo esporranno 220 dipinti e 50 opere su carta di Munch. La mostra verrà trasmessa al cinema via satellite (anche in 98 sale italiane), alle 20 del prossimo 27 giugno. Intanto, nelle 7 città norvegesi legate alla vita di Munch sono in programma numerosi eventi collaterali, tra teatro, conferenze, visite guidate, proiezioni e nuove pubblicazioni.
Tanti tipi di “Urlo”
È il suo dipinto più famoso e quest’anno compie 120 anni: fu completato nel 1893, il primo. Ne esistono infatti quattro versioni (due disegnate a pastello e due dipinte). Tre appartengono ai musei norvegesi e sono tutte presenti alla mostra di Oslo. Manca invece la quarta, che fa parte di una collezione privata e nel 2012 è stata battuta all’asta da Sotheby’s, a New York, per quasi 120 milioni di dollari, diventando il quadro venduto al prezzo più alto in un’asta di opere d’arte (il precedente record di 106 milioni apparteneva a Picasso, che tra l’altro ha tre quadri nelle prime cinque posizioni). La retrospettiva norvegese comprende invece “Disperazione”, un quadro del 1892 che anticipa di un anno la prima versione dell’”Urlo” e ne è il prototipo: la scena è la stessa (ci sono anche i due personaggi che parlano tra loro sullo sfondo), ma il soggetto principale indossa un cappello ed è ritratto di profilo, a distanza ravvicinata, mentre si affaccia dal ponte di Nordstrand, un quartiere a sud di Oslo. E non urla.
Colpa di un vulcano
“L’Urlo” riprende un episodio realmente accaduto a Munch durante una passeggiata sul ponte con due amici: il soggetto “urlante” è in effetti lo stesso Munch. L’artista ebbe una visione, che anni dopo raccontò in un poema, trascrivendolo sulla cornice di una delle quattro versioni: «Passeggiavo lungo la strada con due amici / il sole stava tramontando / d’improvviso il cielo si tinse di rosso sangue / mi fermai, stanco morto, e mi appoggiai al parapetto / c’erano sangue e lingue di fuoco sul fiordo nero-azzurro e sulla città / i miei amici continuarono a camminare, e io rimasi lì tremando di angoscia / e sentii un urlo infinito attraversare la natura». Alcuni ricercatori, nel 2004, hanno ipotizzato che il cielo visto da Munch fosse così rosso a causa di un fenomeno naturale: le polveri generate dalla violenta eruzione del vulcano indonesiano Krakatoa, nel 1883, rimasero sospese per diverso tempo nell’atmosfera, producendo crepuscoli spettacolari in tutto il mondo.
I furti
“L’Urlo” venne rubato due volte dal Museo Munch di Oslo, e sempre ritrovato. La prima nel febbraio 1994, nello stesso giorno dell’inaugurazione delle Olimpiadi Invernali di Lillehammer, in Norvegia. Due ladri impiegarono solo 50 secondi per salire su una scala, rompere una finestra, staccare il quadro dal muro e scappare. Il dipinto venne recuperato tre mesi dopo, quando cercarono di venderlo per 250 mila sterline a una coppia di poliziotti in incognito (il museo aveva rifiutato di pagare il riscatto da un milione di dollari chiesto dai ladri).
Il secondo furto è dell’estate del 2004: due uomini armati fecero irruzione nel Museo minacciando un dipendente, e portarono via due opere di Munch (“L’Urlo” e “Madonna”), per un valore di 92 milioni di euro. Ci furono polemiche perché l’allarme non aveva suonato e la polizia, secondo le testimonianze, era arrivata dopo 15 minuti. Entrambi i quadri vennero ritrovati due anni dopo, nell’agosto 2006, con lievi danni dovuti all’umidità e sono stati poi restaurati.
L’arte esame di coscienza
Per Munch l’arte era un «esame di coscienza». Rinunciò al realismo e alla pittura dal vivo, preferendo dipingere i ricordi, per rielaborarli: «Non dipingo quello che vedo, ma quello che ho visto». Spesso ritraeva più volte lo stesso soggetto con alcune varianti, così da «scandagliarlo sempre di più». Rispetto all’Urlo disse: «Non mi riconoscete, ma quell’uomo sono io. […] L’intera scena sembra irreale, ma vorrei farvi capire come ho vissuto quei momenti. […] Attraverso l’arte cerco di vedere chiaro nella mia relazione con il mondo, e se possibile aiutare anche chi osserva le mie opere a capirle, a guardarsi dentro».
Un’infanzia difficile
Munch era ossessionato dalla tragedia, dall’angoscia e soprattutto dalla morte, che aveva dovuto frequentare fin da bambino e che ricorre nei titoli dei dipinti (per esempio “Odore di morte”, “Il letto di morte”, “La madre morta”, “Angoscia di vivere” e – semplicemente – “Morte”). La madre Laura morì a 30 anni di tubercolosi e anche la sorella maggiore Sophie, a 15. La morte del padre aumentò i sensi di colpa e lo tentò al suicidio. I due non erano mai andati d’accordo: Edvard non sopportava la sua ossessione religiosa e pensava di aver ereditato da lui «i semi della follia», mentre il padre non apprezzava le sue opere e si dice che fosse arrivato a distruggerne almeno una (un nudo di donna), rifiutando poi di anticipare altri soldi per i suoi materiali da pittore.
Le donne dietro Munch
Se la definizione di “misogino” fu probabilmente esagerata, è vero che Munch ebbe un rapporto complesso con le donne. Sostenne che un artista non potesse fare a meno di «una donna che gli stia dietro in ogni momento, indicandogli la strada», ma rinunciò a sposare la storica compagna Tulla, perché temeva che il matrimonio potesse mettere a rischio la sua libertà di artista e di uomo. Munch era perplesso anche sulla sempre maggiore indipendenza femminile nella società norvegese (la Norvegia concesse il diritto di voto alle donne nel 1913). Per la sua carriera di artista, però, furono decisive la figura di sua madre (anche lei pittrice) e l’appoggio ricevuto dalla zia Karen, che credette nel suo talento e lo spinse a studiare arte.
I problemi di alcolismo
Munch soffrì di alcolismo, che gli provocava attacchi di panico, manie di persecuzione e allucinazioni. Nel 1908 ebbe il suo crollo nervoso più grave e fu ricoverato per otto mesi in una clinica di Copenhagen, in Danimarca. Trasformò la stanza dell’ospedale in uno studio e scrisse anche un poema in prosa, Alfa e Omega (una sua versione della Genesi), che illustrò con 18 litografie. I medici gli prescrissero di socializzare solo con buoni amici e non bere. Il ricovero stabilizzò la sua personalità: tornò a vivere in Norvegia e le sue opere diventarono meno cupe, più colorate. Si dedicò anche alla fotografia: sia come nuovo mezzo di espressione (scattò alcuni autoritratti), ma la usò soprattutto per non dimenticare i soggetti che avrebbe dipinto in un momento successivo.
In giro per l’Europa
Munch lasciò la Norvegia per vent’anni, tra il 1889 e il 1909. Le città di riferimento furono Parigi (dove seguì l’impressionismo, Van Gogh e Gauguin) e soprattutto Berlino, dove la sua arte venne riconosciuta e apprezzata per la prima volta, contribuendo alla nascita dell’espressionismo tedesco. A Berlino trovò committenti ricchi e un clima culturale favorevole: Sigmund Freud (che Munch ammirava) stava elaborando le sue teorie sull’inconscio e gli intellettuali dell’avanguardia del Nord Europa condividevano l’idea che si potesse utilizzare l’esperienza privata e soggettiva per costruire un immaginario universale. Nonostante successo e riconoscimenti, il debutto in Germania non fu così brillante: la prima personale a Berlino, nel 1892, fu accusata di essere “un insulto all’arte” e venne chiusa dopo una settimana. Munch scrisse in una lettera: «Non mi sono mai divertito tanto: è incredibile che una cosa innocente come un dipinto possa aver provocato un’agitazione simile».
Il successo raggiunto in seguito in Germania finì con l’avvento dei nazisti, che nel 1936 definirono le opere di Munch “arte degenerata” e rimossero le sue 82 opere dai musei tedeschi.
La Norvegia
Munch attribuì i suoi problemi di salute e il malessere esistenziale al brutto clima norvegese, «le nuvole, la pioggia, il freddo, l’orizzonte che si fa grigio, la solitudine. Per me cala l’angoscia». Ma anche negli anni dell’auto-esilio tornò a passare molte estati sulla costa norvegese.
Morì nel 1944 a Ekely, la sua casa di Oslo, durante l’occupazione nazista, spaventato dalla prospettiva che i tedeschi distruggessero i quadri che vi teneva: aveva 81 anni. Il funerale in stile nazista che le autorità norvegesi organizzarono cercò di dare l’impressione che Munch fosse stato un simpatizzante (ovviamente non era vero). Alla morte, donò alla città di Oslo tutte le sue opere: circa 1.100 dipinti, 4.500 disegni e 18.000 stampe. Per ospitarle fu creato il Museo Munch, inaugurato nel centenario della nascita (1963), che a breve dovrebbe trasferirsi in una nuova sede sul mare, il palazzo di cristallo “Lambda”: il progetto è rimasto fermo fino all’accordo raggiunto nei giorni scorsi, per un furioso dibattito interno al consiglio comunale di Oslo sull’impatto ambientale dell’edificio.