L’immagine di Anna Frank
Da anni le due fondazioni che gestiscono i documenti e la memoria di Anna Frank si lanciano reciproche accuse, l'ultima delle quali sull'immagine stessa della giovane ebrea
Da anni è in corso una battaglia legale tra le due fondazioni che si occupano dei documenti e della memoria di Annelies Marie Frank, detta Anne (in italiano Anna), la ragazza ebrea morta a 15 anni nel campo di sterminio nazista di Belsen, e autrice di un famoso diario autobiografico. Dal 1960 ad Amsterdam è stata allestita una casa-museo nell’abitazione dove la famiglia Frank si nascose per due anni, dal 1942 al 1944, durante l’occupazione tedesca dei Paesi Bassi. Dopo che i nazisti scoprirono il rifugio, la famiglia Frank fu deportata nei campi di concentramento e riuscì a sopravvivere soltanto il padre Otto.
La gestione del museo è affidata alla Casa Anna Frank, fondazione olandese nata nel 1957, mentre una Fondazione svizzera (Anne Frank Fonds) è stata creata successivamente (nel 1963) grazie al padre di Anna, Otto Frank, per gestire i diritti d’autore del famoso “Diario”. Le due associazioni hanno lavorato insieme per molti anni, soprattutto per impedire qualsiasi speculazione commerciale sul nome di Anna Frank, ma negli anni Novanta sono iniziate le prime divergenze.
L’associazione svizzera aveva infatti cercato di ottenere i diritti esclusivi sul nome “Anne Frank”, promuovendo un’azione legale contro la fondazione di Amsterdam che aveva deciso di raccogliere fondi producendo una serie di articoli come magliette e tazze da caffè firmate “Anne Frank”, per ampliare il museo di Amsterdam. Per il finanziamento delle sue attività, la Casa di Anne Frank dipende per il 95 per cento dalle visite dei turisti alla casa. Una delle più importanti battaglie legali riguarda la gestione di circa 10 mila documenti d’archivio che ognuna delle due entità rivendica come propri. La fondazione svizzera li aveva prestati al museo olandese che non li ha più restituiti sostenendo di essere il legittimo proprietario: relativamente a questo fatto è attesa una sentenza nelle prossime settimane.
Al centro delle ultime accuse tra le due fondazioni c’è però una questione più ampia: quella relativa all’immagine stessa della giovane donna per le nuove generazioni. La fondazione svizzera sostiene che la Casa ha trasformato Anna in un’icona fuori da ogni contesto, slegando la sua storia da quella dei milioni di ebrei morti durante l’Olocausto. A sua volta, l’associazione del museo sostiene che la sua interpretazione di Anna è in linea con i desideri del padre, che ha passato il resto della sua vita a diffondere il messaggio di tolleranza che la figlia rappresentava. Tra gli obiettivi della “Casa Anna Frank” c’è infatti portare “in tutto il mondo” la sua vicenda “al fine di far riflettere sui pericoli rappresentati dall’antisemitismo, dal razzismo e dalla discriminazione e sull’importanza di valori come la libertà, l’uguaglianza dei diritti e la democrazia”. Ronald Leopold, direttore della casa-museo, ha detto che uno dei desideri di Otto Frank era che la figlia fosse un “simbolo del futuro” e non del passato.
La casa di Amsterdam è rimasta così come il padre di Anna la ritrovò dopo la guerra, senza arredi e con la soffitta poco illuminata. Nelle altre stanze si possono vedere le pagine del diario originale, brani del testo, altri documenti d’archivio e molte immagini della ragazza. Ma ci sono pochi riferimenti all’Olocausto, ai campi di concentramento e alla propaganda nazista, e questa scelta è stata molto criticata dalla fondazione svizzera di Basilea. Yves Kugelmann, portavoce dell’associazione svizzera, ha infatti dichiarato che al museo «hanno una percezione sbagliata della verità e della storia», che il volto sorridente di Anna è «onnipresente» e che «la casa è diventata un luogo di pellegrinaggio» dove la ragazza viene utilizzata «per tutto e per niente».
Foto: una statua di Anna Frank al Madame Tussauds,
museo delle cere di Berlino, marzo 2012 (AP Photo/Marty Lederhandler)