Snowden è un eroe o un criminale?
La stampa statunitense discute molto di quello che ha fatto Edward Snowden, la fonte del Guardian sul programma PRISM, e di come giudicarlo
Da quando il Guardian ha rivelato l’identità della persona che ha consegnato i documenti riservati su PRISM – il programma grazie al quale la National Security Agency (NSA), l’Agenzia per la sicurezza nazionale statunitense, da almeno 6 anni controlla le comunicazioni online dei clienti delle più grandi società informatiche del mondo – sui giornali americani si è iniziato a scrivere e discutere su come si debba considerare l’informatore, Edward Snowden: è una spia, un criminale o un eroe?
Molti editorialisti e giornalisti ne hanno scritto – tra questi la CNN, il New Yorker, il Los Angeles Times e il Washington Post – dividendosi tra chi lo considera un uomo che ha compiuto un’azione coraggiosa, rivelando documenti riservati che descrivono politiche come minimo controverse, e chi crede che sia solo “un grande narcisista che merita di finire in prigione”.
Edward Snowden, un eroe
Douglas Rushkoff, editorialista di CNN, paragona Snowden a Daniel Ellsberg, l’informatore che diffuse i “Pentagon Papers“, documenti riservati sulla guerra in Vietnam. Ellsberg fu perseguito e poi assolto, dopo che si venne a sapere che i collaboratori del presidente Nixon avevano condotto intercettazioni telefoniche illegali ai suoi danni, per cercare di screditarlo. Allora gli americani si indignarono, ricorda Rushkoff, sia per le accuse contro Ellsberg sia per i metodi poco ortodossi usati dall’amministrazione Nixon: cosa dovrebbero fare ora, che a essere sorvegliate e controllate sono moltissime persone in tutto il mondo?
Rushkoff scrive che Snowden ha fatto un vero atto di eroismo, rinunciando alla sua libertà e alla sua sicurezza: ha capito che il funzionamento di una macchina, come quella che ha guidato il programma PRISM della NSA, ha bisogno di un “intervento umano”, una specie di aggiustamento delle derive che la macchina può prendere se non viene controllata.
«Se lasciamo che l’evoluzione delle nostre macchine guidi l’evoluzione della nostra politica, il solo possibile risultato è quello che Snowden chiama “turnkey tyranny”. […] Snowden è un eroe perché ha capito che la nostra vera umanità è stata compromessa dalla cieca implementazione del lavoro di macchine usate in nome della sicurezza. A differenza di quelli intorno a lui, che erano troppo assorbiti dal loro lavoro per riflettere sulle loro azioni e mettere un freno alla ricerca di un’onniscienza digitale, Snowden ha permesso a sé stesso di essere “disturbato” da quello che stava facendo»
John Cassidy del New Yorker la pensa come Rushkoff, anche per un altro motivo: le informazioni che Snowden ha passato al Guardian non rivelano nulla degli algoritmi che la NSA utilizza nel programma PRISM, non specifica i suoi obiettivi e non rivela l’identità degli agenti statunitensi coinvolti. Non contiene informazioni legate a piani militari e conversazioni tra autorità statunitensi e straniere. Insomma, non hanno compromesso la sicurezza nazionale. Inoltre, come ha scritto anche Glenn Greenwald, il giornalista del Guardian che ha reso pubblico il caso PRISM, Snowden non ha agito come fece Bradley Manning passando le informazioni a WikiLeaks: ha raccolto e studiato per mesi ogni singolo documento e non li ha caricati online in maniera irresponsabile.
L’argomento più importante di chi crede che Snowden sia un eroe si basa su due assunti: anzitutto il programma PRISM non sarebbe legale, visto che non è stato autorizzato da nessun ordine di un tribunale; inoltre, nonostante il programma non preveda il controllo delle comunicazioni degli americani, tra eccezioni e interpretazioni estensive dei poteri della NSA queste avrebbero coinvolto anche cittadini americani. Questa pratica, oltre a essere contraria alla Costituzione degli Stati Uniti, è stata smentita apertamente dallo stesso James Clapper, direttore dell’intelligence americana, durante un’udienza al Senato un paio di mesi fa.
Edward Snowden, un criminale
Se da una parte il passaggio di informazioni riservate tra fonti interne – “whistleblower” – e giornalisti è indispensabile e favorisce la libertà di stampa, scrive Jeffrey Toobin sul New Yorker, quello che ha fatto Snowden è stato irresponsabile: ha fatto trapelare informazioni che le stesse istituzioni per cui lavorava ritenevano non dovessero essere divulgate, non perché le pratiche descritte fossero illegali – non lo erano, fino a prova contraria – bensì perché a lui non piacevano. Lo stesso argomento, anche se in maniera meno netta, è stato ripreso anche da Adam Cohen, giornalista di Time. Snowden ha deciso cosa fosse giusto e cosa fosse sbagliato. Lo stesso Washington Post, prosegue Toobin, ha deciso di pubblicare solo 4 delle 41 slides PowerPoint che gli erano state fornite, mostrando una responsabilità e un giudizio che Snowden non ha avuto. Toobin ha scritto:
«Questi erano programmi legalmente autorizzati; nel caso delle telefonate della Verizon, Snowden lo sapeva con certezza, perché fece trapelare proprio l’ordine di un tribunale che autorizzava quel programma. Snowden quindi non ha diffuso qualcosa di illegale, ma solo qualcosa che non andava a genio ai suoi standard. La domanda, naturalmente, è se un governo può funzionare se tutti i suoi dipendenti (e i collaboratori) pensano sia loro diritto decidere se sabotare i programmi che non sono di loro gradimento. Questo è quello che ha fatto Snowden»
Toobin parla anche di un’altra questione, che è stata citata più volte in questi ultimi giorni: Snowden ha deciso di rifugiarsi a Hong Kong, spiegando che in questa città «hanno mostrato un grande impegno per la libertà di parola e per la difesa dei diritti dei dissidenti politici». Il problema, scrive Toobin, è che Hong Kong è parte della Cina, e ora i documenti segreti che Snowden ha trafugato alla NSA potrebbero finire nelle mani del governo cinese, che oltre a non essere proprio campione della libertà di stampa, da tempo è accusata dagli Stati Uniti di portare avanti attacchi informatici contro obiettivi americani. In pratica questi documenti potrebbero essere usati contro gli Stati Uniti, mettendone in pericolo la sicurezza.