El especialista de Barcelona
Le prime pagine del nuovo libro di Aldo Busi, dove un uomo, che non ha voglia di scrivere e di vivere come gli altri, racconta la sua storia
di Matteo Maio - Caffeina
C’è un uomo seduto all’inizio della rambla di Barcellona, da solo, l’unica compagnia che ha è una foglia di platano. L’uomo non ha nessuna voglia di scrivere e nessun desiderio di vivere come tutti gli altri, perché il mondo che lo circonda è un mondo finto, opportunista e meschino. Quel mondo, dove l’apparire prevale sull’essere, è popolato da una civiltà ossessionata dal falso problema di fare bella figura e da quello vero di sopravvivere.
L’uomo seduto all’inizio della rambla è il protagonista del nuovo libro di Aldo Busi, “El especialista de Barcelona”, pubblicato da Dalai editore e tra i dodici finalisti del Premio Strega. In occasione della rinnovata collaborazione tra il Festival Caffeina Cultura e il Premio Strega, ne pubblichiamo le prime pagine.
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‘C’erano una volta gli altri… ay ay ay ay ay ay cantaaabaaa …’ Che brezza d’incanto, puntuale, frizzante, gentile, e l’odore di piscio non è ancora così forte. Nella mia memoria, voglio dire, perché sono vent’anni che qui l’odore di piscio è scomparso, almeno a quest’ora del giorno; dal tramonto in poi qui è dominio delle prostitute nigeriane, le più aggressive, insolenti cacciatrici di polli da spennare e, se ci scappa anche un certo qual che di veloce tra le gambe e le labbra all’aria aperta delle colonne di Plaza Sant Josep dove c’è il Mercat de la Boqueria a poche centinaia di metri da qui, figuriamoci una pisciatina da mezzanotte a alba inoltrata contro i platani della Rambla! Ma se vuoi davvero sapere come qui era avvolgente, selvaggiamente innocente e picaresco alla buona l’odore di piscio vent’anni fa, e anche fino a dieci anni fa, adesso devi andare a Madrid a Plaza Tirso de Molina, tre uccelli di media e di colori diversi che in qualsiasi momento della giornata, tra la giostrina dei bambini, il muretto della fontana, i chioschi delle fioraie e alberi a parte, vengono sgrullati alla grande, senza fretta, con dovizia di saltelli e sospironi ognuno secondo il suo estro, la sua etnia e il suo grado di disoccupazione. Magari questo fine settimana, a conclusione della sua Giornata Mondiale della Gioventù, il Buon Pastore tedesco-romano potrebbe farci una scappatina: Barcellona tutta è dell’umanità il precario presente, Plaza Tirso de Molina a Madrid lo stabile avvenire. Sempre utile saperlo in anticipo per qualunque carismatico teorico della realtà, no? Lui annusa le cortecce di Plaza Tirso de Molina e tutta la teologia fa un salto di stupore e quindi di qualità.
Bene, anche oggi sono fortunato, dal Café Zurich vedo che la mia sedia di ferro preferita è libera. Il tempo che scatti il verde e con un balzo vi sarò sopra.
‘Ma che fa quell’imbesuito con la croce stampata sulla maglietta?
Mica vorrà occuparmela lui! Mia, mia, arrivato prima io… ay ay ay ay ay gemìììaaa…’ – queste ì però con la bacchettina dall’altra parte, niente di grave.
L’emorroide vagante, più un tocco di infiammazione di prostata da abbuffata di salchichòn picante… la ò col suo cicciolo d’accento pure dall’altra parte… e un tramestio di acidità di stomaco, si predispone a regalarmi quella strizza a intermittenze intrisa di romanticismo e sanguigna passione consona alla mia età.
Altre strizze non vi saranno mai più… d’amore, intendo… strizza di terrore a parte, anche se mi sembra che all’occasione sarebbe momentaneo anch’esso e che resterei terrorizzato il tempo, velocissimo, di abbassare le palpebre dalla poco sorprendente sorpresa e rassegnarmi con serenità all’evento, a qualsiasi evento.
Basta che i miei persecutori nell’ombra facciano alla svelta con l’elicotterino assassino che avranno adottato per farmi fuori, corda veleno cuscino pallottola coltello calce viva cappio discarica che sia resterei impassibile, anzi, farei finta di non rendermene conto. Anche se, mi lasciassero pure come sto ora, mica li si può rimproverare di non aver centrato il bersaglio. L’unico tipo di altri che semmai c’è ancora sono loro, i miei sicari nell’ombra, altri non ne sono rimasti.
Sono un morto civile, uno fatto fuori senza spargimento di sangue esterno, senza colpo ferire e senza sollevare polveroni, nessun coccodrillo e nessuna indagine in vista, la cosa ormai mi diverte e, invece di dissanguarmi ulteriormente, rigenera la mia allegria già di carattere: l’affare l’ho fatto io, aver fallito il riconoscimento del mio valore da vivo è l’estremo brillio della mia sudatissima medaglia di vivissimo, non salterò su una delle loro onorifiche mine antiuomo, le ho schivate tutte.
Hai mai messo bene a fuoco le facce dei satrapi dalle pappagorge di testuggine che appuntano decorazioni sul petto di un disgraziato dal successo corrente che ce l’ha fatta a piacere, a omologarsi e a farsi dare un abbraccio accademico o chiesastico? L’opaca porcinità dei loro sguardi benevolenti? La pettoruta ridicolaggine delle loro funzioni solenni in vita e non appena post mortem? Ce l’ho messa tutta nel farmi considerare persona non degna e non grata da questi qui e ci sono riuscito.
Io non sono una volpe alla Esopo dissociata dalla sua sconfitta, sono io, e la loro uva acerba mi fa schifo tanto è marcia, inutile che continuino a abbassarmela, ormai mi arriva a fior di labbra: la vera uva da rubare è un’altra, l’uva più matura e prelibata e irraggiungibile resto io per loro. Non riusciranno mai a afferrarmi. Ci creperanno, del loro disprezzo per me per averli io dissociati da me.
La furbizia serve a difendersi, l’intelligenza a andare all’attacco. Basterebbe invertire le armi e gli scopi e è fatta, ottieni ciò che vuoi da chi vuoi, sei portato in trionfo alto sulle teste della folla acclamante di uomini buoi e di donne vacche: un cadavere esemplare per scaltro quieto vivere in cui qualunque ipocrita sentimentaloide si rispecchia.
Avendo vissuto seguendo solo le mie intuizioni civili e poetiche, cioè politiche tout court, e contrastando a muso duro e testa alta qualsiasi convenzione volesse inibirmi e censurarmi e corrompermi e favorirmi e castrarmi, mi sembra di aver vissuto seimilatrecento anni. Certo, le budella mi si attorcigliano ancora di più, se ci penso, se penso a tutte le soperchierie che continuano a piovermi addosso per non adeguarmi al sistema delle bestie feroci contro le bestie inermi in attesa di inferocirsi, gli umani sono tutti umani a pari grado, che novità! Ma non c’è niente da fare, ci sono gli umani-plancton che servono e gli umani-squali che se ne servono, io sono tutt’al più un pesce piccolo al quale fa orrore il plancton che gli spetterebbe, mi nutro solo di alghe e però sto attento a non farmi mangiare. Ci riesco da secoli, mi sembra, vivo per miracolo da tenacia e per grazia ricevuta che mi faccio da me ma vivo. Squame e coda e pinne un bel po’ smangiate via ma vivo da secoli, forse da millenni. Perciò e però sono il più moderno, il più fresco, il più fanciullesco dei matusalemme del regno animale avanzato, un po’ di fatalismo ormai ci sta, e anche un bel po’ di stitichezza, ancora tanto che non mi sia mineralizzato dallo sterno all’inguine, a meno che, per l’appunto, non me ne sia accorto.
Può accadermi qualsiasi cosa, da una canna di pistola in bocca al taglio della lingua al Nobel per la Solita Zuppa di Lingua Salmistrata, basta che, se non è zuppa con impegno rosa, sia pan bagnato in rose di passione, ma ciò che non accade tra me e me non accade più. Non ho bisogno di agnizioni e di riabilitazioni e non ci sono ovili nel cui seno ritornare, e non devo guarire da alcunché, a parte lasciare che la memoria spifferi via, perché la mia memoria mica è mia, è subìta come per chiunque, e, siccome non posso cambiarla, voglio disperderla prima di morire, non portarmi appresso questo stupido, obsoleto fardello degli altri, degli umani che mi sono capitati in vita…
“Repulisti! Repulisti!”
…da dove sbuca adesso questa chioccia vocina da cappone, daaa… fagiano accapponato?
E da seduto mi dimentico al meglio. Del karaoke sociale con sottofondo di urla e di spari e dei lamenti dei reprobi, della cultura della pancia da riempire e di tutto ciò che comunque sta sotto la cintura, mi dimentico dell’alienazione altrui, ecco, quindi di me che la subisco e che, anziché puntare su un altro umanottero… che tanto si rivelerà uno che non ha letto niente e niente vuole sapere più di quel che ignora e che l’unico trasporto che sente verso di me, un esempio irraggiungibile che gli morde l’amor proprio, se non proprio la coscienza, è o uccidermi o fare il bel gesto di risparmiarmi… punto a una sedia.
Por ejemplo, dimenticarmi – lasciando perdere gli altri diecimila libri dai quaranta ai sessantatré anni di ora anche campandoci un bel po’ – che da bambino fino ai quaranta avrò letto, preso in mano, consultato circa ventimila titoli delle più svariate discipline e letto a fondo i mille e tre capolavori della letteratura universale, e senza camparci, facendo svariati altri lavori, manuali e di fatica, mica di passacarte segretariale, per mangiare e poco più, senza contare il milione e mezzo di pagine di quotidiani e riviste che m’è passato tra le mani in italiano, francese, inglese, tedesco, spagnolo… il catalano dell’especialista de Barcelona non lo conto… e le decine di migliaia di esercizi per imparare le forme grammaticali di questa o quella lingua, i milioni di volte che ho cercato un termine in un dizionario, e se l’ho fatto io, senza mezzi di famiglia e senza istruzione scolastica perché mio padre a scuola non mi ci ha mandato e dopo le medie me ne sono andato via da casa a lavorare in un albergo di Manerba del Garda portatovi dal furgoncino dell’amico del cuore di mio padre, loro due davanti e io chiuso dietro tra sacchi e sacchetti tutti bianchi, e da allora mi sono sempre mantenuto da me, non poteva farlo chiunque? Ricchi e poveri, cugini di campagna e nomadi inclusi?
‘Cucurrucucùùù palooomaaa … Ma pensa te, anche la u con 12 l’accento acuto dovrei strapparmi dalle cervella adesso, perché quelle ù col grave mica me la cantano giusta.’
Perché i figli del popolo, gli operai, le commesse, quelli dei call center, i contadini, gli impiegati, i precari, gli esodati, i disoccupati, i sottoposti tutti, i neoproletari, insomma, per un salario da fame e spesso senza neanche quello, invece di andare in giro a fare casino negli stadi e a impasticcarsi nelle discoteche e a peggiorare il loro stordimento e quindi la loro situazione contrattuale, non restano a casa loro a leggere cercando anche di capire cosa c’è nero su bianco? Capirlo come fatto che apparentemente non ti riguarda e palesemente non ti piace, innanzitutto, prima di proiettarvi la pochezza della tua interpretazione e dei tuoi sentimenti, di quello che tu chiami “il tuo vissuto”?
E se non proprio i capolavori della grande letteratura universale da Omero a me, leggere almeno gli scritti del conte Joseph-Marie de Maistre, por ejemplo, quello dell’infallibilità papale… il vero Dio in Terra e in Cielo è il Papa, Dio non ne è che il vicario, un pretesto suscitatore del testo da dimenticarsi procession facendo, devi credere al Papa, è Lui insieme al Re, anzi, è il Papa Re che orienta il tuo credo e la Verità, se il Papa ti dice che il Lambrusco di Sorbara è un vino bianco secco che si sposa con le capesante, devi evincere da te che il Pinot grigio è un rosso schiumoso che va a braccetto col pesce san pietro e attenertici fino alla Sua prossima sbornia, che cambierà le etichette in tavola e quindi nella tua cantina… il controrivoluzionario e antilluminista e monarchico più sistematico dell’Ottocento, il de Maistre, quella demoniaca sentinella dell’ordine naturale, e dunque legittimo, voluto da Dio – al quale lui crede un bel po’ di meno di quanto è convinto che Dio creda in lui -, il mastino del cristianesimo… Pascal, al confronto, è un barboncino, e Chateaubriand un peluche… secondo il quale l’origine di tutti i mali dell’Occidente risiedeva nella riforma protestante, nonché, se ben ricordo, nella cocciuta selvatichezza senza speranza degli abitanti della Barbagia e in particolar modo delle sue baffute nerovestite, perché era finito a fare il ministro nel Regno di Sardegna e anche lì il pazzerellone le sparava più grosse di un intestino di elefante e tanto flatulente che, volendo, si potrebbe pensare che dicesse tutto l’opposto di quanto dava a intendere intendesse dire – che facesse il doppiogioco, ecco, che affermasse una cosa per incitare i sudditi oppressi all’altra, a quella opposta, a ammazzare re e preti come nel 1789, cosa assolutamente improbabile, ma a questa interpretazione, secondo la quale l’ultrarealista conte de Maistre sarebbe un marchese de Sade pervertito nec plus ultra, mica ci sono arrivato da me: ci sono arrivato grazie alla Fata della candeggina con quella sua citazione “dove c’è un altare, c’è anche una religione” e quindi dove c’è un altare c’è un boia per chi non vi si inginocchia, allorché sarebbe stato più logico per un fervente fedele reazionario all’ultimo sangue come de Maistre scrivere il contrario, “dove c’è una religione, c’è anche un altare” e quindi dove c’è una religione c’è un angelo custode per ognuno dei suoi credenti.
Lei, la mia sbiancante Fatina, neppure si rese conto di avermici portato, perché lo fece involontariamente, se no se ne sarebbe guardata bene. I suoi erano repulisti al contrario: invece di ridurre all’osso, aggiungeva protesi a protesi. Del resto, il suo business universalistico quello era.
Illuminata era illuminata, ma per oscurare gli altri, mica per illuminarli, lei.
O no?