Il blocco del Parlamento in Bosnia
Le foto delle proteste contro il governo, che da tre mesi non fornisce documenti di identità ai neonati: una storia esemplare dei guai del paese
Ieri, giovedì 6 giugno, circa 3000 persone si sono radunate attorno al Parlamento bosniaco a Sarajevo, per protestare contro il fatto che da circa tre mesi il governo non fornisca un documento di identità ai bambini appena nati. Alle quattro di mattina locali di venerdì i poliziotti sono riusciti a fare evacuare le circa 1500 persone bloccate all’interno dell’edificio, per lo più politici e dipendenti pubblici.
Nel febbraio del 2013 in Parlamento è stata bloccata una nuova legge riguardo i documenti di identità, e la fase di incertezza legislativa ha congelato tutte le richieste pendenti per i bambini nati in questi tre mesi: la cosa non permette loro né di accedere al servizio sanitario nazionale né di andare all’estero per alcuni trattamenti medici particolari. In Bosnia i giornali hanno scritto, infatti, che la protesta era iniziata a causa di una voce circolata negli ultimi giorni, secondo cui a un bambino di tre mesi molto malato sia stato proibito di espatriare per ricevere alcune cure speciali.
I manifestanti avevano creato un cordone attorno all’edificio, impedendo alle persone all’interno di uscire. Molti manifestanti erano giovani genitori, alcuni dei quali avevano anche portato i propri figli nei passeggini. Non ci sono stati scontri fra i manifestanti e la polizia. Fra i manifestanti c’era anche il sindaco di Sarajevo, che ha detto di essere andato «per conto dei 1.500 bambini di Sarajevo che non possono andare all’estero».
Il problema è aggravato, come spesso accade in Bosnia, anche da un’ostilità strisciante fra le tre etnie presenti nel paese – bosniaci, serbi e croati – spesso fomentata, anziché arginata, da un governo centrale debole e da una burocrazia farraginosa. La Bosnia è infatti divisa al suo interno in due stati, la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, a maggioranza etnica bosniaca e croata, e la Repubblica Serba di Bosnia Erzegovina, a maggioranza serba: ognuna di esse possiede un proprio Parlamento e un governo locale, ma condivide quello nazionale con l’altro Stato. Tra i blocchi etnici che si formano in Parlamento e i vari livelli di burocrazia è facile immaginare quanto sia complicato fare approvare una legge, soprattutto quando l’argomento è così delicato.
A febbraio i parlamentari della Repubblica Serba infatti hanno ostacolato l’approvazione della legge riguardo i nuovi documenti di identità perché questi non contenevano nessun riferimento ai due Stati interni: in futuro non sarebbe stato cioè possibile distinguere un cittadino bosniaco della Repubblica Serba da uno della Federazione. I parlamentari bosniaci e croati hanno protestato, sostenendo che questa norma andava in direzione di una maggiore unità nazionale, ma i parlamentari serbi hanno votato contro e la legge non è stata approvata.
Giovedì il governo aveva fatto sapere ai manifestanti di essere disposto ad approvare una legge provvisoria, grazie alla quale avrebbe fornito ai bambini un documento di identità valido per sei mesi, ma i manifestanti si erano opposti e avevano richiesto una misura definitiva.
A questo si è aggiunta la crescente insofferenza verso il governo e i politici nazionali: la disoccupazione in Bosnia è salita al 20 per cento e un parlamentare guadagna circa sei volte lo stipendio medio di un lavoratore. Durante la manifestazione alcuni dipendenti del Parlamento avevano tentato di scappare da una finestra, ma sono stati ricacciati a forza all’interno dell’edificio all’urlo di «Tornate dentro a lavorare!».
foto: AP Photo/Amel Emric