La sentenza sul processo Cucchi
Assolti agenti e infermieri, condannati i medici: nessuno è stato considerato responsabile delle lesioni, le condanne sono per il mancato soccorso
Si è concluso il processo di primo grado presso la III Corte d’Assise di Roma per la morte di Stefano Cucchi, avvenuta il 22 ottobre 2009 a Roma. Gli agenti penitenziari e gli infermieri coinvolti nel caso sono stati assolti, mentre i medici dell’ospedale “Pertini”, in cui era ricoverato il ragazzo al momento della morte, sono stati condannati. Nessuno è stato considerato responsabile delle lesioni subite da Cucchi: le condanne ai medici si riferiscono al mancato soccorso, una volta che questo fu portato in ospedale.
Gli imputati nel processo di primo grado erano dodici: sei medici, tre infermieri e tre agenti penitenziari. Le accuse erano, a seconda dei casi, abbandono di incapace – il reato più grave, per cui è prevista una pena massima di otto anni – abuso d’ufficio, favoreggiamento, falsità ideologica, lesioni e abuso di autorità. Un altro imputato, il direttore dell’ufficio detenuti e del trattamento del provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria (Prap), Claudio Marchiandi, ha chiesto il rito abbreviato ed è stato condannato nel 2011 a due anni per favoreggiamento, falso e abuso in atti d’ufficio, ma è stato assolto in secondo grado nell’aprile 2012.
L’accusa, rappresentata dai sostituti procuratori Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy, aveva chiesto la pena più alta, sei anni e otto mesi, per Aldo Fierro, il primario del reparto di medicina protetta dove Cucchi era ricoverato e dove è morto. La pena più bassa tra gli imputati (due anni) è stata chiesta invece per tre guardie carcerarie, accusate di lesioni personali aggravate. Il processo, iniziato nel gennaio 2011, è stato molto lungo e complesso, con oltre 40 udienze e molte decine di testimoni.
Stefano Cucchi, 31 anni, lavorava come ragioniere nello studio di famiglia, nel quartiere romano del Casilino. Intorno alle 23.30 del 15 ottobre 2009 venne arrestato dai carabinieri nel parco degli Acquedotti perché trovato in possesso di droga. Il giorno successivo, dopo una perquisizione notturna nella casa dove viveva con i genitori – che lo trovarono in buona salute – e l’udienza di convalida dell’arresto, venne portato nel carcere romano di Regina Cœli (Cucchi aveva alcuni precedenti penali, ma non per reati connessi alla droga). Successivamente, Cucchi passò sei giorni in diverse strutture e con il coinvolgimento di decine di operatori sanitari e della giustizia, in una catena di abusi e illegalità solo parzialmente ricostruita.
Cucchi morì il 22 ottobre nel reparto protetto dell’ospedale “Sandro Pertini” di Roma intorno alle tre di mattina, come stabilì l’autopsia, i cui risultati vennero resi pubblici solo alcuni mesi più tardi. La sua morte venne scoperta dal personale dell’ospedale solo tre ore più tardi.
Una commissione d’inchiesta del Senato, presieduta da Ignazio Marino, stabilì che al momento dell’ingresso in carcere Cucchi presentava già lesioni gravi al volto, lesioni vertebrali e un sospetto di trauma cranico addominale. Secondo l’accusa, infatti, Cucchi venne picchiato violentemente prima ancora dell’udienza di convalida dell’arresto, la mattina del 16 ottobre. Successivamente, dopo il suo ricovero al “Pertini”, l’accusa sostiene che Cucchi non venne curato né nutrito, lasciandolo morire di fame e di sete, nonostante le sue pessime condizioni cliniche. Cucchi, che era tossicodipendente e soffriva di epilessia, aveva infatti, già dal 19 ottobre, una grave ipoglicemia (mancanza di zuccheri), oltre ai traumi alla testa e alla schiena.
Per questo motivo, il reato contestato ai medici dell’ospedale è quello di abbandono di persona incapace, e non di omicidio colposo: il primo reato prevede pene massime più alte (otto anni invece di cinque). Le accuse di omicidio colposo e di omicidio preterintenzionale (di cui erano inizialmente accusati gli agenti della polizia penitenziaria) sono cadute dopo una prima perizia medica.
Foto: i parenti di Stefano Cucchi, la sorella Ilaria, la madre Rita e il padre Giovanni.
(Mauro Scrobogna / LaPresse)