“Il cielo è dei potenti”
Le prime pagine dell'ultimo romanzo di Alessandra Fiori, tra i 12 finalisti del Premio Strega
di Carlotta Caroli - Caffeina
A settanta anni Claudio Bucci, politico della Prima Repubblica – potente, da sempre all’inseguimento del successo – fa un incontro inatteso. Quell’incontro gli fa venire voglia di raccontare i suoi segreti, i sogni, l’ambizione e l’ascesa. Racconta delle sezioni di partito, dei meccanismi politici, dei compari. Poi Claudio scopre il grande amore, per una sola e unica donna, ma dovrà affrontare un compromesso inevitabile per rimanere all’apice del successo.
Il cielo è dei potenti è un “come eravamo” di una generazione, narrato da un uomo con il demone del comando scritto da Alessandra Fiori, giornalista e scrittrice al suo secondo romanzo. Il libro, pubblicato dalla casa editrice E/O, è tra i dodici finalisti del Premio Strega e in occasione della collaborazione con il Festival di Caffeina, ne pubblichiamo di seguito le prime pagine.
***
L’ho riconosciuto subito. Era quasi buio, la pioggia tagliava la luce dei lampioni e non lo vedevo da oltre quindici anni, ma l’ho riconosciuto subito. Il collo prominente, le braccia lunghe, l’agitarsi delle mani che cercavano di aprire l’ombrello.
C’era la strada a dividerci, per non dire del resto, il suo odore però mi pareva di sentirlo. Tabacco e colonia di quarta. «C’è puzza di Guido» ci dicevamo ridendoci sopra.
In realtà, già negli ultimi tempi della nostra ingloriosa amicizia, Guido era passato ai sigari e a ben altri dopobarba. Ma è così che succede, li senti nell’aria quelli inesorabilmente destinati a segnarti l’esistenza. Per questo mantenevamo una sottile distanza. Da ragazzini, almeno.
Eravamo sì amici, ma non ci eravamo scelti, nessuno dei due era fatto per quelle cose. Abitavamo l’uno di fronte all’altro, frequentavamo la stessa parrocchia ed eravamo finiti nella stessa classe. Con ogni probabilità, tutte quelle coincidenze a tenerci legati altro non erano che uno dei tanti espedienti del destino per far apparire accidentale ciò che è ineluttabile.
Rimane il fatto che stavamo sempre insieme e oggi avremmo uno di quei ricordi che rendono magica l’adolescenza. Se poi non fosse accaduto tutto il resto.
Il suo ombrello non voleva saperne di aprirsi e lui restava al riparo del portico, mentre io continuavo a bagnarmi dietro la fila dei taxi. Alla mia età, per giunta.
Non fosse per i capelli bianchi, le gote rilassate e queste braccia molli, mi si direbbe anche in forma, ma c’è poco da illudersi: un giorno ti svegli e sei vecchio, ecco come succede. Le rughe arrivano una alla volta, eppure c’è sempre un momento in cui la consapevolezza ti fulmina, e per me anche quella è arrivata da un pezzo.
Lui invece sembrava dimagrito. La vecchiaia che tutto rattrappisce aveva normalizzato anche la sua spilungaggine. Dio se era alto.
Era riuscito ad avere la meglio sull’ombrello, quando anche lei ha fatto la sua comparsa. Indossava un cappotto scuro e portava di nuovo i capelli lunghi. Era bella.
Per tornare un vecchio qualunque dovevo solo voltarmi e sparire nel buio. “Qualunque” però non sono mai stato, ho sempre fatto di tutto per non esserlo.
Più di dieci anni a evitare quell’incontro. Altrettanti a desiderarlo. E come da ragazzino, quando mi nascondevo nella camera delle mie sorelle, sono rimasto lì a sentire il battito accelerare. Come allora, la stessa paura di essere scoperto. E la stessa voglia.
Lui le ha offerto il braccio, sussurrandole qualcosa all’orecchio. Lei ha iniziato a ridere. Quella sua risata: alta, argentina, liberatoria. E quella sua leggerezza che avevo dimenticato. Quando l’aveva persa?
Tutta una vita a cercare le parole adatte e non trovarle nei momenti davvero importanti.
Sentivo la pioggia entrarmi nel colletto e l’assurdo desiderio di trovare rifugio tra i suoi capelli morbidi. Poi lui si è voltato dalla mia parte. Riconoscendomi ha perso la sua aria furba, la stessa di quando vinceva al calcio-balilla.
Facevamo a gara su tutto, ma al biliardino Guido era un campione. All’Azione cattolica passavamo i pomeriggi tra quello e il ping-pong. Oppure, ma solo quando ci diceva bene, a correre appresso a una palla vera.
Alle sette c’era la funzione. Chi scappava dalla finestra, chi si chiudeva in bagno. Eravamo una settantina ma in chiesa ci si arrivava al massimo in dieci. Io c’ero sempre. Che mi sarei fatto prete sembrava cosa certa.
Una volta Guido mi mise un sorcio in tasca. Infilai la mano e sentii una cosa pelosa. Era morto. Lo portammo in cappella e gli facemmo il funerale. A quel punto erano già sorte considerazioni tali da far vacillare la mia vocazione.
La corsa è iniziata poco più tardi.
Dall’altro lato della strada, lui mi guardava incerto. Questione di attimi e anche lei avrebbe fatto lo stesso. Lo sapevamo entrambi. Aspettavamo. Cosa sarebbe passato nel suo sguardo non potevamo immaginarlo.
Una scala lunga una vita intera. Un gradino alla volta. Salti, scivolate e tracolli, per poi ritrovarmi solo, davanti al passato, bagnato fino al midollo. Tanto valeva farmi prete, sarei stato più accorto.
Il mio futuro è iniziato con un viaggio.