Legalizzare la prostituzione funziona?
Non in Germania, dice lo Spiegel, dove non sono migliorate le condizioni di vita delle prostitute ma i "protettori" sono diventati più difficili da incriminare
Nel 2001 il Parlamento tedesco ha approvato una legge molto discussa sulla prostituzione, che per la prima volta attribuiva alle prostitute una serie di nuovi diritti e garanzie. Le legge, che di fatto riconosceva la prostituzione come una professione come tante altre, fu votata dai partiti dell’allora coalizione di governo, il Partito Socialdemocratico (SPD) e i Verdi, e sostenuta da diversi movimenti di attivisti. Entrò in vigore il 1 gennaio 2002, e da allora i risultati di quella legalizzazione sono stati oggetto di disaccordi e discussioni.
Il quotidiano tedesco Spiegel ha pubblicato il 30 maggio un lungo articolo che cerca di spiegare cosa sia cambiato con la legge sulla prostituzione del 2001, raccontando tra le altre cose diverse storie di donne costrette a prostituirsi in Germania. La tesi dello Spiegel, argomentata con dati di diversi studi e con alcune testimonianze, è che la nuova normativa tedesca sulla prostituzione ha creato più effetti negativi che positivi. Il quotidiano tedesco la mette a confronto con la legge adottata sullo stesso tema dalla Svezia nel 1999, che al posto di legalizzare ha “criminalizzato” la prostituzione: i risultati raggiunti dalla Svezia sarebbero notevolmente – e anche inaspettatamente, per certi versi – migliori di quelli tedeschi.
Che cosa ha cambiato la legge sulla prostituzione del 2001
Sono cambiate molte cose: in sintesi, si può dire che la Germania con la legge del 2001 ha adottato un modello cosiddetto “regolamentarista”, cioè che non solo non punisce la prostituzione, ma cerca anche di regolarizzarla. I cambiamenti più importanti con la nuova legge sono stati diversi:
– La questione della moralità. In Germania fino all’entrata in vigore della nuova legge non c’erano delle norme precise e sistematizzate sul tema: la prostituzione e la gestione di bordelli erano attività legali, anche se limitate da una serie di leggi diverse in molti aspetti. Tuttavia, queste attività erano considerate immorali e antisociali, e di conseguenza alle prostitute non veniva riconosciuto alcun diritto. Dal 2002, il rapporto tra cliente e prostituta non è più considerato “immorale” per la legge.
– I diritti delle prostitute. La prostituzione non era riconosciuta come professione: non era quindi possibile stipulare dei contratti, e allo stesso modo le prostitute non avevano diritto a tutto ciò che ne conseguiva, come l’assicurazione sanitaria, il sussidio di disoccupazione e la pensione. Con la nuova legge, le prostitute possono stipulare un contratto capo-dipendente con il proprietario-gestore del bordello, in modo da avere accesso a tutti quei servizi che lo Stato mette a disposizione ai suoi cittadini che pagano le tasse.
– La gestione di un bordello. Prima del 2002 i bordelli, nonostante non fossero illegali, non erano riconosciuti come vere e proprie attività a cui poter registrare o concedere una licenza: il loro status era perciò molto incerto. La nuova legge concede ai bordelli la possibilità di registrarsi come attività commerciali.
– Il ruolo del “protettore”. In precedenza era illegale e si riteneva fosse un crimine l’attività di “promozione della prostituzione”, un’accezione un po’ ampia e imprecisa che fu definita meglio nel corso degli anni da altre leggi e dalla letteratura legale: “creare un’atmosfera elegante e discreta” o fornire dei preservativi, ad esempio, era considerato illegale. In pratica, qualsiasi investimento per migliorare le condizioni e la protezione per le prostitute poteva essere perseguito. In generale era la figura del “protettore” ad essere illegale.
La logica di questa legislazione era quella di forzare le prostitute ad abbandonare la loro professione il più in fretta possibile. Con la nuova legge il reato di “promozione della prostituzione” è stato sostituito da quello di “sfruttamento della prostituzione”. Fare il “protettore”, ad esempio, può essere considerata un’attività di sfruttamento solo quando c’è un incasso di più della metà di quello che la prostituta guadagna dai suoi servizi sessuali.
Le cose che non hanno funzionato
L’associazione Erotik Gewerbe Deutschland ha stimato che in Germania ci sono oggi tra le 3.000 e le 3.500 strutture dove si esercita la prostituzione: ci sono circa 500 bordelli a Berlino, 70 a Osnabrück e 270 nel piccolo stato sud-occidentale del Saarland. Alcune agenzie di viaggi offrono dei tour che durano fino a otto giorni nei bordelli della Germania. Ai potenziali clienti viene offerto un servizio “legale” e “sicuro” e vengono promesse fino a “100 donne completamente nude”, “che indossano solo i tacchi”.
Con la nuova legge diversi bordelli si sono messi in regola registrandosi come vere e proprie attività commerciali, ma senza che a questo si accompagnasse un miglioramento delle condizioni delle prostitute. Le prostitute che hanno regolarizzato il loro status professionale sono state pochissime: nonostante il sindacato tedesco Ver.Di avesse preparato dei contratti “campione” per facilitare la regolarizzazione della posizione professionale di molte prostitute, solo l’1 per cento di quelle contattate dallo Spiegel sarebbe sotto contratto.
Lo Spiegel racconta la storia di Alina, una prostituta arrivata dalla Romania e finita a lavorare in un bordello vicino all’aeroporto di Berlino. La vita di Alina si era ridotta a dipendere in tutto e per tutto dal suo “protettore”: non poteva fare nulla in maniera autonoma – anche per comprare degli snack o delle sigarette doveva essere accompagnata da una guardia – e non poteva decidere che servizi sessuali offrire ai clienti, come invece prevede, tra le altre cose, la nuova legge del 2001.
La storia di Alina, hanno detto molte organizzazioni ed esperti che si occupano del fenomeno della prostituzione in Germania, non è inusuale. Le prostitute che lavorano nel paese sono circa 200 mila, di cui una percentuale tra il 65 e l’80 per cento proviene dall’estero, la maggior parte da Romania e Bulgaria: sono costrette a prostituirsi – e non scelgono di farlo liberamente – vivono negli stessi posti in cui lavorano, subiscono violenze e non hanno un’indipendenza economica che gli permetta di abbandonare il “protettore” o la loro professione.
Per la polizia e le autorità giudiziarie è diventato sempre più difficile provare l’unico reato rimasto legato alla figura del “protettore”, cioè quello dello sfruttamento della prostituzione: ad esempio, è sfruttamento della prostituzione se il “protettore” ottiene più della metà di ciò che ha guadagnato la prostituta, ma questo è molto difficile da provare. Le autorità tedesche che lavorano nei cosiddetti “quartieri a luci rosse” si lamentano del fatto che non sono più in grado di avere accesso ai bordelli. Mafrud Paulus, ex capo detective della città meridionale di Ulma, ha raccontato allo Spiegel che la Germania è diventata un «centro per lo sfruttamento sessuale di giovani donne dall’Europa dell’Est, tanto quanto una sfera di attività per i gruppi del crimine organizzato di tutto il mondo»
La politica e i numeri
Cinque anni dopo l’introduzione della legge sulla prostituzione, fu lo stesso ministero della Famiglia tedesco a fare un bilancio non proprio positivo della legge: la relazione del ministero diceva che gli obiettivi erano “stati raggiunti solo in parte”, aggiungendo che la legalizzazione non aveva portato ad alcun miglioramento effettivo misurabile in termini di copertura sociale delle prostitute: né le condizioni di lavoro né le possibilità di abbandonare la professione erano migliorate, e non c’era “alcuna prova solida che dimostrasse” che la legge aveva ridotto la criminalità.
Il problema del traffico di essere umani e della prostituzione forzata è stato riconosciuto anche dall’attuale governo in carica in Germania. Dopo anni di discussioni, la coalizione di governo di centrodestra sta per raggiungere un accordo per rafforzare le pene per tutti coloro che sono coinvolti in questi crimini, oltre che regolare in maniera più efficiente le attività commerciali dei bordelli.
Dal punto di vista statistico, sembra che la Germania non abbia problemi con la prostituzione e il traffico di essere umani. Secondo l’Ufficio federale di polizia, nel 2011 ci sono stati 636 casi verificati di “traffico di essere umani per fini di sfruttamento sessuale”, quasi un terzo meno dei 10 anni precedenti. Ma sono dati molto parziali, che si basano praticamente solo sulle testimonianze delle prostitute. Altri studi sembrano avere indicato una tendenza diversa: uno studio del 2005 commissionato dal Parlamento Europeo, ad esempio, aveva cercato di fornire una stima annuale del traffico di persone destinate allo sfruttamento sessuale in Germania.
Le stime mostravano una diminuzione del numero di vittime fino alla fine del 2001, prima dell’entrata in vigore della legge, e un aumento dopo il 2002. Più che alla legalizzazione della prostituzione, comunque, diversi studi hanno mostrato come il traffico di esseri umani sia legato al numero di prostitute in quel paese: più aumentano le prostitute – effetto anche della legalizzazione – più aumenta il traffico di esseri umani, come successo in Germania dal 2002.
Germania contro Svezia
Due anni prima che la legislazione fosse approvata in Germania, la Svezia si era già occupata della questione della prostituzione, ma con un approccio completamente diverso: nel 1999 il parlamento svedese decise di rendere completamente illegale comprare i servizi sessuali. La legge svedese era stata elaborata non sulla base del diritto delle prostitute di prendere decisioni autonome, come era successo in Germania, ma sullo stato egalitario di uomini e donne: l’argomento, in breve, è che la prostituzione è sempre sfruttamento, e c’è sempre una differenza di potere tra le parti coinvolte.
Dopo l’entrata in vigore della nuova legge in Svezia, l’influente giornale tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung scrisse che la decisione del parlamento svedese era una “sconfitta per il movimento femminista svedese”. Eppure, secondo l’attivista svedese Kajsa Ekis Ekman, che aveva sostenuto molto la legge, i risultati sono stati notevoli: la prostituzione esiste ancora in Svezia, ma quella nelle strade è diminuita della metà.
Nel 2004 Gunilla Ekberg, avvocato svedese esperta di prostituzione e traffico di esseri umani, realizzò uno studio basato su diversi dati forniti nel corso degli anni dal ministero dell’Industria svedese. Secondo Ekberg il numero totale delle prostitute in Svezia era sceso da circa 2.500 del 1999 a circa 1.500 del 2002: nello stesso periodo erano scese anche le percentuali relative alla prostituzione in strada, passata dal 50 per cento al 30 per cento circa. Nonostante Ekberg avesse previsto nel suo studio anche la possibilità di un aumento della cosiddetta “prostituzione nascosta”, quella ad esempio in cui i contatti avvengono tramite il web, in generale la maggior parte degli studiosi sono concordi nel dire che in Svezia la proibizione della prostituzione ha fatto sì che questo mercato effettivamente si contraesse.
Per quanto riguarda il traffico di esseri umani a fini di sfruttamento della prostituzione, i numeri sembrano mostrare una tendenza contraria rispetto a quella della Germania. I dati su questo tipo di traffico in realtà non esistono riferiti a tutto il territorio svedese prima del 1999, cioè prima che la nuova legge in Svezia entrasse in vigore. Ma uno studio del 2012 realizzato da alcuni centri di ricerca e università tedeschi, svizzeri e britannici, presenta i risultati di un esperimento interessante: ha utilizzato i dati relativi alla Danimarca dopo il 1999, anno in cui il parlamento danese adottò una legge praticamente uguale a quella svedese sulla prostituzione pre-1999.
Lo studio partiva dall’idea di poter considerare i dati della Danimarca post-1999 come un riferimento credibile per la situazione della Svezia pre-1999, date anche le condizioni simili socio-economiche dei due paesi, e la loro vicinanza geografica. Nel 2004 in Danimarca le vittime di traffico di esseri umani erano circa 2.250, mentre in Svezia circa 500, un numero oltre 4 volte più grande, nonostante la popolazione svedese sia solo il 40 per cento in più di quella danese. Inoltre, le prostitute in Danimarca erano 6.000, almeno quattro volte di più di quelle stimate in Svezia.