Le novità sul finanziamento pubblico ai partiti
Ieri il governo ha annunciato modifiche ma la strada è ancora lunga: il nuovo sistema partirà nel 2017 e alcuni aspetti fondamentali sono ancora da chiarire
Venerdì 31 maggio il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge di 15 articoli per abolire in modo graduale il finanziamento pubblico ai partiti, sostituendolo con un sistema di incentivazione fiscale che consenta ai cittadini di poter contribuire privatamente. Trattandosi di un disegno di legge, il provvedimento subirà modifiche sia nelle Commissioni parlamentari che se ne occuperanno, sia nel Parlamento che poi dovrà approvarlo definitivamente. È comunque uno dei temi più discussi di questi giorni e al centro di proposte di modifica già da diversi mesi.
Secondo la proposta del governo, le riduzioni dei finanziamenti dovrebbero iniziare dall’anno prossimo, quindi l’erogazione dei fondi pubblici prevista per luglio 2013 (di 91 milioni di euro) verrà comunque effettuata. Dal 2014 il finanziamento stabilito con le leggi attuali dovrebbe ridursi al 60 per cento, dal 2015 al 50 per cento e nel 2016 al 40 per cento. Il nuovo sistema entrerà a regime a partire dal 2017.
Come funziona oggi il finanziamento pubblico
Il finanziamento pubblico ai partiti politici è stato abolito con un referendum nel 1993: il sistema attuale di ripartizione prevede però dei “rimborsi” elettorali per le elezioni politiche, regionali ed europee e di fatto quindi non lo ha abolito. La legge numero 96 del 2012 ha ridotto l’entità del finanziamento, dimezzandola: si è passati da 182 a 91 milioni di euro per il 2012. Di questa cifra, il 70 per cento viene dato direttamente dallo Stato (circa 63 milioni e 700 mila euro), mentre il 30 per cento (circa 27 milioni e 300 mila euro) viene dato sotto forma di cofinanziamento: si dà la possibilità ai partiti di finanziarsi autonomamente, attraverso quote associative e finanziamenti dei privati.
Nel caso dei finanziamenti di privati, i partiti ricevono oggi 50 centesimi per ogni euro dato da persone fisiche o enti e ogni contributore non può superare la soglia di 10 mila euro, mentre il resto viene trattenuto dallo Stato. Per ottenere i finanziamenti, i partiti devono ottenere almeno il 2 per cento di voti alla Camera o avere almeno un eletto. I rimborsi elettorali previsti per la legislatura in corso – stabiliti dal governo Monti – ammontano a 159 milioni di euro complessivi per i cinque anni della legislatura, di cui 46 milioni al PD, 43 milioni al M5S, 38 milioni al PdL e 15 milioni alle liste Monti (Scelta Civica, UdC e FLI). Il Movimento 5 Stelle ha già annunciato che rinuncerà alla sua quota.
I prossimi tre anni
Già per i prossimi tre anni il governo ha previsto un taglio dei finanziamenti pubblici, in attesa della messa a regime del nuovo modello basato sui contributi fiscali. Il nuovo sistema potrà partire infatti soltanto nel giugno 2015, quando i cittadini potranno dichiarare i propri redditi relativi all’anno precedente, il 2014: a quel punto lo Stato impiegherà qualche mese per stabilire l’ammontare esatto della quota che verrà data a ciascun partito.
Fino a quel momento, in via transitoria, ai partiti saranno applicati dei tagli nelle quote che riceveranno. Queste quote, in base alle intenzioni del governo sono:
del 40 per cento nel primo esercizio successivo a quello dell’entrata in vigore del disegno di legge (2014).
del 50 per cento nel secondo esercizio successivo a quello dell’entrata in vigore del disegno di legge (2015).
del 60 per cento nel terzo esercizio successivo a quello dell’entrata in vigore del disegno di legge (2016).
Come si potrà contribuire
Il governo ha previsto tre diversi modi con cui i cittadini potranno decidere di finanziare i partiti. A partire dal 2014, intanto, si potrà scegliere se dare il 2 per mille dell’Imposta sul Reddito (IRE), che andrà a un fondo comune. Il disegno di legge del governo prevede la possibilità per il contribuente di indicare sulla scheda un unico partito o movimento politico a cui destinare la quota, oppure di dichiarare di mantenerla a favore dello Stato.
Se non ci sarà una scelta esplicita, le risorse accumulate andranno allo Stato, che poi ripartirà i soldi tra i partiti e i movimenti politici in proporzione ai voti «conseguiti da ciascun avente diritto» alle ultime elezioni. Non è stato chiarito però – ed è un punto molto importante – se c’è l’ulteriore possibilità di non dare affatto il 2 per mille al fondo comune per i partiti (ci torniamo).
Un’altra modalità prevista, dal nome complicato, è quella delle detrazioni di imposta per le erogazioni liberali delle persone fisiche: cioè le donazioni spontanee di somme di denaro o di beni nei confronti di organizzazioni senza scopo di lucro o delle università, che sono possibili già oggi.
Le detrazioni per le cifre date ai partiti saranno progressive: al 52 per cento per importi compresi tra 50 euro e 5000 euro annui, al 26 per cento per importi tra 5001 euro e 20 mila euro. Nel testo però non è specificato se, pur non ottenendo detrazioni, sarà possibile donare più di 20 mila euro. Infine, il governo ha previsto un sistema di agevolazioni e sconti per i partiti su alcuni servizi: per le sedi dei partiti, per le sale convegni, per alcune tariffe (telefoni ed energia elettrica, per esempio), e la possibilità di partecipare gratuitamente, al di fuori della campagna elettorale, a spazi televisivi messi a disposizione dalla RAI per la trasmissione di messaggi di un minuto al massimo.
Chi riceverà i rimborsi
Potranno ricevere i finanziamenti privati, in regime fiscale agevolato, quei partiti politici che – nell’ultima consultazione elettorale – avranno eletto almeno un proprio membro alla Camera, al Senato o in un’assemblea regionale. Inoltre, potranno ricevere soldi anche i partiti che abbiano presentato – nella medesima consultazione elettorale – candidati in almeno tre circoscrizioni della Camera o del Senato per quanto riguarda le elezioni politiche, in almeno tre circoscrizioni in caso di rinnovo di assemblee regionali, in almeno una circoscrizione per l’elezione di membri al Parlamento europeo.
Alcuni ministri del governo Letta, riporta il Corriere della Sera di oggi, avrebbero espresso dei dubbi per quanto riguarda il secondo comma dell’articolo 4 del disegno di legge: «In caso di scelte non espresse, la quota di risorse disponibili è destinata ai partiti ovvero all’erario in proporzione alle scelte espresse». Non è chiaro cioè se i partiti riceveranno soldi che magari i cittadini non hanno mai chiaramente espresso di voler dare a loro.
Nel comunicato stampa pubblicato dal governo c’è scritto che, per ottenere i nuovi contributi, i partiti dovranno organizzarsi in base a “requisiti minimi idonei a garantire la democrazia interna”. Si parla poi di “trasparenza”, riferita alla possibilità da parte dei cittadini di ottenere facilmente delle informazioni su di essi: informazioni relative al loro funzionamento e la realizzazione di un sito Internet che sia chiaro e facile da consultare. Sui siti, inoltre, dovranno essere pubblicati i rendiconti degli esercizi contabili e il verbale d’approvazione.
Possibili modifiche
Il disegno di legge necessiterà ancora di qualche aggiustamento: il presidente del Consiglio Enrico Letta ha detto che la Ragioneria generale dello Stato dovrà fare ulteriori controlli sulle cifre stabilite. Il disegno di legge è stato approvato dal Consiglio dei Ministri «salvo intese»: questo significa che il testo discusso ieri non sarà quello definitivo, e che probabilmente ci saranno delle modifiche prima ancora che il provvedimento passi alle Camere.
Foto: i ministri Gaetano Quaglariello, Maurizio Lupi, Fabrizio Saccomanni, Andrea Orlando (Mauro Scrobogna /LaPresse)