Qualcosa cambia sulle armi in America?
Il temporaneo fallimento della riforma di Obama non è piaciuto a moltissimi elettori: il movimento a favore di maggiori controlli sta ottenendo sempre più spazio e qualche risultato
Il 17 aprile 2013 il Senato degli Stati Uniti ha bocciato – in una seduta molto tesa, tra le grida di “Vergogna!” dal pubblico – un emendamento che avrebbe esteso i controlli su chi vuole acquistare un’arma nel paese. Per approvare il provvedimento erano necessari 60 voti, i tre quinti del Senato, ma i voti favorevoli sono stati solo 54. Una legislazione più restrittiva in materia di armi, la prima discussa al parlamento statunitense da una ventina d’anni e diretta conseguenza della strage di Newtown del 14 dicembre 2012, sembrava ancora una volta impossibile, nonostante avesse nei sondaggi l’approvazione del 90 per cento degli americani.
Ma il movimento a favore di maggiori controlli sta attraversando un periodo di nuova forza e rilevanza nazionale, grazie a nuove tecniche di comunicazione, a cambiamenti nell’opinione pubblica e agli errori della NRA (National Rifle Association), la lobby americana delle armi: come i discorsi inquietanti dopo la strage di Newtown, tra cui la proposta del National School Shield per introdurre guardie armate negli istituti scolastici. Lo racconta la rivista The New Republic, in un lungo articolo intitolato – con una punta di ottimismo – “Questa è la fine dell’NRA”.
Il provvedimento per aumentare i controlli era frutto di un laborioso accordo tra alcuni senatori democratici e altri repubblicani, e nei giorni successivi alla bocciatura i sondaggi hanno mostrato che gli elettori erano molto scontenti per come erano andate le cose: chi aveva votato contro ha subìto un grande calo di consensi, tanto che alcuni senatori hanno annunciato di averci ripensato e di essere disponibili a ridiscutere la questione. Harry Reid, il leader della maggioranza democratica, ha parlato della possibilità di far votare nuovamente l’emendamento sui maggiori controlli, fatto ancora più notevole perché Reid è stato a lungo un solido alleato dell’NRA.
La lobby delle armi e la sua forza
Fin dagli anni Settanta, la lobby delle armi è tra i più potenti gruppi di pressione nella politica americana. La sua presa su parte dell’opinione pubblica viene anche dal fatto che, negli anni, è riuscita a vendersi come una sorta di “sentinella della Costituzione” e in particolare del Secondo emendamento, che oggi viene letto – dalla Corte Costituzionale in giù – come la giustificazione al diritto dei privati cittadini di portare armi con poche limitazioni. È una lettura figlia della storia recente americana, ma la situazione sta cambiando.
Per prima cosa, scrive New Republic, il reale peso dell’NRA nelle competizioni elettorali è molto sovrastimato rispetto alla realtà. L’NRA classifica i politici con un voto che va da A (il più favorevole) a F: ultimamente sono stati eletti diversi senatori e governatori che si erano meritati una “F” in una serie di stati tradizionalmente e profondamente repubblicani, come l’ex governatore e oggi senatore della Virginia Tim Kaine, la senatrice Kay Hagan del North Carolina e quella del Missouri Claire McCaskill (tutti democratici). Nessuno di loro, in campagna elettorale, ha nascosto il proprio orientamento a favore di un maggiore controllo nel campo delle armi, ma sono stati eletti lo stesso.
C’è anche da considerare un dato demografico: la percentuale di famiglie americane che possiede un’arma è scesa oggi a circa un terzo, dal 50 per cento negli anni Settanta. Un altro cambiamento decisivo, però, è avvenuto nel campo dei sostenitori di maggiori controlli.
Il ruolo di Bloomberg
Fino a oggi, il movimento a favore di maggiori controlli sulle armi ha subìto pesantemente la sua minore forza rispetto all’NRA in un campo di fondamentale importanza: quello finanziario. Dal 1989 a oggi l’NRA ha speso circa 30 milioni di dollari per finanziare candidati al parlamento statunitense favorevoli alle proprie posizioni, mentre i suoi rivali – riuniti in due associazioni, la National Coalition to Ban Handguns (che oggi si chiama Coalition to Stop Gun Violence) e il National Council to Control Handguns (oggi Brady Campaign to Prevent Gun Violence) – appena 2 milioni. La ragione immediata è chiara: dietro l’NRA ci sono i produttori di armi da fuoco, mentre nessun gruppo industriale di uguale peso mette i soldi dall’altra parte.
Oltre a questo, anche il supporto politico per maggiori controlli è stato a lungo latitante: l’NRA aveva molti sostenitori anche tra i democratici, che dopo la pesante sconfitta alle elezioni parlamentari del 1994 smisero di occuparsi seriamente della questione. L’errore compiuto dai sostenitori di maggiori controlli, dice New Republic, è stato strategico: invece di dare indicazioni di voto, per molti anni si limitarono a produrre ottimi rapporti e analisi meditate sulla situazione, nella convinzione – rivelatasi errata – che bastasse dimostrare di aver ragione per muovere l’opinione pubblica e, di conseguenza, i politici.
Il movimento per i maggiori controlli, però, sembra adesso aver trovato il suo campione: l’imprenditore e sindaco di New York Michael Bloomberg. Negli ultimi anni Bloomberg, che non è affiliato né ai democratici né ai repubblicani, ha sostenuto politicamente e finanziariamente diverse iniziative che hanno adottato un diverso approccio sulla questione. Nel 2006 ha fondato con altri 14 sindaci l’organizzazione Mayors Against Illegal Guns (“Sindaci contro le armi illegali”) che oggi conta 975 membri. Una delle prime mosse è stata mandare persone con telecamere nascoste in diversi negozi della Virginia, mostrando quanto era facile comprare un’arma senza rispettare le leggi in vigore.
New Republic scrive che Bloomberg si sta occupando di «niente meno che della costruzione di un’immagine speculare all’NRA». Per farlo ha creato un gruppo di pressione, Independence USA, che lo scorso anno ha speso 10 milioni di dollari in pubblicità nelle elezioni per il Congresso: il gruppo è intervenuto in ogni caso contro il candidato sostenuto dall’NRA, senza badare al fatto che fosse repubblicano o democratico. Nel frattempo i dipendenti a tempo pieno di Independence USA sono passati da quindici a oltre 50. Il prossimo passo, annunciano, è sviluppare un sistema di votazioni per i candidati simile a quello dell’NRA.
Bloomberg vuole spendere molto per le campagne elettorali del 2014, con la stessa logica: darà soldi contro chi ha affossato l’emendamento sui maggiori controlli in Senato. Tra questi ci sono anche due democratici: Mark Begich in Alaska e Mark Pryor in Arkansas. Tutto questo a costo di far vincere un candidato repubblicano e più vicino all’NRA: ma il rischio di danneggiare i democratici non sembra interessare Bloomberg, almeno per il momento.
Le prossime mosse
La strategia di Independence USA è investire su un unico tema: l’estensione e l’obbligatorietà dei background checks, ovvero i controlli sulla fedina penale e lo stato di salute mentale di chi acquista armi. Circa il 40 per cento degli acquisti di armi negli Stati Uniti sfugge oggi a questi controlli, in larga parte grazie alle fiere locali delle armi o a quelle su Internet, in cui è possibile acquistare armi tra privati con poca o nessuna verifica da parte delle autorità.
Bloomberg non è l’unico che si sta impegnando sulla questione delle armi. Con un certo stupore tra i commentatori, il voto in Senato non ha affossato la questione ancora una volta, ma ha fatto nascere un nuovo e inedito attivismo a favore dei maggiori controlli. Tra i molti gruppi nati di recente c’è Moms Demand Action, un’organizzazione che ha visto una crescita del 30 per cento nelle adesioni nell’ultimo mese. Il gruppo di pressione è stato fondato da Gabrielle Giffords, la politica dell’Arizona a cui venne sparato l’8 gennaio 2011 a Tucson: ha ricevuto 11 milioni di dollari da 53 mila donatori solo negli ultimi quattro mesi.
I gruppi di pressione stanno investendo su strategie molto simili a quelle dell’NRA: far sentire la propria presenza anche quando non è previsto un voto sulla questione delle armi, far pressione sui parlamentari, organizzare campagne pubblicitarie e manifestazioni, creare una struttura territoriale capillare in tutti gli Stati Uniti. Dal punto di vista mediatico, riflettendo anche la propria composizione, investono in particolare sulle donne e, più precisamente, sulle madri, come testimoniano i nomi Moms Demand Action e One Million Moms for Gun Control, nata come pagina Facebook e oggi con 100 sezioni in 40 stati.
New Republic conclude che la situazione sta probabilmente cambiando e che per molto tempo l’opinione pubblica sia stata ostaggio di una minoranza molto rumorosa. Non è ancora chiaro quando Harry Reid voglia portare di nuovo il provvedimento sui maggiori controlli davanti al Senato, ma molto probabilmente se ne parlerà di nuovo tra luglio e agosto.
Foto: MANDEL NGAN/AFP/Getty Images