Il più grande giocatore di backgammon del mondo
Si chiama Falafel ed è un omone che vive in giro per il mondo guadagnando con le vincite dei tornei (e con le scommesse, su qualsiasi cosa)
di Antonio Russo – @ilmondosommerso
Il più grande giocatore di backgammon del mondo ha 42 anni, è di origini israeliane e si chiama Matvey Natanzon, ma così non lo chiama nessuno: nel giro lui è Falafel. È capace di vincere 10 mila dollari in mezz’ora giocando a backgammon, e poi di perdere tutto in pochi minuti giocando ad altro: ci è abituato e ha trovato un suo modo di gestire il rischio. Non ha una casa né un telefonino né una patente di guida, e da diversi anni vive negli alberghi in giro per l’America, l’Europa o dovunque ci sia un torneo internazionale di backgammon con premi in denaro. Ha trasformato la sua più grande passione – e abilità – in un modo di stare al mondo, e quasi tutto nelle sue giornate è in funzione del gioco: per esempio da poco si è messo a dieta, non perché pesava 140 chili bensì per vincere una scommessa con gli amici.
Qualche settimana fa il New Yorker ha raccontato alcune cose su di lui e sulla brigata di colleghi che frequenta, tutti giocatori professionisti – magari un po’ strampalati – che vincono e perdono soldi anche scommettendo tra di loro, su qualsiasi cosa (uno si è fatto impiantare delle protesi mammarie, per una scommessa).
Chi è Falafel
Falafel è una figura molto nota nel giro dei giocatori professionisti di backgammon, ed è abbastanza facile riconoscerlo: è un omone che gira sempre con un cappello da baseball indossato alla rovescia, t-shirt larghissime, calzoni corti e scarpe da tennis. Dice che la sua espressione da tonto gli è tornata molto utile quando nessuno lo conosceva: entrava nei circoli di gioco, diceva a tutti che li avrebbe ripuliti, e quelli – ancora più indisposti dalla sua spocchia – non smettevano di giocare finché non vincevano. E perdevano tutto. I suoi colleghi e amici oggi dicono di lui una cosa che si sente spesso dire dei geni della matematica: non ha una memoria prodigiosa (che a backgammon aiuta) ma «vede le soluzioni quando serve».
Falafel è nato in Russia ma ha vissuto con la madre ad Azor, in Israele vicino Tel Aviv, fino a quando aveva quattordici anni: poi la madre sposò un fisico – un ebreo americano, sopravvissuto all’Olocausto – e andarono tutti a vivere a Buffalo, nello stato di New York. Dato che Falafel era un appassionato di scacchi, per aiutarlo ad ambientarsi e invogliarlo a imparare la nuova lingua il patrigno gli regalò una guida agli scacchi scritta in inglese. Dopo aver preso a fatica il diploma al college – Falafel non era un secchione, spesso a lezione arrivava mezzo ubriaco – nel 1994 lasciò casa e se ne andò a Washington Square Park (Manhattan) senza un piano e senza soldi, a fare quello che gli riusciva meglio: giocare a scacchi e provare a rimediarci qualcosa. È lì che imparò a giocare anche a backgammon.
Il titolo di miglior giocatore di backgammon del mondo gli fu assegnato nel 2007 e di nuovo nel 2011 dalla Giants of Backgammon, un gruppo formato dai migliori giocatori del mondo, che ogni due anni votano quello che ritengono il migliore tra loro. Alla premiazione del 2007 Falafel restò un po’ spiazzato: sapeva di essere bravo ma citò subito tre o quattro giocatori che secondo lui erano più bravi. Poi ci fece l’abitudine. Il New Yorker racconta di quella volta che, seduto a un tavolo da poker, disse a uno dei suoi avversari: «sai, io sono Falafel, il più forte giocatore di backgammon del mondo, e lì nessuno di voi potrebbe battermi». E quello – continuando a giocare – prese il suo smartphone e iniziò a cercare questo “Falafel” su Google, trovando solo ristoranti etnici.
Da dove ha cominciato e perché si chiama così
Il nome di battesimo di Falafel è Matvey Natanzon: “Falafel” è il nome che si porta dietro dagli anni Novanta, da quando iniziò a giocare a Washington Square Park. Lì ci sono aree attrezzate dove molte persone si ritrovano ogni giorno per giocare a scacchi per soldi, e dove molti “polli” si fanno spennare dai cosiddetti chess hustler, giocatori professionisti che fanno credere a turisti e giocatori occasionali di essere al loro livello (fingendo partite equilibrate per invogliarli a riprovarci e perdere altri soldi).
Natanzon piantonava lì tutto il giorno, tutti i giorni: quando non giocava guardava le partite degli altri, e intanto studiava le mosse dei migliori giocatori del parco. Divenne amico di un certo Russian Paul – uno dei chess hustler più noti di Washington Square Park (dà anche lezioni per 45 dollari all’ora) – che una mattina trovò Natanzon che dormiva sotto il suo tavolo di gioco preferito: Russian Paul lo prese in simpatia e gli propose di tenergli il tavolo occupato tutti i giorni, per 2 dollari al giorno, cioè i soldi sufficienti per un falafel, il pasto quotidiano di Natanzon lì al parco. E siccome tutti lo vedevano mangiare sempre falafel, da allora chiunque lo chiama Falafel.
A Washington Square Park Falafel imparò a giocare anche a backgammon, perché si accorse che poteva essere più remunerativo rispetto agli scacchi: la presenza dei dadi spinge molte persone inesperte a credere che la fortuna sia più importante dell’esperienza – e del talento – nel determinare l’esito delle partite (una delle impressioni del giocatore dilettante è che l’avversario abbia sempre una fortuna sfacciata). A differenza degli scacchi – in cui un giocatore professionista riesce a visualizzare le posizioni dei pezzi sulla scacchiera con un anticipo anche di 20 mosse – nel backgammon la possibilità di prevedere l’andamento delle partite è complicato dal fatto che il lancio dei dadi sviluppa molteplici possibilità diverse di gioco per ogni turno.
Falafel iniziò a fare soldi seriamente quando a New York arrivò un ricco imprenditore francese appassionato di internet e di scacchi – Marc Armand Rousso, nel giro è The Croc – che giocava malissimo a backgammon, e perse molti soldi. Con i soldi guadagnati, Falafel tornò in Israele per un po’ e prese in affitto un appartamento a Tel Aviv: frequentò una vecchia compagna di scuole medie ma le cose non funzionarono, e si mise a giocare a backgammon online anche 15 ore al giorno, per esercitarsi per i tornei.
Come campa Falafel
Le vincite dei premi nei tornei internazionali di backgammon sono solo una parte delle entrate di Falafel, che per il resto si guadagna da vivere con le partite di backgammon online e con altri giochi. Ha un amico che si fa chiamare The Bone, un ucraino conosciuto a New York, che una volta giocava a backgammon come lui ma poi passò ai tornei professionistici di poker, dove girano più soldi: Falafel se la cava piuttosto bene anche lì, e ogni tanto disputa qualche torneo perché i premi sono più cospicui. Ora un importante operatore di poker online gli ha anche offerto un contratto per fare da testimonial.
Un altro modo con cui Falafel si guadagna da vivere è giocando contro persone molto facoltose che sono disposte a pagare tantissimi soldi pur di giocare in privato contro un professionista, e che «sono molte più di quanto si possa credere», dice. Come molti dei suoi colleghi Falafel ha anche una passione per le scommesse, non solo sugli sport ma su qualsiasi cosa che possa essere accettata tra amici. Quando aveva trentotto anni scommise cinquemila dollari che si sarebbe sposato entro i quaranta, e poi perse la scommessa. Ne ha un’altra in corso che lo costringe a pagare 5 dollari al giorno per ogni giorno in cui non ha ancora un figlio prima dei cinquant’anni.
Le scommesse tra giocatori
Il giornalista del New Yorker ha conosciuto anche il traffichino del gruppo, un tale che si fa chiamare “Mr. Joseph”: negli Stati Uniti è uno degli allibratori più conosciuti tra i professionisti del backgammon, ed è quello che durante i tornei registra sottobanco le scommesse dei giocatori (che non solo partecipano al torneo ma scommettono anche sulle partite degli altri). Oltre a quelle dei tornei, Mr. Joseph accetta anche puntate sulle scommesse più strampalate che gli amici della comitiva s’inventano tra di loro. Nel 1996 disse a un giocatore, Brian Zembic, che gli avrebbe dato 100 mila dollari se si fosse fatto impiantare un seno finto e se lo fosse tenuto per almeno un anno: qualche mese più tardi Zembic fece l’operazione, e alla fine dell’anno incassò i 100 mila e si tenne pure il seno (pare che lo aiutò a incontrare la donna che oggi è sua moglie).
A ottobre dell’anno scorso, durante un torneo a Tokyo, Mr. Joseph se ne inventò un’altra proponendo al gruppo un’ipotesi abbastanza inverosimile: «riuscirà Falafel a raggiungere in un anno lo stesso peso di Genius [un giocatore che è 10 centimetri e 80 chili in meno di lui]?». Le quote per Falafel erano 50 a 1: chi ha puntato un euro su di lui ne vincerà cinquanta, se Falafel ce la fa. E dato che Falafel ha puntato «molti soldi» su sé stesso, si è messo a dieta e l’ha presa molto seriamente, come sempre: da ottobre ha perso 30 chili (e Genius ne ha presi 10, dicono).
Alla fine del torneo Mr. Joseph organizzò una festa con tutti i giocatori e alcuni amici, e c’era un sacco di roba da mangiare: Falafel mangiò solo qualche carota e una bottiglia di acqua minerale, e si piazzò davanti alla televisione a guardare il Super Bowl (aveva scommesso parecchi soldi sui Baltimore Ravens, che poi peraltro vinsero pur non essendo i favoriti). Il giornalista del New Yorker era a quella festa e racconta che Mr. Joseph tentò di corrompere Falafel tutta la notte:
«Ti dò un cinquantone adesso se mangi una fetta di quella torta», gli ha detto Mr. Joseph tirando fuori una banconota da cinquanta dollari.
«Quante calorie sono?», gli ha chiesto Falafel.
«Trenta», ha detto Mr. Joseph.
«Cazzate!», ha aggiunto The Bone [l’amico ucraino di Falafel].
Falafel è rimasto lì a pensarci un attimo.
«E davvero mi dai il cinquantone?».
Alla fine s’è fatto due conti e ha rifiutato.
Come si gioca a backgammon
Il backgammon è un gioco molto antico che forse vale la pena conoscere comunque, anche sommariamente (sappiamo che una specie di backgammon si giocava in Mesopotamia 5000 anni fa perché alcune tavole da gioco furono ritrovate nelle tombe reali dell’antica città di Ur).
Si gioca in due: ogni giocatore ha 15 pedine di uno stesso colore e deve muoverle su una tavola su cui sono disegnati 24 triangoli (detti punte), raggruppati in quattro quadranti da sei triangoli ciascuno. Le pedine – che all’inizio sono disposte in un certo modo su tutti e quattro i quadranti – devono essere mosse lungo i triangoli secondo il punteggio ottenuto lanciando i dadi: la pedina mossa non può saltare nessun triangolo e non può fermarsi su un triangolo già occupato da due o più pedine dell’avversario (ma può “mangiare” una pedina nemica che sia sola su un triangolo, e “bloccare” provvisoriamente il gioco dell’avversario). L’obiettivo è riuscire a raggruppare tutte le proprie pedine nel quadrante detto “casa” (ciascun giocatore ha la sua), e poi rimuoverle tutte dalla tavola sempre secondo il punteggio ottenuto lanciando i dadi: vince il primo giocatore che ci riesce. Ciascun giocatore ha la sua coppia di dadi, che deve lanciare sulla tavola (non fuori) utilizzando un bussolotto.
È più facile di quanto non sembri a parole, e – come si propone all’amico che dice «non ho capito» alla fine dello spiegone – si fa prima a vedere una partita di prova.
Il backgammon nella cultura occidentale e nel cinema
Una tavola da backgammon è raffigurata in un particolare del dipinto Il trionfo della morte (trovàtela) di Pieter Bruegel padre, pittore fiammingo celebre per i suoi lavori sui proverbi, sui vizi e sui peccati (il che forse la dice lunga sulla rappresentazione del backgammon e del gioco d’azzardo nell’immaginario collettivo).
In Europa il backgammon è ancora molto diffuso, soprattutto nei Balcani, nell’Europa dell’est e in Scandinavia. Negli Stati Uniti divenne popolare a partire dagli anni Venti, e molti attori americani furono grandi appassionati: Cary Grant, Fred Astaire, Paul Newman. Dicono che sia un ottimo giocatore Mick Jagger (che in Tumbling Dice faceva il giocatore d’azzardo navigato che si bulla con le donne). Bernie Ecclestone – il miliardario proprietario della Formula 1 – si diverte a spennare a backgammon il campione del mondo Sebastian Vettel, nei weekend di gara.
Il backgammon compare o è citato anche in molti film. In Operazione Piovra, del 1983, James Bond batte il principe Kamal Khan con dei dadi truccati («sempre un doppio sei quando serve, Mr. Bond», e lui: «questione di polso»). Nel 2005 un regista israeliano girò un documentario (Falafel’s game) proprio su Falafel e sul mondo dei giocatori professionisti di backgammon. Un bel film recente interamente incentrato sul backgammon – mai distribuito in Italia ma recuperabile in rete – è The World Is Big and Salvation Lurks Around the Corner, di un regista bulgaro: racconta la storia di un ragazzo che perde la memoria in seguito a un incidente, e il nonno lo aiuta a ritrovarla grazie al backgammon, il gioco che gli insegnò quando era bambino.
In una sequenza della prima puntata di Lost a un certo punto Locke racconta al piccolo Walt la storia del backgammon (e forse anche il senso di Lost, secondo gli impallinati che poi ci hanno visto – a posteriori – indizi sul finale della serie).