Il referendum sulle scuole a Bologna
Domenica si vota per decidere che cosa fare del finanziamento alle scuole materne private: una questione che riguarda bambini di Bologna e politica nazionale
Domenica 26 maggio, tra le 8 e le 22, i cittadini di Bologna voteranno in un referendum sul finanziamento alle scuole dell’infanzia, la cosiddetta scuola materna per i bambini da 3 a 6 anni. A livello locale, il sistema di scuole dell’infanzia bolognesi ha alcune caratteristiche particolari, ma il dibattito sul referendum riguarda indirettamente anche le leggi e i sistemi di gestione delle scuole a livello nazionale, e nelle ultime settimane è stato dirottato da un confronto politico-ideologico che si è assai allontanato dalla questione della qualità dell’offerta scolastica.
Il quesito
L’unico quesito del referendum dice:
Quale fra le seguenti proposte di utilizzo delle risorse finanziarie comunali, che vengono erogate secondo il vigente sistema delle convenzioni con le scuole di infanzia paritarie a gestione privata, ritieni più idonea per assicurare il diritto all’istruzione delle bambine e dei bambini che domandano di accedere alle scuole dell’infanzia?
A) utilizzarle per le scuole comunali e statali
B) utilizzarle per le scuole paritarie private
Messa giù così, il referendum sembra semplicemente una scelta tra le due opzioni scuola privata/scuola pubblica; ma la scelta è un po’ equivoca, perché non spiega che per la legge dello Stato le scuole si dividono tra statali e non statali (paritarie): e quelle comunali, al pari di quelle private, sono paritarie, e, quindi, pubbliche se rispettano requisiti stabiliti dallo Stato. Il quesito non chiarisce insomma che le comunali sono “scuole paritarie comunali”. Ma bisogna chiarire prima come funzionano le cose a Bologna e come si è arrivati al referendum.
Il punto centrale è che nel comune di Bologna è attivo da circa 18 anni un sistema di convenzioni tra le scuole paritarie private ed il comune, che oggi versa a queste circa un milione di euro l’anno: questa cifra, secondo chi ha promosso il referendum, deve andare ad aumentare quello che il comune già spende nella scuola dell’infanzia e non più, come accade oggi, essere destinata a finanziare le convenzioni con le scuole del settore privato.
La situazione a Bologna
La scuola dell’infanzia a Bologna ha origini molto lontane. Nasce dall’iniziativa che l’amministrazione locale e enti privati, religiosi e laici, hanno attivato a partire dal XIX secolo per l’educazione dei bambini in età prescolare. La nascita delle prime istituzioni educative per l’infanzia ad opera di associazioni, congregazioni religiose, enti morali e simili ha segnato l’inizio di un lungo cammino parallelo a quello degli asili infantili comunali, che si sono diffusi in tutto il territorio cittadino nel corso del Novecento.
Nonostante lo Stato abbia istituito la scuola d’infanzia statale nel 1968, a Bologna fino all’anno scolastico 1991/92 ce n’era solo una, fondata nel 1978. È stato solo ad opera dell’assessore Rosanna Facchini che nell’anno scolastico 1992/93 si sono create le condizioni per la statalizzazione di un piccola quota di scuole d’infanzia comunali, con il “Progetto Infanzia”.
Si è cominciato così a costruire un sistema misto di scuole dell’infanzia (comunali, statali e private), in cui il ruolo del Comune si è trasformato con gradualità. Nel caso di Bologna, l’amministrazione locale ha investito molti soldi nelle strutture delle scuole d’infanzia comunali – che non fanno parte del ciclo della scuola dell’obbligo – e, come ha scritto Giancarla Codrignani su Repubblica Bologna, si è fatta carico di una “supplenza alle deficienze dello stato”. A livello nazionale, infatti, la percentuale di bambini che vanno alle scuole dell’infanzia comunali è intorno al 9 per cento, mentre a Bologna è del 60 per cento, numero molto alto anche rispetto alle altre grandi città italiane.
Qui si arriva alla prima data importante della vicenda: il 1995. In quell’anno, la giunta del sindaco Walter Vitali, del PDS, avviò le convenzioni con le scuole dell’infanzia private nel comune di Bologna, mentre la legge 52 della Regione Emilia-Romagna – approvata dalla neoeletta giunta regionale guidata da Pier Luigi Bersani – introduceva i contributi alle scuole d’infanzia private.
Venne così creato un sistema integrato pubblico-privato in cui il ruolo di coordinamento dell’ente pubblico garantiva il controllo della qualità dell’istruzione, ma le scuole private venivano sostenute anche con incentivi economici (nella legge regionale destinata alle “spese correnti e di funzionamento”). Il Comune di Bologna attiva convenzioni con le scuole d’infanzia private e dà il finanziamento a condizione che siano garantiti standard a livello educativo e non ci siano discriminazioni nella possibilità di iscrizione.
A livello nazionale, il principio portato avanti dall’Emilia-Romagna diventò una specie di modello: la legge 62 del 2000 – governo D’Alema, ministro della Pubblica istruzione Luigi Berlinguer – stabilisce il principio della “parità”, e cioè che il sistema nazionale di istruzione è costituito da scuole statali e scuole paritarie. Per lo Stato sono paritarie sia le scuole gestite dai privati che quelle gestite da enti locali, purché rispettino precisi requisiti stabiliti dallo Stato. Le scuole paritarie del Comune di Bologna accedono alle stesse risorse statali a cui hanno accesso le scuole paritarie private.
Il referendum
Il sistema delle convenzioni è stato molto criticato da alcuni sostenitori della priorità della scuola pubblica fin dalla metà degli anni Novanta, con una serie di ricorsi legali – specialmente contro la legge regionale dell’Emilia-Romagna – prima al TAR e poi alla Corte Costituzionale. La Corte Costituzionale ha sempre dato torto ai ricorrenti. Neppure la Corte dei Conti si è espressa contro l’erogazione di contributi alle scuole paritarie, che secondo la normativa vigente forniscono un servizio pubblico.
I promotori del referendum bolognese – e dell’opzione A – hanno costituito il Nuovo Comitato Articolo 33. Il quesito referendario, dopo due bocciature nel 2011 e 2012, è stato giudicato ammissibile il 24 luglio 2012. Tra settembre e dicembre sono state raccolte le firme necessarie perché il referendum venisse indetto, 13.500 (ne erano necessarie 9 mila) e il sindaco ha fissato la data del 26 maggio, respingendo la richiesta dei promotori di accorparlo alle elezioni politiche di fine febbraio.
Si sono detti favorevoli all’opzione A – quella sostenuta dai promotori – oltre a diverse associazioni civiche e ad alcuni sindacati come la FIOM e la FLC (la CGIL scuola e università), il Movimento 5 Stelle, SEL, IdV, Comunisti Italiani e Rifondazione Comunista. Le ragioni a favore dell’opzione A si basano su un principio richiamato fin dal titolo del comitato, quello stabilito dall’art. 33 della Costituzione: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato” (corsivo nostro).
Oltre a questo, ci sono argomentazioni di carattere pratico. Quest’anno, dicono i promotori del referendum, 103 bambini sono rimasti esclusi dal sistema delle scuole pubbliche (ma complessivamente in quelle scuole sono rimasti liberi 84 posti), e dunque non andranno alla scuola dell’infanzia oppure dovranno pagare la retta di una scuola paritaria privata: i soldi risparmiati abolendo il sistema di finanziamento delle convenzioni devono essere usati per creare nuovi posti per i bambini nelle scuole d’infanzia pubbliche. I promotori contestano inoltre il carattere confessionale delle paritarie private e dicono che non è giusto finanziarle, in nome della laicità dello Stato. Quest’ultimo principio è stato evocato via via da esponenti e forze politiche di sinistra anche nazionali che sono intervenuti nelle ultime settimane rendendo più aggressivo e polemico il dibattito, e raccogliendo quindi risposte altrettanto “di principio” dagli schieramenti di centro e destra, spesso molto distanti dalle questioni della scuola bolognese (anche sui giornali nazionali, si leggono in questi giorni molti più pareri di politici e commentatori generalisti, che non di esperti di questioni della scuola).
Chi è per l’opzione B
Sono a favore del quesito B (“utilizzarle per le scuole paritarie private”) PD, PdL, Lega Nord e l’UdC, alcuni sindacati come la CISL e il presidente della Conferenza Episcopale Italiana Angelo Bagnasco. Maurizio Lupi, ministro dei Trasporti del governo Letta e membro di Comunione e Liberazione, ha firmato l’appello per questa opzione.
Anche il sindaco di Bologna, Virginio Merola del Partito Democratico, ha preso posizione per l’opzione B attraverso una lettera aperta pubblicata sul suo sito. Il sito del comitato a favore dell’opzione B è questo. Secondo il sindaco Merola, le scuole materne comunali e l’attuale “sistema integrato che mette in relazione scuole comunali, statali e paritarie private” sono cose di cui andare “orgogliosi”, un modello che dal momento della sua introduzione 18 anni fa ha dimostrato di funzionare bene. Merola ha aggiunto nei giorni scorsi, assieme ad altri responsabili del suo partito, di ritenere che la campagna sul referendum sia divenuta parte di una più generale lotta politica “da sinistra” contro il Partito Democratico e le sue politiche ritenute non abbastanza radicali.
Qualche numero
Il 60 per cento delle scuole dell’infanzia di Bologna è gestito dal Comune, percentuale molte volte superiore alla media nazionale. Il Comune spende per la loro gestione circa 36 milioni di euro. Le scuole d’infanzia comunali a Bologna sono 70, a cui se ne aggiungono 25 statali; i posti sono circa 5300 nelle scuole comunali e circa 1600 in quelle statali. A settembre 2013 è prevista l’apertura di una nuova scuola d’infanzia comunale.
Oltre ai circa 36 milioni di euro per le materne comunali, poco più di un milione di euro è destinato, con il sistema delle convenzioni, alle 27 scuole paritarie private riconosciute dal Comune di Bologna, che sono frequentate quest’anno da circa 1730 bambini: una spesa di circa 600 euro a bambino. Per fare un confronto, nelle scuole comunali la spesa media per bambino è di circa 6.900 euro. Infine sono presenti a Bologna 5 scuole dell’infanzia non convenzionate (queste sì veramente “private”), che non ricevono quindi contributi statali e che ospitano poco più di 200 bambini.
In totale, la percentuale dei bambini che frequenta una scuola paritaria privata a Bologna è del 22 per cento, più o meno la stessa percentuale del 1995, quando è stato introdotto il sistema delle convenzioni. Tra le grandi città italiane è un numero piuttosto basso e in città vicine, come Modena, Reggio Emilia e Parma, la percentuale è intorno al 40 per cento.
26 delle 27 scuole dell’infanzia paritarie private aderiscono alla FISM (Federazione Italiana Scuole Materne) che è legata alla Conferenza Episcopale Italiana fin dalla sua fondazione, nel 1973 (l’anno successivo venne fondata la sede bolognese), e che all’art. 1 del suo Statuto fa esplicito riferimento a “una visione cristiana dell’uomo, del mondo e della vita”.
(foto: Bing)