La storia di Liberace
In un film di Steven Soderbergh in concorso a Cannes, che negli Stati Uniti andrà in onda sulla HBO (e non al cinema) perché considerato “troppo gay”
Tra quelli in concorso quest’anno al festival del cinema di Cannes c’è il nuovo film di Steven Soderbergh, che negli Stati Uniti andrà in onda sulla rete HBO il prossimo 26 maggio e non verrà distribuito al cinema perché, dice Soderbergh, sarebbe considerato dagli studios di Hollywood “troppo gay”: si chiama Behind the Candelabra e racconta la storia d’amore tra Liberace, un eccentrico pianista di origini italo-polacche celeberrimo negli Stati Uniti tra gli anni ‘50 e ’70, e il suo giovane compagno Scott Thorson, autore del libro di memorie Behind the Candelabra: My Life With Liberace su cui è basata la sceneggiatura del film. I due ebbero una lunga convivenza, conclusa in una movimentata causa in tribunale poco prima che Liberace morisse per complicazioni legate all’AIDS nel 1987.
Wladziu Valentino Liberace (Liberacci, per gli americani) era, tra gli anni ‘50 e ’70, l’artista con il più alto cachet al mondo, famoso prima come musicista e personaggio televisivo poi come entertainer negli show dei grandi hotel di Las Vegas, dove dava vita a spettacoli trasgressivi e grotteschi, tanto da essere considerato un “pioniere androgino” e uno dei padri del “glam”.
Era nato nel 1919 a West Allis, nel Wisconsin: sua madre era un’attrice di teatro classico d’origine polacca, suo padre, Salvatore Liberace, un artigiano emigrato da Formia che suonava il corno francese per hobby in alcune bande musicali e ogni tanto accompagnava i film del cinema muto, e che incoraggiò la passione per la musica del figlio. E così Liberace iniziò a suonare il pianoforte a 4 anni e non smise più: poi, mentre studiava al conservatorio del Wisconsin, iniziò ad interessarsi anche alla moda e alla pittura.
Molto presto le sue esibizioni musicali diventarono dei veri e propri show, dove la musica classica veniva reinventata attraverso giochi e parodie: durante uno spettacolo (come dichiarò una volta “io non faccio concerti, io metto su degli show”) eseguì una versione di un valzer di Chopin ridotta a soli trentasette secondi, eliminando a suo dire “le parti noiose”. Oltre alla svolta pop nella musica iniziò ad interagire col pubblico da vero “entertainer” e a dare sempre maggiore risalto alle scenografie, alle luci e ai costumi. E divenne celebre presto, prima con gli spettacoli nei lussuosi club della California degli anni ’40, poi a Hollywood, col cinema e la televisione, e infine nei grandi show di Las Vegas costruiti tutti intorno al suo personaggio: vistosi candelabri (il suo simbolo di riconoscimento) in mostra su pianoforti ricoperti di paillettes, completi di pelliccia, mantelli, pizzi, gioielli pacchiani e giganteschi, e grandi scenografie con ballerine vestite di piume e lustrini e Rolls Royce esibite sul palcoscenico.
L’immagine di Liberace era kitsch, eccessiva e decisamente equivoca del punto di vista sessuale: ma aveva milioni di fans, soprattutto tra le mamme americane che vedevano in lui il figlio di emigrati che si era costruito la sua fortuna col talento, il ragazzo cattolico che abitava con sua madre (e continuò ad abitarci fino alla morte di lei nel 1980). Era piuttosto l’ostentazione della ricchezza e del suo stile di vita che incuriosiva il pubblico americano: nel 1955 Liberace guadagnava 50 mila dollari alla settimana per i suoi show all’Hoter Riviera di Las Vegas, dove girava con una Rolls Royce a stelle bianche, rosse e blu, e si era fatto costruire una gigantesca piscina a forma di pianoforte nella sua casa di 28 camere a Beverly Hills.
Liberace non volle mai esporsi circa la sua omosessualità, negandola fino alla morte, anzi continuò a circondarsi di belle ragazze e a inscenare relazioni con attrici e donne dello spettacolo per motivi “promozionali”. I primi problemi con la stampa e l’opinione pubblica circa la sua omosessualità arrivarono dall’Inghilterra: nel 1956 in un articolo sul Daily Mirror il giornalista William Connor (sotto lo pseudonimo Cassandra) lo definì “maschile, femminile e neutro” oltre che “il più grande vomito sentimentale di tutti i tempi”. Liberace denunciò il giornale per diffamazione e nel corso della sua deposizione in tribunale a Londra, dichiarò di non essere omosessuale, e che si opponeva all’omosessualità perché questa “offende le convenzioni e la società”. Vinse la causa, ma l’anno successivo anche la rivista americana Confidential sollevò dei dubbi circa il suo orientamento sessuale.
Nel 1982 tornò in tribunale, stavolta chiamato in causa da Scott Thorson, il suo ex autista di limousine ventitreenne che aveva voluto nei suoi spettacoli e con cui aveva iniziato una relazione nel 1976 (quando Thorson aveva 17 anni), tra regali, feste faraoniche e viaggi in giro per il mondo. Dopo la fine della relazione – presumibilmente a causa della promiscuità di Liberace e dell’abuso di droghe di Thorson – Thorson gli fece causa per 113 milioni di dollari, pretendendo gli alimenti come una ex moglie, ottenendo un accordo extra-giudiziale da 95 mila dollari nel 1986. Nel suo libro Thorson racconta di essersi riconciliato con Liberace poco prima della sua morte, nel 1987. La sua sieropositività venne tenuta nascosta al pubblico e non venne neanche menzionata nel certificato di morte dopo l’autopsia: il medico che la eseguì disse poi che aveva ricevuto pressioni affinché la vera causa di morte non fosse resa pubblica.
Soderbergh (che dopo questo film ha annunciato di volersi dedicare solo alla televisione) era interessato alla figura di Liberace da moltissimo tempo: l’aveva visto in televisione da piccolo e ne era rimasto affascinato, e nel 2000, durante le riprese del film Traffic, aveva chiesto quasi per gioco a Michael Douglas se gli sarebbe piaciuto interpretare la parte del musicista. Solo nel 2007, però, era venuto a conoscenza del libro di Thorson, e gli era sembrato il punto di vista perfetto per raccontare l’incredibile storia di Liberace. Presentò il progetto per un film a basso budget, con una richiesta iniziale di soli 5 milioni di dollari, una cifra molto piccola considerato il regista (che ha diretto film di successo come Erin Brockovich, Traffic, Ocean’s Eleven) e la scelta dei due attori principali, Michael Douglas e Matt Damon, che interpreta Scott Thorson: la maggioranza dei produttori e distributori di Hollywood gli disse che la storia era “troppo gay”: «e questo dopo un film come I segreti di Brokeback Mountain. Davvero incomprensibile», ha detto Soderbergh.
Dopo le difficoltà per trovare un produttore si fece avanti il canale via cavo HBO, che ha finanziato il progetto con 22 milioni di dollari e manderà in onda il film il prossimo 26 maggio. Behind the candelabra verrà invece distribuito nei cinema in Europa (dove secondo Soderbergh “per certe cose sono molto più avanti di noi americani”) dopo essere presentato in concorso al festival di Cannes, dove nel 1989 Soderbergh vinse la Palma d’Oro (diventando il regista più giovane di sempre a vincere il premio) per il suo film d’esordio Sesso, bugie e videotape. Secondo il protagonista Michael Douglas se Soderbergh avesse scelto un attore meno conosciuto probabilmente il film avrebbe trovato una distribuzione più ampia “e invece si saranno detti: Michael Douglas gay? La sola idea fa venire i brividi”.