Facebook in Borsa, un anno dopo
Dopo le difficoltà iniziali, il prezzo si è stabilizzato: ma la quotazione ha cambiato qualcosa nel modo di pensare della società, dicono gli esperti
Il 18 maggio 2012, un anno fa, Facebook si quotò in borsa. La sua offerta pubblica iniziale (IPO), ovvero l’offerta al pubblico per la prima volta delle sue azioni, fu un evento attesissimo e circondato da molte aspettative: i più ottimisti dicevano che il valore della società sarebbe stato “maggiore di quello di Google”.
Il prezzo iniziale di collocamento delle azioni di Facebook fu di 38 dollari: ci fu un iniziale picco di 40 dollari ad azione, dopo di che il prezzo cominciò a calare, raggiungendo il minimo quattro mesi più tardi a 18 dollari. Oggi un’azione di Facebook vale circa 26 dollari e il prezzo si è più o meno stabilizzato intorno a quel valore, oltre il 30 per cento in meno di quello dell’offerta pubblica iniziale.
Secondo i dati di Bloomberg, Facebook è al quint’ultimo posto per rendimento tra i 124 titoli che hanno debuttato in borsa nello stesso periodo e l’ultima tra le società le cui IPO hanno fruttato più di 200 milioni di dollari. Ad ogni modo, è difficile chiamare l’operazione un fallimento totale: la società guadagnò una liquidità di circa 10 miliardi di dollari dall’ingresso in borsa e oggi il prezzo per azione è a livelli più che accettabili, in termini assoluti.
All’interno di Facebook la quotazione ha prodotto diversi cambiamenti, e dopo un anno diversi analisti e commentatori hanno sottolineato che, dal punto delle scelte societarie, lo scenario futuro è particolarmente incerto. Il Wall Street Journal spiega che la quotazione in borsa ha portato anche a cambiare le priorità nella gestione aziendale:
Una delle più grandi sfide della sua breve vita come società quotata in borsa è il modo in cui si occupa dei ricavi. Dopo otto anni in cui l’aumento degli utenti è stato l’obbiettivo principale, Facebook ha spostato i ricavi in cima alla lista delle priorità e ha riorganizzato il suo funzionamento in modo che molte delle sue teste migliori pensano ora a come aumentare le vendite.
Prima dell’offerta pubblica iniziale, continua il WSJ, quasi tutti i ricavi dell’azienda venivano dalle pubblicità che comparivano sulla colonna più a destra del sito, con un ulteriore 15 per cento che veniva dalla vendita di beni virtuali in giochi come quelli di Zynga (la società che ha sviluppato Farmville). Oggi, invece, ci sono più di una decina di altri modi con cui Facebook sta sperimentando per guadagnare e la società sta facendo particolare attenzione alla pubblicità visibile sulle applicazioni per smartphone.
Il problema degli smartphone è attualmente uno dei principali tra quelli che deve affrontare la società. A marzo del 2012 è stato introdotto per la prima volta un sistema di annunci pubblicitari nella timeline principale dell’applicazione, spostando la pubblicità dalla colonna più a destra al “centro del prodotto”: la mossa venne decisa dopo che i risultati degli ultimi mesi del 2011 mostrarono una flessione nella crescita delle vendite.
Al momento della quotazione in borsa, la filosofia della società sembrava essere quella di concentrarsi sulla crescita del numero e del coinvolgimento degli utenti, nella convinzione che i guadagni sarebbero seguiti, ma Facebook si è convinta da allora a destinare più risorse e più progetti al settore specifico delle vendite pubblicitarie e degli strumenti tecnologici per effettuarle.
Le mosse della società sembrano aver avuto successo, almeno finora: secondo i dati dell’ultimo trimestre i ricavi sono stati di 1,46 miliardi di dollari (1,13 miliardi di euro), un aumento del 36 per cento rispetto a un anno prima. L’articolo del WSJ sembra dire che gli investitori sono soddisfatti di questo nuovo approccio: se Facebook si inventa nuovi metodi per le inserzioni pubblicitarie, è più facile che chi abbia soldi da spendere in pubblicità voglia provarli (e investa di più in pubblicità).
Il Financial Times ha invece dedicato pochi giorni fa un articolo a un fenomeno che potrebbe frenare gli entusiasmi: la “stanchezza da Facebook”, cioè la paura di alcuni investitori che la generazione di chi ha meno di 25 anni stia parzialmente perdendo interesse nel servizio, preferendovi altri social network come Twitter, oppure programmi di messaggistica che permettono con più facilità conversazioni tra piccoli gruppi di amici, come Viber o WhatsApp.
Un quarto dei ricavi di Facebook, oggi, viene dalla pubblicità sugli smartphone, e la versione mobile è al centro di molti sforzi e preoccupazioni della società. Ma la minacciosa concorrenza di altri servizi di messaggistica o di social networking potrebbe avere a che fare proprio con la crescente diffusione degli smartphone, scrive il FT:
Nessuno di questi servizi [come Twitter, Viber ecc.] ricrea l’intera gamma delle caratteristiche di Facebook, ma questo sta diventando meno importante nel momento del rapido passaggio dai computer ai dispositivi mobili, dove è normale girare tra diverse app specializzate piuttosto che usare un unico sito per molte funzioni.
Facebook ha riconosciuto questo cambiamento – e il pericolo che rappresenta per la società – nel suo rapporto annuale, pubblicato a febbraio scorso (qui, a pagina 15). Nonostante le preoccupazioni, la società ha ancora molti motivi per essere soddisfatta, tra cui la forte crescita che continua ancora oggi nel numero complessivo degli utenti: secondo i dati della società, 1,11 miliardi di persone hanno usato Facebook almeno una volta nel mese di marzo 2013, una crescita di oltre il 20 per cento rispetto all’anno precedente. Di questi, circa 665 milioni di persone, poco meno di un abitante della Terra su dieci, utilizza il sito ogni giorno.
Foto: Spencer Platt/Getty Images