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  • Giovedì 16 maggio 2013

Obama prova a tirarsi fuori dai guai

In una delle peggiori settimane della sua amministrazione, il presidente degli Stati Uniti ha preso l'iniziativa sulle tre grosse questioni per cui viene criticato

US President Barack Obama leaves after making a statement in the East Room of the White House May 15, 2013 in Washington, DC. Obama spoke about the recent scandal where the Internal Revenue Service is accused of targeting conservative organizations and announced that Acting IRS Commissioner Steven T. Miller had resigned. AFP PHOTO/Brendan SMIALOWSKI (Photo credit should read BRENDAN SMIALOWSKI/AFP/Getty Images)
US President Barack Obama leaves after making a statement in the East Room of the White House May 15, 2013 in Washington, DC. Obama spoke about the recent scandal where the Internal Revenue Service is accused of targeting conservative organizations and announced that Acting IRS Commissioner Steven T. Miller had resigned. AFP PHOTO/Brendan SMIALOWSKI (Photo credit should read BRENDAN SMIALOWSKI/AFP/Getty Images)

Nel giro di poche ore l’amministrazione Obama ha preso l’iniziativa relativamente alle tre storie da giorni al centro delle cronache e del dibattito politico statunitense: sono tutte piuttosto sgradevoli per la Casa Bianca, tanto che si è parlato di questa settimana come della peggiore di Barack Obama da presidente. Nonostante la sua amministrazione sia stata fin qui praticamente immune dagli scandali che hanno spesso coinvolto i governi degli Stati Uniti, nel giro di pochi giorni Obama si è trovato parecchio in difficoltà, costretto a difendersi su tre fronti sia dai repubblicani – che chiedono le dimissioni almeno di Eric Holder, capo del Dipartimento della Giustizia – che da una parte dei democratici. Dopo qualche giorno di gestione della situazione, mercoledì sera in poche ore la Casa Bianca ha reagito su tutte e tre le questioni in ballo.

Il caso IRS
L’Internal Revenue Service, cioè l’agenzia delle entrate degli Stati Uniti, è accusata di aver fatto controlli fiscali speciali mirati su gruppi politici di opposizione. La storia è stata divulgata da Associated Press: circa cento associazioni e movimenti sono state selezionate per controlli più approfonditi per la sola presenza di parole come “tea party” o “patriot” nel loro nome, oppure perché nei documenti ufficiali il loro slogan dichiarato è “rendere l’America un posto migliore”, espressione spesso utilizzata da associazioni e movimenti di destra. Lo stesso non è stato fatto con movimenti di sinistra. Le richieste sono partite tutte da un ufficio dell’IRS di Cincinnati, Ohio.

Obama si è detto subito “arrabbiato” per quanto accaduto, definendo il comportamento degli impiegati “sbagliato” e “imperdonabile”, e ricordando che l’ente deve agire con la massima integrità senza lasciarsi guidare da valutazioni politiche. Dopo giorni di attacchi da parte dei repubblicani, mercoledì Obama ha chiesto e ottenuto le dimissioni di Steve Miller, commissario dell’IRS, che era conoscenza dei controlli mirati sui gruppi di destra. Miller aveva un incarico temporaneo che sarebbe comunque scaduto a giugno, e venerdì sarà sentito da una commissione del Congresso. Il procuratore generale Eric Holder, praticamente il ministro della Giustizia, ha annunciato un’inchiesta.

Il caso Associated Press
Da lunedì sappiamo che il Dipartimento di Giustizia del governo degli Stati Uniti ha segretamente intercettato per due mesi venti linee telefoniche di Associated Press, una delle più grandi agenzie di stampa internazionali. Le autorità hanno ottenuto gli elenchi delle chiamate in uscita e in entrata: non è ancora chiaro se ne hanno anche intercettato il contenuto o la durata. Le intercettazioni sono parte di un’inchiesta sulla fuga di notizie che permise ad Associated Press nel maggio del 2012 di ottenere informazioni su un piano di al Qaida per far esplodere una bomba su un aereo, poi sventato dalla CIA. Associated Press e molti altri giornalisti hanno definito le intercettazioni eccessive, gravi e senza precedenti, e tantissimi politici – sia democratici che repubblicani – hanno molto criticato l’aggressività dell’amministrazione Obama.

Eric Holder, il capo del Dipartimento di Giustizia, ha detto che queste misure eccezionali sono state necessarie a fronte di una fuga di notizie eccezionale che «ha messo in grave pericolo il popolo americano». Ma ha anche detto che del caso si occupò direttamente il suo vice, James Cole, visto che lui poteva essere considerato “in conflitto di interessi” dal momento che l’FBI lo aveva interrogato nelle indagini sulla fuga di notizie.

La Casa Bianca comunque – e qui sta la reazione di cui sopra – ha chiesto al senatore democratico Chuck Schumer (uno dei più noti ed esperti) di presentare nuovamente in Senato un progetto di legge a protezione dei giornalisti, che i democratici e la Casa Bianca avevano già tentato di far approvare due volte: entrambe le volte non ci erano riusciti a causa dell’opposizione dei repubblicani. La proposta prevede, tra le altre cose, che le richieste di intercettazioni di giornalisti debbano essere approvate da un tribunale, e rafforza il loro diritti di non rivelare le fonti. I repubblicani fermarono leggi simili proposte dai democratici nel 2007 e nel 2009: ora la Casa Bianca vuole vedere il loro bluff, diciamo, approfittando delle loro proteste per le intercettazioni di Associated Press.

Il caso Bengasi
Da una settimana negli Stati Uniti si è tornati a discutere dell’attacco dell’11 settembre 2012 al consolato americano a Bengasi, in Libia, che causò la morte dell’ambasciatore Cristopher Stevens e di altri tre diplomatici. La vicenda fu per giorni al centro della campagna elettorale per le elezioni presidenziali, con diversi repubblicani che criticarono duramente l’allora Segretario di Stato Hillary Clinton e l’amministrazione Obama per non avere fatto abbastanza per proteggere i funzionari statunitensi all’estero. Se ne riparla perché ABC News e Weekly Standard hanno pubblicato i cosiddetti “talking points” – brevi informazioni che l’amministrazione Obama fornì all’ambasciatrice statunitense all’ONU, Susan Rice, per poter riferire quanto successo a Bengasi in diversi talk show americani – e alcuni stralci delle email che si inviarono le persone che scrissero quei documenti.

Il materiale raccolto e diffuso dai due giornali ha rivelato nuovi dettagli sulle complicate trattative con cui si arrivò a una decisione riguardo cosa andava comunicato e cosa no, da una parte per non mettere a repentaglio l’inchiesta su quanto accaduto a Bengasi, dall’altra – e questo sostengono soprattutto i repubblicani – per rendere più complicato individuare responsabilità precise nell’amministrazione Obama, nella CIA o nel Dipartimento di Stato. Le email mostrano come il riferimento a precedenti avvertimenti riguardo rischi di attacchi a Bengasi fu prima inserito e poi rimosso dai documenti, e come si decise di descrivere le violenze come una reazione al trailer di un film “satirico” su Maometto, molto discusso, che in quegli stessi giorni aveva scatenato forti proteste anche in altri paesi arabi e mediorientali. Questa seconda tesi è stata smentita nelle settimane successive: le manifestazioni a Bengasi erano state architettate da tempo da gruppi estremisti legati ad al Qaida.

Mercoledì sera la Casa Bianca ha diffuso la versione integrale delle email già parzialmente reperite dalla stampa: cento pagine di comunicazioni tra la stessa Casa Bianca, il Dipartimento di Stato e la CIA, che mostrano la faticosa trattativa e la scrittura e riscrittura dei documenti. L’amministrazione Obama spera che la lettura integrale dei documenti mostri che fece soprattutto da mediatrice tra Dipartimento di Stato e CIA, e vuole anche dimostrare che la discussione – a tratti anche molto accesa – coinvolse funzionari dell’intelligence che avevano legittimamente punti di vista diversi su quanto andasse diffuso, e non funzionari politici interessati soprattutto alle conseguenze elettorali del caso. Le email si possono leggere integralmente qui, in pdf.

E ora?
Nessuno dei tre casi si chiude certamente con le mosse della Casa Bianca, anche perché tutti e tre, oltre a essere delle storie giornalistiche tutt’ora in corso, sono anche al centro di inchieste da parte del Congresso, che proseguiranno: nessuno oggi può prevedere cosa ne verrà fuori. Bisogna aspettarsi quindi nuovi sviluppi: la Casa Bianca sta cercando di disinnescare i peggiori e uscire dall’angolo.

foto: BRENDAN SMIALOWSKI/AFP/Getty Images