L’assistenza sanitaria integrativa ai conviventi dei deputati gay
Roberto Giachetti ha spiegato perché la decisione di ieri della Camera non è l'ennesimo "privilegio della casta", come accusa il Movimento 5 Stelle
Martedì 14 maggio l’ufficio di presidenza della Camera ha eliminato una restrizione che impediva ai deputati di estendere l’assistenza sanitaria integrativa ai propri conviventi dello stesso sesso. La richiesta era stata presentata un mese fa dal deputato del Partito Democratico Ivan Scalfarotto, che aveva ripreso la stessa richiesta, risalente alla scorsa legislatura, avanzata dalla deputata del PD Anna Paola Concia. Il provvedimento dell’Ufficio di Presidenza di fatto equipara la situazione dei deputati a quella di altri dipendenti che usufruiscono di una simile assistenza integrativa, in cui non si fa distinzione di sesso quando si parla di conviventi.
Hanno votato a favore i rappresentanti del PD, del PdL e di SEL. Ha votato contro la Lega, si sono astenuti Scelta Civica, Fratelli d’Italia e Movimento 5 Stelle, la cui capogruppo Roberta Lombardi ha parlato di ennesimo “privilegio della casta”. Roberto Giachetti, deputato del PD e vicepresidente della Camera, ha spiegato la questione sulla sua pagina Facebook.
A beneficio di chi è interessato alla verità su quanto deciso ieri nell’Ufficio di Presidenza della Camera spiego la questione. I deputati hanno un fondo autonomo interamente, ripeto interamente, finanziato con trattenute mensili sui loro stipendi. E’ un fondo autonomo come ce ne sono tantissimi che è appunto integrativo. A questo fondo oltre a se stessi i deputati fino a ieri potevano iscrivere, pagando una quota aggiuntiva, i figli o il coniuge o il convivente. E’ così dal 2001, non da ieri. La decisione della Camera di equiparare, nella possibilità di utilizzo di tale fondo è stata presa più di dieci anni fa. La decisione presa ieri dall’Ufficio di Presidenza è stata quella di eliminare una restrizione priva di senso: cioè ritenere che i conviventi possano essere solo eterosessuali. Una cosa ancor più assurda se la si confronta con altre decine di fondi per assistenza integrativa simili a quello di cui parliamo, nei quali, come ovvio, quando si parla di convivente non si fa distinzione riguardo il sesso. Vale così per l’assistenza dei giornalisti e addirittura per quella, praticamente identica, dei dipendenti della Camera. In tutti questi casi tale distinzione non esiste da anni. Quale sarebbe dunque lo scandalo? Quale sarebbe l’ignobile privilegio? In realtà abbiamo semplicemente eliminato una ridicola discriminazione che già molte persone normali, non appartenenti all “casta”, per fortuna non incontrano più.
Il tema di una legge per le coppie di fatto, quello dei matrimoni gay chei, da sempre, mi vedono favorevole e che purtroppo fino ad oggi, nonostante i tanti richiami e moniti autorevoli, da ultimo quello del Presidente Gallo, non hanno trovato una maggioranza in Parlamento non c’entrano con questa vicenda. Se poi ogni occasione deve essere utilizzata per fare polemica, ognuno è libero di fare quello che crede, ma almeno lo faccia sapendo che le cose non stanno come si vorrebbero descrivere. Se poi questa banalissima decisione dell’Ufficio di Presidenza, avesse la forza di spingere (ed in questo concordo pienamente con la mia amica Paola Concia) il Parlamento a fare, finalmente una legge civile su questo tema, allora, oltre ad aver risolto una incongruenza amministrativa, avremmo aiutato una buona causa.
– Dire di no, di Ivan Scalfarotto