Il piano per salvare la Slovenia
Lo ha annunciato il governo per evitare di dover ricorrere ai prestiti dell'Europa: c'è un aumento dell'IVA e molte privatizzazioni (ma in parecchi sono scettici)
Giovedì 9 maggio il primo ministro della Slovenia, Alenka Bratusek, ha annunciato una serie di misure che il suo governo prenderà per evitare di dover ricorrere all’aiuto dell’Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale. Entro il primo luglio l’IVA aumenterà dal 20 al 22%. Saranno privatizzate 15 imprese pubbliche, tra cui la Nova KBM, la seconda banca del paese, la compagnia aerea nazionale e il più grande operatore di telecomunicazioni.
Dopo aver chiuso il 2012 con un rapporto tra deficit e PIL del 3,7 per cento, la Slovenia, a seconda delle stime, potrebbe avere un deficit nel 2013 tra il 5 e il 7 per cento. Bratusek ha anche annunciato che sono ancora in corso i colloqui con la Commissione Europea per quanto riguarda i tagli agli stipendi del pubblico impiego – da cui secondo Bratusek bisognerebbe riuscire a ottenere almeno 250-300 milioni di euro. Secondo diversi analisti, il piano annunciato mette troppa poca enfasi sui tagli e rischia di non rappresentare una soluzione permanente dei problemi economici del paese.
La Slovenia fino al 1991 ha fatto parte dell’ex-Jugoslavia, ha 2 milioni di abitanti e un PIL di poco superiore ai 40 miliardi di euro. Dopo la disgregazione dell’ex-Jugoslavia, fu l’unico paese a evitare di essere coinvolto nella guerra civile. Nel 2007 entrò a far parte dell’euro – unico tra tutti i paesi de Balcani oltre alla Grecia. Negli ultimi dieci anni, grazie alle esportazioni degli stabilimenti Renault nel paese, al settore farmaceutico e a quello delle costruzioni, è stata l’economia più dinamica di tutta l’area.
L’arrivo della crisi economica, che ha causato un’improvvisa contrazione nelle esportazioni, ha rivelato alcune debolezze del paese e della sua rapida crescita economica. Si è scoperto che il settore bancario aveva concesso con leggerezza un numero enorme di prestiti al settore delle costruzioni. Altri prestiti, in particolare delle grandi banche pubbliche, erano stati concessi con altrettanta leggerezza a numerosi manager e imprenditori legati alla classe politiche per acquistare, a debito, quote nelle aziende che lo Stato aveva privatizzato negli ultimi anni.
Questa situazione ha portato un aumento esponenziale delle sofferenze bancarie, i prestiti concessi dalle banche che diventano impossibili o molto difficili da far rientrare. Per le grandi banchi pubbliche, tra cui la terza del paese che dovrebbe essere privatizzata, le sofferenze bancarie ammontano al 30 per cento di tutti i prestiti erogati (in Italia, dove le sofferenze sono comunque piuttosto alte, ammontano a circa il 6%).
I problemi della Slovenia non derivano da un alto debito pubblico, che al momento è ancora fermo al 64% del PIL, ma le finanze pubbliche soffrono comunque della crisi. Le banche con alte sofferenze non sono più in grado di acquistare titoli di debito pubblico e non erogano più prestiti alle aziende facendo crollare le attività economiche: questo a sua volta causa una diminuzione delle entrate fiscali, portando al dissesto il bilancio pubblico.
Le reazioni al piano annunciato dal governo sono state piuttosto caute. Il governatore della banca centrale slovena, Marko Kranjec, ha detto: «Se tutte le misure saranno davvero messe in pratica e non soltanto lasciate sulla carta, penso che che ci troveremo in una posizione in cui saremo in grado di risolvere da soli i nostri problemi». Altri analisti sostengono che questo piano potrà servire a guadagnare un po’ di tempo, ma non rappresenta una soluzione definitiva.
Ci sono molti dubbi in particolare sulla più importante delle misure annunciate, la privatizzazione di 15 importanti società pubbliche. Il governo non ha accennato né ai tempi né ai guadagni che si attendono dalla vendita. Ha annunciato che non manterrà quote di maggioranza o di controllo nelle aziende che saranno vendute: il che è una sorpresa, visto che in passato il piano di privatizzazioni prevedeva di conservare una quota del 25% almeno nelle grandi banche statali.
Il problema è trovare gli acquirenti per queste imprese in un periodo di crisi, in particolare per le banche in difficoltà. Lo scetticismo riguarda anche il modo in cui saranno portate avanti le privatizzazioni. In passato lo Stato ha sempre mantenuto una presenza nelle società che venivano vendute, direttamente – possedendo azioni – o indirettamente – favorendo la scalata delle società da parte di manager o altri imprenditori vicini alla politica e finanziati dalle banche pubbliche. Il portavoce del Commissario europeo Olli Rehn ha fatto sapere che la Commissione studierà il piano e formulerà un parere il prossimo 29 maggio.