Manicomi abbandonati
Muri scrostati, letti arrugginiti e oggetti dimenticati: il progetto del fotografo americano Jeremy Harris sugli ospedali psichiatrici dell'Ottocento
Jeremy Harris è un fotografo di Brookyln, New York, che dal 2005 raccoglie immagini di ospedali psichiatrici chiusi e abbandonati, in molti casi prima che vengano demoliti. Il progetto si chiama American Asylum – Moral architecture of the 19th century (Manicomi americani – l’architettura morale del XIX secolo) e mostra muri scrostati, letti arrugginiti, corridoi, camere e atri comuni ora in decomposizione, ma un tempo perfettamente funzionali a ospitare e curare i pazienti.
Harris si è concentrato soprattutto sui cosiddetti Kirkbride Hospitals, ospedali progettati secondo le indicazioni di Thomas Kirkbride, l’architetto americano che influenzò più di tutti l’architettura dei manicomi pubblici dalla seconda metà dell’Ottocento in poi. Nel 1845 Kirkbride pubblicò On the Construction, Organization, and General Arrangements of Hospitals for the Insane, in cui descriveva la struttura ideale dei manicomi. In particolare Kirkbride era convinto che l’edificio in sé dovesse produrre effetti curativi sui pazienti. Gli ospedali progettati secondo le sue indicazioni erano solitamente imponenti edifici in stile vittoriano, circondati da prati dove i malati potevano rilassarsi e tenersi in forma, e spesso con una fattoria nei dintorni dove lavorare a scopi terapeutici.
Il piano terra prevedeva solitamente un corpo centrale con le cucine, gli uffici amministrativi e gli alloggi del personale. Da questa zona centrale partivano i corridoi in cui si trovavano i reparti, dove i pazienti erano suddivisi in base alla gravità della malattia: erano costituiti da un largo corridoio centrale con nicchie in cui sedersi, letti singoli per i pazienti – così da garantire la comodità e la privacy – e piccoli dormitori. Kirkbride fece anche molta attenzione a dettagli come la ventilazione, il riscaldamento, le attrezzature igieniche e lo spazio per l’occupazione e lo svago dei pazienti. Le stanze erano spaziose, ben illuminate e colorate.
Nel 1851 la Superintendents’ Association – che riuniva medici che curavano e studiavano i malati di mente – adottò come norme ufficiali nella costruzione degli ospedali psichiatrici 26 regole suggerite da Kirkbride, che in quello stesso anno divenne presidente dell’associazione. Le indicazioni furono usate per quarant’anni, anche se dagli anni Settanta in poi furono sempre meno rispettate fino a quando nel 1888 la Superintendents’ Association decise di non considerarle più vincolanti. Il motivo fondamentale era il numero crescente di malati che dovevano essere ospitati negli ospedali, che divennero sempre più affollati: inizialmente prevedevano una media di 250 letti – cosa che facilitava anche il rapporto e la conoscenza tra pazienti e infermieri – ma alla fine del 1860 erano già saliti a 600, provocando un sensibile peggioramento delle condizioni di vita dei pazienti. Gli ospedali ispirati alle idee di Kirkbride divennero troppo costosi da mantenere, furono progressivamente abbandonati, in molti casi demoliti, mentre venivano costruite nuove strutture ispirate a nuovi principi architettonici e trattamenti di cura. Alcuni Kirkbride Hospitals però vennero rinnovati e restarono in funzione – a volte con un diverso utilizzo – anche nel Novecento.
Gli ospedali progettati da Kirkbride si diffusero anche grazie alle battaglie di Dorothea Dix, un’insegnante, che per prima raccontò le condizioni spesso disumane con cui erano trattate le persone malate di mente all’epoca: quando non venivano accudite dalla famiglia erano solitamente rinchiuse nelle prigioni, in case private e negli scantinati degli ospedali pubblici. Dix contribuì con le sue denunce alla costruzione del New Jersey State Lunatic Asylum, il primo manicomio costruito secondo il piano Kirkbride. Nel corso della sua vita fondò 32 ospedali psichiatrici in tutti gli Stati Uniti.
In un video pubblicato su Mother Jones, il fotografo Jeremy Harris racconta che la prima volta che ha fotografato un ospedale psichiatrico abbandonato è stata un’esperienza entusiasmante: «mi trovavo solo con la mia ragazza e non avevamo una guida». Nei primi tempi era interessato soltanto alla struttura degli edifici e a fotografarne l’architettura. Col tempo però è cresciuta l’intenzione di documentare luoghi che in molti casi sarebbero stati distrutti, ed è aumentato anche il suo coinvolgimento emotivo: «quando trovo la stanza di un paziente con tutti gli oggetti abbandonati, immagino come dev’essere stata la sua vita, senza potersene mai andare».