Pietro Grasso sulle “leggi speciali” per Internet
"Non è mai stata mia intenzione auspicare in alcun modo interventi che limitino la libertà", ha scritto su Facebook il presidente del Senato
Il presidente del Senato Pietro Grasso ha pubblicato oggi sul suo profilo Facebook un testo per fare chiarezza sulla sua posizione riguardo il tema della libertà di espressione in Rete. Da qualche giorno, infatti, si sta discutendo molto delle dichiarazioni del presidente della Camera Laura Boldrini, che in un’intervista di Concita De Gregorio pubblicata il 3 maggio su Repubblica aveva raccontato le molte minacce e insulti che ha ricevuto da quando è stata eletta. Boldrini aveva sostenuto la necessità di aprire una discussione “se vogliamo cominciare a pensare alla Rete come un luogo reale”. Grasso aveva espresso solidarietà a Boldrini e aveva lasciato pensare di voler appoggiare l’approvazione di “leggi speciali” che riguardassero le comunicazioni online.
Credo sia il caso di fare un po’ di chiarezza in merito a quanto si è letto e scritto dopo le mie parole sul tema della rete: non è mai stata mia intenzione auspicare in alcun modo interventi che limitino la libertà, non ho mai invocato censure, bavagli o “leggi speciali” come da più parti è stato scritto.
Il mio accenno sulla necessità di una “volontà internazionale” si basa sulla mia esperienza passata: da Procuratore nazionale antimafia ho più volte provato la frustrazione di veder bloccate indagini importanti e ribadito quanto sia necessario procedere con accordi internazionali per facilitare, in caso di reati acclarati, l’individuazione dei colpevoli. Deve valere per internet quanto vale, ad esempio, per il mondo finanziario: come siamo chiamati a contrastare i “paradisi fiscali” e il segreto bancario in caso di reati economici dobbiamo contrastare i “paradisi virtuali” dove risiedono server che non consentono la rintracciabilità, o la rendono estremamente difficile, di chi ha commesso crimini perseguibili dal nostro ordinamento. Questo per far procedere le indagini su reati come, ad esempio, le minacce alla presidente della Camera o l’hackeraggio e la diffusione delle mail personali di parlamentari del Movimento 5 stelle.
Per quanto riguarda invece la violenza verbale, l’insulto, la minaccia, capisco e condivido la preoccupazione di chi vede nelle “regole da mettere alla rete”, la paura che tali limitazioni siano usate per limitare la libertà di espressione e di opinione politica. Ma questo non deve impedire ad uno stato di difendere i propri cittadini dall’insulto, dal razzismo o dalle minacce. Per tentare di trovare un difficile punto di equilibrio, come mi è stato suggerito da Guido Scorza sul suo blog, faccio mie le parole che, su questo argomento, ha espresso il Relatore Speciale delle Nazioni Unite per la promozione e tutela della libertà di opinione e di espressione, Frank La Rue:
“le leggi per combattere espressioni di violenza, odio ed intolleranza (il cosiddetto “hate speech”) devono essere attentamente analizzate ed applicate da parte della magistratura, così come deve essere evitata l’eccessiva limitazione di modi di espressione legittimi. Allo stesso tempo, mentre le leggi sono certamente necessarie e rappresentano una componente importante per affrontare la violenza verbale, queste dovrebbero essere integrate da misure politiche il più ampie possibili per ottenere cambiamenti reali nella mentalità, nella percezione e nelle argomentazioni della persone”.
Alla tutela della libertà dobbiamo affiancare anche un dibattito approfondito e sereno sulla responsabilità di ciascuno. Per contrastare questa triste deriva non servono norme ulteriori, bastano l’informazione e l’educazione. Siamo sempre cittadini e ci rivolgiamo ad altri cittadini anche quando pubblichiamo un post, un commento, un tweet.
Vista l’importanza che tutti riconosciamo alla rete credo che possiamo concordare sul fatto che della rete si faccia un uso pienamente consapevole.
foto: Mauro Scrobogna /LaPresse