Il primo sportivo professionista a fare coming out
Non è stato Jason Collins la settimana scorsa, ma Glenn Burke 37 anni fa: all'epoca però era la stampa a non essere pronta a raccontare la sua storia
La settimana scorsa, con una lettera a Sports Illustrated scritta insieme al giornalista Franz Lidz, il giocatore di basket NBA Jason Collins ha annunciato di essere gay. Il suo annuncio è stato commentato da tutti come il primo coming out di un giocatore professionista di un qualsiasi sport ancora in attività. Il settimanale The Atlantic racconta un’altra storia: quella di Glenn Burke, un giocatore di baseball che 37 anni fa non tenne nascosta la sua omosessualità. Fu la stampa, all’epoca, a non essere pronta a raccontare la sua storia.
Glen Burke nacque ad Oakland, in California, nel 1952. Il primo sport che praticò fu il basket e vinse numerosi premi e tornei con la squadre dell’università di Berkeley, ma la prima squadra professionistica a chiamarlo furono i Los Angeles Dodgers, una squadra di baseball – l’altro sport che aveva cominciato a praticare.
Nel 1976 firmò il suo primo contratto. Non nascose a nessuno la sua omosessualità: lo sapevano i dirigenti, l’ufficio stampa e anche i suoi compagni di squadra. Burke era così aperto sul tema che quasi tutti all’interno del team temevano che la storia potesse arrivare alla stampa. Nel 1976 proposero a Burke di organizzare un finto matrimonio e gli offrirono 75 mila dollari per accettare. Burke rifiutò.
«Nel 1978 – scrisse Burke nella sua autobiografia – tutti sapevano che ero gay». Burke non lo nascondeva nemmeno ai giornalisti. Quando l’argomento veniva fuori, scrive l’Atlantic, i giornalisti si limitavano a scuotere il capo e a dire: «Questo proprio non posso scriverlo». Molti anni dopo Burke raccontò: «Penso che semplicemente tutti facessero finta di non sentirmi. Era una storia che nessuno era pronto ad ascoltare». La prima volta che i giornalisti trovarono il coraggio di scriverlo fu nel 1982, 4 anni dopo il suo ritiro dalla carriera da professionista.
Poco tempo dopo l’uscita dell’articolo, Burke venne intervistato in una trasmissione televisiva. Fu tutto: né i suoi compagni di squadra né la dirigenza commentarono la notizia, e lo stesso fece la stampa sportiva in generale. Del caso non si parlo più praticamente per tredici anni, fino a quando nel 1995 il settimanale People non lo intervistò in occasione dell’uscita del suo libro autobiografico, Out at home. «Nessuno può più dire che un gay non può giocare nella Major League [la lega professionistica di baseball nordamericana], perché io sono gay e io ce l’ho fatta», disse durante l’intervista. Burke morì lo stesso anno per cause legate all’AIDS.
Da allora la sua storia è stata di nuovo ignorata dai media e in particolare da quelli che si occupano di sport. Ad esempio, il documentario sulla sua vicenda umana e sportiva Out: The Glenn Burke Story non è stato trasmesso da ESPN, uno dei principali network sportivi, e da nessun altro canale importante. Alla fine il merito di Burke, quello di essere stato il primo atleta ad aver mai dichiarato di essere gay a fine carriera e di averci provato mentre la sua carriera erano ancora in corso, non è stato pubblicamente riconosciuto.
La sua storia spiega anche quanto sia importante l’attenzione che la stampa sta riservando al caso Jason Collins. In momenti come questi, scrive ancora l’Atlantic, c’è bisogno che i media e le persone affrontino questi temi, altrimenti i gesti di gesti di singoli coraggiosi, come quelli di Burke e di Collins, rischiano di non produrre i grandi cambiamenti che sono in grado di iniziare.
Foto: AP Photo/LM