Cosa succede a Guantanamo
Perché se ne riparla: più di 100 detenuti sono in sciopero della fame, Obama ha detto di nuovo che il carcere va chiuso ma non ci sono soluzioni semplici
Da settimane si è tornati a parlare con insistenza del carcere di Guantanamo, a oltre dieci anni da quando, l’11 gennaio 2002, i primi venti detenuti accusati di terrorismo arrivarono alla prigione militare di massima sicurezza allestita dagli Stati Uniti a Cuba dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Secondo fonti ufficiali americane oggi a Guantanamo ci sarebbero circa 100 detenuti in sciopero della fame. Gli avvocati dei prigionieri sostengono che il numero è ancora maggiore, circa 130 su 166 detenuti totali. A fronte del peggioramento delle condizioni dei prigionieri e delle loro manifestazioni di protesta, il 30 aprile Obama è tornato a parlare della chiusura del carcere – che ha più volte promesso, ma non ha ancora ottenuto – sostenendo che quello che sta accadendo nel carcere a Cuba danneggia l’immagine e la posizione internazionale degli Stati Uniti.
Fin dalla sua istituzione, il carcere di Guantanamo diventò uno dei simboli della politica estera dell’amministrazione George W. Bush e della gestione emergenziale e poco rispettosa dei diritti dei prigionieri. Di Guantanamo si parla a fasi intermittenti da allora: seguendo la richiesta di molte organizzazioni umanitarie e di difesa dei diritti umani, Barack Obama fece della chiusura di Guantanamo uno dei punti centrali della sua campagna elettorale del 2008. Uno dei suoi primi atti da presidente fu proprio la firma su un ordine esecutivo di chiusura del carcere, ma la proposta venne bocciata dal Congresso: Guantanamo restò aperta.
Cosa è successo negli ultimi tre mesi a Guantanamo
Le condizioni dei detenuti sono peggiorate molto rapidamente, soprattutto a causa degli scioperi della fame. I primi scioperi sono iniziati nel febbraio 2013, ma erano stati negati dalle autorità carcerarie. Lunedì 14 aprile il New York Times ha pubblicato la trascrizione di una telefonata fatta da Samir Naji al Hasan Moqbel, cittadino yemenita detenuto nella prigione di Guantanamo dal 2002, ai suoi avvocati dell’organizzazione no-profit “Reprieve”. Moqbel, uno dei detenuti che avevano iniziato lo sciopero della fame a Guantanamo a marzo, spiegava le conseguenze della sua scelta, raccontando con molti particolari le condizioni di alimentazione forzata a cui è stato sottoposto: raccontava in particolare il dolore di farsi infilare forzatamente il tubo dell’alimentazione giù per il naso, e altri episodi di soprusi, tra cui la decisione delle autorità del carcere di dare ai detenuti in sciopero solo acqua non potabile, per farli desistere.
Martedì 30 aprile Rupert Colville, il portavoce dell’ONU per i diritti umani, aveva detto che l’alimentazione forzata che si sta verificando a Guantanamo è anche una probabile violazione dei diritti umani: «Se l’alimentazione forzata avviene contro la volontà di chi la subisce, allora secondo la World Medical Association e secondo noi, questa pratica dovrebbe essere considerata un trattamento crudele, inumano e degradante che non è permesso dal diritto internazionale». Il presidente dell’American World Association, il dottor Jeremy Lazzaro, aveva espresso posizioni simili in una lettera mandata il 25 aprile al segretario della Difesa americano Chuck Hagel: «Qualsiasi paziente nelle sue piene facoltà mentali ha il diritto di rifiutare l’intervento medico, inclusi quelli di sostegno vitale».
Obama, di nuovo: chiudiamo Guantanamo
Il 30 aprile, dopo avere deciso di inviare una quarantina di infermiere e altro personale specializzato a Guantanamo per curare i detenuti in gravi condizioni di salute, Obama è tornato a parlare di una possibile chiusura del carcere:
«Non voglio che queste persone muoiano. Ovviamente il Pentagono sta cercando di gestire la situazione al meglio, ma penso che tutti noi dovremmo riflettere sull’esatto motivo per cui stiamo facendo questo. Perché stiamo facendo questo»
Le dichiarazioni del presidente riprendono quanto fatto da Obama il 22 gennaio 2009: due giorni dopo il giuramento da presidente degli Stati Uniti, Obama firmò un ordine esecutivo che imponeva la chiusura di Guantanamo entro un anno. Una commissione avrebbe riconsiderato la situazione di ciascuna delle 241 persone allora detenute e avrebbe deciso quali avrebbero affrontato un processo e quali invece sarebbero state trasferite in strutture statunitensi. Ad aprile 2009 la commissione concluse che solo per venti o trenta persone si sarebbe potuto istruire un processo mentre per tutte le altre i servizi segreti possedevano del materiale, ma niente o quasi che potesse essere usato davanti a una corte.
Il 20 maggio del 2009 il Senato bocciò con 90 voti contro 6 la proposta di stanziare 80 milioni di dollari per chiudere Guantanamo e di trasferire i prigionieri in un carcere di massima sicurezza dell’Illinois. La votazione fu un colpo molto duro per il governo, e il fatto che anche quasi tutti i senatori democratici avessero votato contro la chiusura dimostrava che la retorica repubblicana stava colpendo nel segno: i repubblicani insistevano e non volevano sul suolo americano «alcuni degli uomini più pericolosi del mondo». Obama avrebbe potuto comunque autorizzare i trasferimenti grazie ai cosiddetti “waiver powers”, ovvero una specie di potere di delega di cui dispone il Presidente su alcune questioni. Decise di non farlo, probabilmente perché tra le tante battaglie che si apprestava a dover fare con il Congresso, Guantanamo era un tema su cui non pensava fosse necessario insistere.
Favorevoli e contrari alla chiusura di Guantanamo
La situazione a Guantanamo è oggi di completo stallo. Le recenti dichiarazioni di Obama sembrano andare in direzione contraria rispetto a quanto deciso solo pochi mesi fa, a gennaio 2013, quando l’amministrazione rimosse Daniel Fried dal suo incarico di inviato speciale per la chiusura della prigione, senza assegnarlo a qualcun altro.
All’interno degli stessi Stati Uniti le posizioni su Guantanamo sono molto diverse. Il 16 aprile scorso un gruppo indipendente americano aveva presentato un rapporto in cui si definivano le condizioni dei prigionieri “ripugnanti e intollerabili” e si auspicava la chiusura del carcere entro la fine del 2014, ovvero in coincidenza della fine della missione NATO in Afghanistan. La chiusura del carcere è sostenuta anche da chi ritiene eccessiva la spesa necessaria a mantenerlo aperto – che è superiore a quella prevista per qualsiasi centro detentivo ordinario.
Le opposizioni arrivano soprattutto dal Congresso. Dopo le dichiarazioni di Obama, Howard McKeon, presidente repubblicano della Commissione della Camera per i servizi armati, ha ribadito che esiste un’opposizione bipartisan a Obama sul tema della chiusura di Guantanamo. Secondo McKeon, Obama sarebbe rimasto ambiguo rispetto a uno dei problemi più grandi relativi alla chiusura del carcere, cioè cosa fare dei molti detenuti che sembra sia troppo rischioso rilasciare ma che allo stesso tempo non è possibile perseguire. Non esisterebbero alternative valide nemmeno riguardo ai terroristi che potrebbero essere catturati in futuro.
Ricapitolando. Rilasciare i detenuti è complicato perché spesso i loro paesi originari non sono disposti ad accoglierli, e ci sarebbero pesantissime conseguenze politiche se uno di questi dovesse fare un attentato dopo essere stato rilasciato. Anche processarli è complicato e costoso: i procedimenti durerebbero anni, la loro protezione richiederebbe centinaia di milioni di dollari. In tutto questo il Congresso americano ha deciso di non decidere, e il carcere di Guantanamo rimane esattamente com’era, congelato, con 166 persone dentro.
foto: (AP Photo/Brennan Linsley)