Il processo contro i neonazisti tedeschi
Inizia il 6 maggio (forse), è uno dei più importanti della storia recente in Germania: una vicenda piena di polemiche, inefficienze, errori clamorosi e presunti complotti
di Elena Zacchetti – @elenazacchetti
Da almeno un mese il tribunale di Monaco, in Germania, è coinvolto in una serie di polemiche e rinvii riguardanti uno dei più importanti processi della storia recente tedesca. La principale imputata è Beate Zschäpe, 38 anni: gli investigatori credono sia l’unico membro superstite di una cellula neonazista che si faceva chiamare “Nationalsozialistischer Untergrund” (NSU), operante in Germania almeno dal 1997 fino al novembre 2011. Tra il settembre 2000 e l’aprile 2007 la NSU sarebbe stata responsabile di molti reati, tra cui le bombe a Colonia del 2004 e l’omicidio di dieci persone in diverse città della Germania.
Il processo in realtà non è ancora iniziato, a causa di molti problemi soprattutto riguardo le procedure di accreditamento per la stampa, che dovrebbero permettere anche ai giornalisti stranieri di assistere alle sedute. La prima udienza, fissata per il 17 aprile scorso, era stata rinviata al 6 maggio in accoglimento della richiesta di un giornale turco escluso dalla prima lista degli accreditati. Ora sembra che almeno tre grandi giornali tedeschi, tra cui il Die Welt, stiano valutando l’intenzione di avviare un’azione legale per la stessa ragione: non hanno avuto posti per seguire il processo.
Queste continue lentezze hanno comprensibilmente irritato le famiglie delle persone uccise negli omicidi di cui si occuperà il tribunale. Tuttavia, queste sono solo le ultime di una serie lunghissima di polemiche che da anni caratterizza l’intera vicenda delle indagini sulla NSU: legami con ambienti politici di estrema destra, incompetenze continue nelle inchieste, sospetti sul ruolo dei servizi segreti, tutti elementi che hanno fatto sì che la storia della NSU fosse considerata come una delle più oscure e complesse della Germania del secondo dopoguerra.
Cos’è e come nasce la NSU
La procura generale tedesca ha definito la NSU un “gruppo di estrema destra” che ha l’obiettivo di “uccidere per xenofobia e sentimenti antinazionali tutti i cittadini di origine straniera”. Secondo quanto raccolto e riportato dalla polizia e dall’intelligence tedesca, la NSU sarebbe stata fondata da tre neonazisti poco più che ventenni, Uwe Böhnhardt, Uwe Mundlos e Beate Zschäpe. La prima testimonianza delle attività del gruppo risale all’autunno del 1997, quando Böhnhardt lasciò diverse valigie con sopra il disegno di una svastica e contenenti dell’esplosivo in diversi punti dello stato orientale tedesco della Turingia. Poco dopo, il 24 novembre, i servizi segreti tedeschi iniziarono la prima operazione di sorveglianza di Böhnhardt, Mundlos e Zschäpe.
Da sinistra, Uwe Mundlos e Beate Zschäpe e Uwe Böhnhardt
Per diverse settimane gli agenti osservarono i tre della NSU acquistare e armeggiare con del materiale che poteva essere utilizzato anche per costruire delle bombe (tubi, anelli di gomma, alcool denaturato). Il 26 gennaio 1998 gli agenti dei servizi trovarono un disegno fatto a mano di un garage in cui sospettavano che i neonazisti avessero nascosto una bomba. La perquisizione che ne seguì, il 26 gennaio 1998, confermò questa ipotesi ma non portò all’arresto dei tre sospettati, che riuscirono a fuggire. Da allora Uwe Böhnhardt, Uwe Mundlos e Beate Zschäpe entrarono in clandestinità.
I legami della NSU con il Partito Nazional-Democratico Tedesco (NDT)
A partire dalla scelta della clandestinità, la vicenda della NSU si intreccia con quella di altri gruppi o movimenti di estrema destra operanti in Germania (qui un’infografica schematica e riassuntiva dei legami della NSU). In particolare, sembrano essere stati due i personaggi che hanno condizionato la storia successiva della NSU: il primo è André K., capo di un altro gruppo di estrema destra tedesco, “Kameradschaft Jena”, che dimostrò in seguito di avere stabilito dei rapporti solidi con i membri della NSU e di essere stato uno dei loro sostenitori più convinti. Il secondo è Tino Brandt, soprannominato “Otto”, leader del gruppo di estrema destra Thüringer Heimatschutz, che all’epoca contava fino a 170 membri. Lo Spiegel racconta – basandosi sul contenuto di un rapporto dei servizi segreti che dice di aver visionato – che Otto era un ragazzo dai capelli biondi ricci, portava degli occhiali che lo facevano sembrare ancora uno studente, ma aveva un carisma e una spregiudicatezza particolarmente rari: mentre guidava il suo gruppo di militanti, Otto iniziò a collaborare con i servizi di intelligence tedeschi, raccontando molte cose di quello che sapeva su Böhnhardt, Mundlos e Zschäpe.
A partire dal febbraio del 1998, K. incontrò diversi personaggi di un certo rilievo negli ambienti di estrema destra tedesca con l’obiettivo di ottenere i soldi sufficienti a comprare dei passaporti falsi a Böhnhardt, Mundlos e Zschäpe, e permettergli di fuggire dal paese. Secondo quanto riferito da Otto alle autorità, il 12 febbraio 1998 K. avrebbe incontrato a Berlino Frank Schwerdt, membro dell’esecutivo nazionale del Partito Nazional-Democratico Tedesco (NDT), piccolo partito di estrema destra molto discusso e criticato in Germania. K. avrebbe chiesto a Schwerdt aiuto per pianificare la fuga all’estero di Böhnhardt, Mundlos e Zschäpe: Schwerdt ha confermato di avere ricevuto la richiesta di aiuto, ma ha detto di avere risposto negativamente.
I contatti con esponenti del partito neonazista NDT continuarono anche in seguito, più o meno esplicitamente. L’8 marzo 1999, durante una telefonata tra Otto e Böhnhardt, emerse il nome di Hans-Günter Eisenecker, funzionario del partito: se Eisenecker avesse chiamato dicendo la frase “7 p.m.”, una specie di espressione in codice, Otto avrebbe dovuto immediatamente avvisare l’intermediario della NSU, che allora era Ralf Wohlleben, attivista dello stesso gruppo di Otto e futuro esponente del partito NDT. Qualche giorno dopo, il 13 marzo 1999, Otto fu contattato da Carsten S., un’attivista dello stesso gruppo di estrema destra di Otto: l’anno successivo Carsten diverrà il capo dell’organizzazione giovanile del partito neonazista NDT, e sarà sospettata di avere trasferito illegalmente denaro in Sassonia, lo stesso luogo in cui vivevano in quel periodo Böhnhardt, Mundlos e Zschäpe.
I crimini commessi dalla NSU dal 2000 al 2007
La storia della NSU terminò il 4 novembre 2011, quando la polizia scoprì i cadaveri di Mundlos, 38 anni, e Böhnhardt, 34 anni, in una roulotte a cui era stato dato fuoco, a Eisenach, nella Germania orientale. Secondo la polizia, i due si sarebbero suicidati al termine di un tentativo di rapina in banca. Qualche ora dopo il loro appartamento a Zwickau, nella Germania Orientale, fu fatto esplodere da Zschäpe, che poi si consegnò alla polizia. Da quel poco che rimase dell’appartamento dei tre a Zwickau, gli investigatori trovarono un video molto particolare. Lo Spiegel, che ne pubblicò una versione ridotta il 14 novembre del 2011, lo definì “bizzarro e cinico”: il video presentava per lo più una serie di scene di cartoni animati, tra cui la Pantera Rosa, accompagnati dall’audio originale e da altre frasi prese da slogan neonazisti. Il video sembrava essere la rivendicazione degli omicidi che la NSU aveva commesso tra il 2000 e il 2006 (qui la versione con il commento in inglese pubblicata sul sito dell’edizione internazionale dello Spiegel).
Il principale reato di cui dovrà rispondere Zschäpe è il coinvolgimento nei cosiddetti “omicidi doner”, che fino al novembre 2011 rimasero i crimini irrisolti più misteriosi della storia recente della Germania: otto persone di origine turca e un cittadino greco furono uccisi tra il 2000 e il 2006 in diversi stati della Germania (qui la mappa dei reati e dei luoghi legati alla NSU). Erano quasi tutti proprietari di piccole attività – tra cui rivenditori di kebab, da qui il nome – e furono uccisi in pieno giorno colpiti al viso da proiettili sparati da una pistola calibro 7,65. La stessa arma sembra sia stata utilizzata anche per un altro omicidio, quello della poliziotta tedesca Michèle Kiesewetter, compiuto nel 2007. Gli altri capi di accusa sono legati a diversi altri reati: l’attacco a Saarbrücken, nel 1999, durante un’esibizione relativa alle forze armate naziste della Seconda Guerra Mondiale; le esplosioni in un quartiere di Colonia a maggioranza turca, nel 2006, in cui rimasero ferite 22 persone, alcune delle quali in maniera seria; e 14 rapine, quasi tutte realizzate nello stato di Turingia.
I colossali errori nelle indagini
Nel gennaio 2012 il sito del settimanale tedesco Spiegel pubblicò molti dettagli contenuti in un rapporto riservato scritto dalla “Bundesamt für Verfassungsschutz”, l’intelligence interna tedesca, e inviato poco prima di Natale al governo di Berlino, alla commissione competente del Parlamento tedesco e agli Stati federali. Il rapporto spiegava con precisione lo sviluppo delle indagini dei servizi sulle attività del piccolo gruppo di neonazisti successivamente noto come la NSU. Nel rapporto si leggevano molti particolari riguardanti i sistemi di finanziamento, i metodi per recuperare le armi e i rapporti esistenti tra la NSU e altri gruppi o movimenti dell’estrema destra tedesca.
Secondo le informazioni riportate dallo Spiegel, derivanti sia dal rapporto segreto sia da un’indagine autonoma condotta dai giornalisti della testata in Sassonia e in Turingia, le autorità tedesche erano ben informate delle attività dei neonazisti almeno fino al 2001: avrebbero anche avuto le prove della pianificazione di alcuni attacchi armati che la NSU stava progettando. C’è però un giorno in particolare, indicato dallo Spiegel come il più disastroso delle indagini sulla NSU: sabato 6 maggio 2000. Quel giorno alcuni agenti dell’intelligence seguirono e fotografarono il proprietario della casa in cui i tre membri della NSU si stavano nascondendo. L’abitazione si trovava a Bernhardstrasse 11, nella città di Chemnitz, nella Germania centro-orientale vicino al confine con la Repubblica Ceca.
Una delle fotografie scattate quel giorno sembrava mostrare proprio Böhnhardt. Gli agenti dei servizi segreti di Turingia, incerti nell’identificazione dei soggetti di alcune fotografie, chiesero aiuto ai colleghi dell’Investigativa: ma lo fecero con colpevole ritardo, ben nove giorni dopo quel 6 maggio. L’Investigativa chiese a sua volta aiuto all’Ufficio della Polizia Criminale Federale, che rispose che l’uomo nella foto con molta probabilità era proprio Böhnhardt. La risposta si perse però tra un canale e l’altro della burocrazia tedesca e arrivò a destinazione troppo tardi per risolvere il pasticcio: Böhnhardt non venne più individuato. Secondo lo Spiegel:
«Durante quel disastroso sabato di 11 anni fa, gli ufficiali di polizia e gli agenti di intelligence avrebbero potuto prevenire una escalation di violenze che avrebbe potuto evitare la morte di otto persone di origine turca, un greco e una poliziotta, crimini di cui sono accusati Böhnhardt e Mundlos tra il settembre 2000 e l’aprile 2007. […] Ora si scopre che le autorità avrebbero potuto fermare la follia omicida della “Nationalsozialistischer Untergrund”, come lo stesso gruppo si fa chiamare, prima che succedesse tutto quello che successe dopo»
Il ruolo dei servizi segreti tedeschi, ipotesi di complotti
L’intelligence tedesca è stata criticata moltissimo per il fallimento delle indagini. A metà del novembre 2011 il quotidiano Berliner Zeitung pubblicò un editoriale in cui si sosteneva che «quello era stato probabilmente il più grande disastro fatto dai servizi segreti tedeschi dai tempi della riunificazione della Germania». Tuttavia, man mano che emergevano i particolari della vicenda e i dettagli sui fallimenti delle indagini nel decennio precedente, molti iniziarono a mettere in discussione il ruolo stesso dei servizi segreti tedeschi in tutta questa vicenda, e parlarono di un loro possibile coinvolgimento, diretto e consapevole, nelle scelte e nei crimini compiuti dalla NSU. In particolare furono due gli episodi che diedero il via a ipotesi più o meno complottistiche.
Il primo fa riferimento a uno dei 10 omicidi di cui è accusata la NSU, l’assassinio al Kassel Internet Cafe nel 2006, quando si scoprì che sul luogo del reato si trovava proprio un agente dei servizi segreti. L’uomo fu arrestato dopo che i testimoni dell’omicidio notarono che era il solo cliente del locale a non avere chiamato la polizia. Quando comunicò la sua identità alle autorità l’uomo fu rilasciato, ma in seguito non furono chiarite del tutto le ragioni della sua presenza.
Il secondo, ben più grave, fa riferimento a un episodio risalente al 12 novembre 2011, ma reso pubblico alla stampa solo nel giugno 2012. Nel 2011 qualcuno dell’intelligence interna tedesca distrusse i documenti relativi al caso della NSU, dopo che il giorno precedente era stato rivelato alla stampa che il gruppo di estrema destra poteva essere responsabile di una serie di reati, tra cui i dieci omicidi compiuti tra il 2000 e il 2007. Di questo episodio si occupò anche il ministro dell’Interno Hans-Peter Friedrich, che promise di fare chiarezza su quanto successo. Secondo quanto riferito allo Spiegel da alcuni funzionari dei servizi interni di intelligence, l’azione sarebbe stata “un atto isolato”, eseguita da un dipendente senza che avesse ricevuto un ordine diretto da qualcuno interno ai servizi.
Il problema del sistema di accreditamento stampa
A tutta una vicenda molto complessa, e ancora piuttosto oscura, si sono aggiunte nell’ultimo mese una serie di lentezze organizzative derivanti dalla procedura di accreditamento della stampa per poter seguire il processo. Tutto è iniziato il 12 aprile scorso, quando la Corte Costituzionale Federale accolse la lamentela presentata dal giornale turco Sabah per essere stato escluso dalla lista degli accreditati al processo: in realtà non era previsto nessun meccanismo particolare di accreditamento, se non l’ordine di arrivo dei giornalisti. La Corte Costituzionale decise di rinviare la prima udienza dal 17 aprile al 6 maggio, in modo da permettere al tribunale di Monaco di elaborare procedure di accreditamento dei giornalisti diverse che garantissero anche la presenza della stampa straniera.
Inizialmente il tribunale di Monaco si rifiutò di fare quanto gli era stato detto dalla Corte Costituzionale, creando parecchio imbarazzo al governo. Quando la richiesta fu finalmente accettata, iniziò a protestare l’associazione delle famiglie delle vittime. Barbara John, rappresentante dell’associazione, definì il rinvio una “mezza catastrofe”, dicendo che molti parenti delle vittime si erano già preparati a livello psicologico per quella che sarebbe stata un’esperienza traumatica, oltre ad avere già comprato i biglietti aerei dalla Turchia e prenotato l’hotel a Monaco.
Nel tentativo di assicurare maggiore trasparenza il tribunale decise così di cambiare il sistema di accreditamento: non più sull’ordine di arrivo, ma attraverso un sorteggio da tenersi lunedì 29 aprile, con la garanzia però di quattro accrediti riservati alle testate turche. Il sorteggio ha generato nuove polemiche, questa volta da parte di tre importanti giornali tedeschi, il Frankfurter Allgemeine Zeitung, il Die Welt e il Die Tageszeitung, che sono rimasti esclusi. Jan-Eric Peters, redattore capo del quotidiano Die Welt, ha detto: «Nel più importante processo dell’anno tre giornali di grande qualità del paese sono rimasti esclusi, a differenza del giornale di annunci Hallo München. Questo è assurdo. Stiamo considerando un’azione legale per chiarire questa questione». La posizione del Die Welt è stata condivisa anche dagli altri due giornali tedeschi rimasti esclusi: per ora, comunque, la prima udienza rimane fissata per il 6 maggio.
foto: Johannes Simon/Getty Images