A Oslo c’è carenza di rifiuti
Ed è un problema, dato che la città scalda la metà dei suoi edifici con l'energia prodotta dagli inceneritori: nemmeno le importazioni sono più sufficienti
Da diversi anni Oslo, la capitale della Norvegia, ha sviluppato un sistema che permette a circa la metà dei suoi edifici di essere riscaldati grazie all’energia prodotta dai rifiuti bruciati dagli inceneritori: si tratta per lo più di rifiuti domestici e industriali, ma anche di rifiuti tossici e nocivi provenienti da ospedali, e dalla droga sequestrata dalla polizia. Ora però c’è un problema, causato dal parallelo sviluppo di queste tecniche anche in altre città europee, in particolare del nord Europa: la domanda di rifiuti ha superato l’offerta. Oslo si ritrova a dover trovare altri modi per alimentare i propri inceneritori.
Oslo ha 1,4 milioni di abitanti. In città lo sfruttamento ottimale dei rifiuti va avanti dal 2010: le famiglie separano attentamente la loro immondizia, mettendo i rifiuti alimentari in sacchetti verdi, la plastica in sacchetti blu e il vetro in un contenitore ancora diverso. La separazione dei rifiuti organici ha permesso a Oslo di produrre biogas, che ora viene utilizzato come carburante ecologico per molti autobus della città.
Questi rifiuti, come ha spiegato al New York Times Pal Mikkelsen – ingegnere meccanico che durante l’ultimo anno è stato amministratore delegato dell’agenzia di Oslo che si occupa della trasformazione di rifiuti in energia – vengono bruciati utilizzando diverse tecniche. Nel più grande dei due impianti gestiti dallo stesso Mikkelsen, a Oslo, vengono utilizzati sensori computerizzati che permettono di separare i sacchetti della spazzatura a seconda del loro colore, in modo che vengano posizionati su nastri trasportatori differenziati.
Tuttavia la produzione di rifiuti locale non è sufficiente da sola a pareggiare la domanda di rifiuti degli inceneritori della città, e di conseguenza dei servizi che si vogliono fornire senza ricorrere a combustibili fossili. Per questo Oslo importa immondizia dalla Gran Bretagna, ma anche dall’Irlanda e dalla Svezia. Ci sono altre zone dell’Europa che producono molti rifiuti, ad esempio l’Italia meridionale. Mikkelsen ha raccontato al New York Times di aver preso in considerazione l’ipotesi di accettare l’immondizia da Napoli durante l’emergenza rifiuti del 2011, che aveva costretto la città a pagare alcune città della Germania e dei Paesi Bassi per accettare i rifiuti. Le caratteristiche dei rifiuti che sarebbero arrivati da Napoli spinse però Mikkelsen a rifiutare l’offerta, preferendo continuare a rifornirsi da altre parti. Negli ultimi anni, tuttavia, molte città del nord Europa, tra cui Stoccolma, hanno sviluppato tecniche simili, iniziando a fare concorrenza al mercato di importazione di rifiuti di Oslo. Secondo Mikkelsen la soluzione potrebbe essere quella di valutare nuove opzioni, come i rifiuti provenienti dal mercato americano.
Secondo Lars Haltbrekken, presidente di “Amici della Terra“, il più antico gruppo ambientalista norvegese, le tecniche di separazione e riciclaggio dei rifiuti adottate dalla Norvegia hanno anche degli effetti negativi: «Da un punto di vista ambientale è un problema enorme. C’è pressione per produrre sempre più rifiuti, fintanto che si ha la possibilità di assorbirli». In un’ipotetica gerarchia di obiettivi da raggiungere per il rispetto dell’ambiente, sostiene Haltbrekken, produrre meno rifiuti dovrebbe essere al primo posto, mentre generare energia dai rifiuti dovrebbe essere all’ultimo.