“Un brav’uomo”
Il testo del discorso di Barack Obama in onore di George W. Bush, dove spiega perché lo stima (benché sia un ladro di dinosauri)
di Barack Obama
Giovedì 25 aprile, tutti e cinque gli ultimi presidenti degli Stati Uniti (compreso l’attuale) si sono incontrati a Dallas in Texas, per l’inaugurazione della Presidential Library dedicata a George W. Bush. Durante la cerimonia di apertura, Barack Obama ha tenuto un discorso in onore del suo predecessore, raccontando il presidente – ma soprattutto l’uomo – che guidò il paese per otto anni.
Grazie, grazie molte. Prego, accomodatevi. Al presidente Bush e alla signora Bush; al presidente Clinton e alla ex Segretario di stato Clinton; al presidente George H. W. Bush e alla signora Bush; al presidente e alla signora Carter; agli attuali leader del mondo e a quelli che lo sono stati, e a tutti gli illustri ospiti qui oggi: Michelle e io siamo onorati di essere con voi in questa storica occasione. Questa è proprio una festa da texani. Ed è all’altezza di ciò che siamo venuti a fare qui oggi: rendere omaggio alla vita e all’eredità del 43esimo presidente degli Stati Uniti, George W. Bush.
Quando tutti gli ex presidenti sono riuniti insieme, è anche un giorno speciale per la democrazia. Siamo stati chiamati “il club più esclusivo del mondo”, e in effetti abbiamo un gran bel circolo. Ma la verità è che il nostro club è soprattutto un gruppo di sostegno. L’ultima volta che ci siamo visti è stato poco prima che iniziassi il mio primo mandato. E ne ho avuto bisogno. Perché come potrà dirvi ognuno di questi leader, anche se pensi di essere pronto a fare il presidente, è impossibile capire fino in fondo la natura di questo lavoro fino a quando non sarà diventato il tuo, fino a quando non sarai seduto alla scrivania.
È per questo motivo che ogni presidente impara sempre a nutrire una grande e crescente stima per tutti quelli che lo hanno preceduto; per i leader di entrambi i partiti che hanno affrontato per un periodo di tempo le sfide e l’enorme peso di una nazione sulle loro spalle. E per me, questa stima va molto al presidente Bush.
La prima cosa che ho trovato su quella scrivania quando ho iniziato il mio mandato fu una lettera di George, che mostrava la sua sensibilità e la sua generosità. Sapeva che avrei imparato ciò che lui aveva imparato: che essere presidente è prima di tutto un lavoro che ti rende umile. A volte fai degli errori. A volte vorresti portare indietro le lancette dell’orologio. Quello che so del presidente Bush, spero il mio successore possa dirlo anche per me: abbiamo amato questo paese e abbiamo fatto del nostro meglio.
In passato il presidente Bush ha detto che sarà impossibile giudicare la sua presidenza finché lui sarà ancora vivo. Quindi ciò che dico è forse un po’ prematuro. Ma anche adesso, ci sono alcune cose chiare che possiamo dare per certe.
Sappiamo del ragazzino che fu cresciuto da due genitori determinati e amorevoli a Midland, in Texas, e che ereditò – come è solito dire – “gli occhi del padre e la bocca della madre”. Il giovane ragazzo che una volta tornò a casa dopo una visita a un museo e che mostrò fiero a sua madre inorridita un piccolo fossile di dinosauro che si era messo di nascosto in tasca. Scommetto che fu una cosa accolta alla grande da Barbara. Sappiamo del giovane uomo che incontrò l’amore della sua vita a una festa, rinunciando ad andare a letto presto per restare a parlare con Laura Welch, intelligente e affascinante, fino a tarda notte.
Sappiamo del padre che ha cresciuto due notevoli, affettuose e bellissime figlie, anche quando cercarono di dissuaderlo dal fare il presidente dicendogli: “Papà, non sei poi così figo come credi di essere”. Signor presidente, ha la mia comprensione: è successo anche a me. E ora vediamo il presidente Bush da nonno, mentre inizia a viziare la sua nuova nipote.
Lo conosciamo così, l’uomo Bush. E quello che ha detto il presidente Clinton è assolutamente vero: conoscere l’uomo vuol dire apprezzarlo, perché è a proprio agio con se stesso. Sa chi è. Non ha pretese. Prende sul serio il suo lavoro, ma non si prende troppo sul serio. È un brav’uomo.
Ma sappiamo anche qualcosa su Bush come leader. Mentre percorriamo la biblioteca, è impossibile non ricordare la forza e la determinazione che attraversò quel megafono mentre lui stava tra le macerie e le rovine di Ground Zero, promettendo di consegnare alla giustizia coloro che avevano cercato di distruggere il nostro modo di vivere. Ricordiamo la sensibilità che mostrò guidando la lotta globale contro l’AIDS e la malaria, aiutando a salvare milioni di vite e ricordando alle persone di alcuni dei posti più poveri al mondo che all’America importa e che siamo lì per aiutarli.
Ricordiamo il suo impegno per trovare un punto di contatto con alleati insoliti come Ted Kennedy, perché credeva che fosse necessario riformare le nostre scuole in modo da aiutare tutti i bambini a imparare, non solo alcuni; perché credeva fosse necessario fare qualcosa per rimettere in sesto il sistema dell’immigrazione, che non funziona; perché credeva che questi passi avanti sono possibili solo quando c’è collaborazione.
Sette anni fa il presidente Bush avviò un’importante discussione politica parlando al popolo americano della nostra storia come una nazione di leggi e di immigrati. E anche se la riforma dell’immigrazione ha richiesto più tempo di quanto ognuno di noi si fosse aspettato, sono fiducioso che quest’anno – con l’aiuto del presidente della Camera Boehner, con alcuni senatori e membri del Congresso che sono qui oggi – riusciremo a portarla a conclusione, per le nostre famiglie, per la nostra economia, per la nostra sicurezza e per questo paese incredibile che amiamo. E se lo faremo, sarà in buona parte merito del duro lavoro del presidente George W. Bush.
Infine, un presidente ha il compito solenne e unico di servire come comandante in capo della più grande forza militare che il mondo abbia mai conosciuto. Come ha detto lo stesso presidente Bush: “L’America deve mantenere e manterrà la propria parola con gli uomini e le donne che le hanno dato così tanto”. Quindi, anche se noi americani a volte non siamo stati d’accordo con tutte le questioni di politica estera, condividiamo un profondo rispetto per gli uomini e le donne del nostro esercito e per le loro famiglie. E siamo uniti e determinati nel dare conforto alle famiglie di chi è morto e nel prenderci cura di chi indossa l’uniforme degli Stati Uniti.
Sul volo di ritorno dalla Russia, dopo avere discusso con Nikita Krusciov nel momento di massimo confronto della Guerra Fredda, il segretario di John Fitzgerald Kennedy trovò un piccolo pezzo di carta su cui il presidente aveva scritto una delle sue citazioni preferite: “So che c’è Dio. E vedo una tempesta avvicinarsi. Se Egli ha un posto per me, penso di essere pronto”.
Nessuno può essere completamente pronto per questo lavoro. Ma l’America ha bisogno di leader pronti ad affrontare la tempesta che sta arrivando, anche se pregano Dio per avere forza e lungimiranza così da poter fare ciò che ritengono giusto. Ed è ciò che hanno fatto i leader con cui condivido questo palco. È ciò che il presidente Bush scelse di fare. E questo è il motivo per cui sono onorato di fare parte di questa cerimonia.
Signor presidente, per il suo impegno, per il suo coraggio, per il suo senso dell’umorismo e, soprattutto, per il suo amore per questo paese, grazie. Da tutti i cittadini degli Stati Uniti, che Dio la benedica. E che Dio benedica questi Stati Uniti d’America.