Perché il PD non ha votato Rodotà
Lo spiega Matteo Orfini, membro dimissionario della segreteria, dicendosi disposto a "una bella litigata"
Matteo Orfini, parlamentare del PD, ha scritto un post sul suo blog per provare a spiegare perché per il PD era impossibile votare Stefano Rodotà alla Presidenza della Repubblica. Orfini è uno dei cosiddetti “Giovani turchi”, la corrente vicina al segretario Bersani, ma nel corso delle votazioni per il presidente ha preso posizioni fortemente critiche verso la dirigenza del partito. Il primo problema, dice Orfini, è stato numerico: il PD si sarebbe spaccato in due e una metà avrebbe votato, insieme a PDL e Scelta Civica, Anna Maria Cancellieri – e sarebbe riuscito ad eleggerla. Il secondo motivo è stato che Rodotà non ha mai preso le distanze da Grillo e da quelli che Orfini definisce i suoi attacchi alla Costituzione.
Sono stati giorni difficili. Ho passato ore a discutere con le persone per strada, fuori dal parlamento. Con quelli che volevano capire e con quelli che mi insultavano. Ho ricevuto centinaia di messaggi e mail. Ho provato a rispondere uno per uno, ma è impossibile. Quindi scrivo questo post cercando di condividere con voi quello che penso su quanto è accaduto.
Intanto una premessa: molti mi chiedono perché sono stato così tanto in tv in questi giorni. La risposta è semplice, non ci voleva andare quasi nessuno. Non era una situazione semplice, e a metterci la faccia non si diventava certo popolari. Ma nascondermi non mi pareva giusto. Io credo che il ruolo di un dirigente sia quello di difendere ciò in cui crede, anche se impopolare. Dovrebbe essere ovvio, ma non lo è. In queste ore molti hanno deciso cosa sostenere guardando a dove tirava il vento. Capisco il ragionamento, ma secondo me è un errore. Il dovere di un dirigente non è quello di fare ciò che in quel momento è popolare tra i suoi elettori, ma ciò che ritiene giusto. E’ il principio della democrazia rappresentativa. Se a fine mandato, e il mio mandato è finito dato che come tutta la segreteria del Pd mi sono dimesso, gli elettori del Pd non mi rinnoveranno la fiducia, non sarò più un dirigente del Pd. Ma tra una elezione e l’altra ciò che deve guidare l’azione di ognuno di noi non sono i commenti su facebook o i sondaggi, ma le proprie convinzioni e la loro corrispondenza a un progetto deciso insieme. Naturalmente questo non significa sottrarsi al confronto, e credo di non averlo mai fatto.
Prima di venire al merito, un’altra premessa: c’è molta rabbia nei commenti. La capisco. Certo non condivido quelli che mi augurano di morire, o quelli che hanno provato ad aggredirci fisicamente all’uscita del Parlamento perché in dissenso con le nostre idee. Le due cose sono legate, purtroppo. Quando si alzano così i toni poi si rischia di perdere la bussola e non capire che tutte le opinioni vanno comunque rispettate. Ma comprendo la rabbia, perché sono arrabbiato anche io. Chi mi conosce meglio tra voi sa come sono fatto. Al Pd ci tengo davvero, alle cose che dico ci credo e anzi molto spesso ricevo critiche perché le dico troppo direttamente. E allora facciamo così, facciamoci una bella litigata, così almeno discutiamo seriamente di questa vicenda. Che poi è quello che si fa in democrazia. Vi chiedo solo, se possibile, di evitare nei commenti gli insulti gratuiti. Criticate anche duramente, ma con argomenti. Almeno possiamo provare a fare un passo avanti. Altrimenti è inutile.
Mi pare che la domanda di fondo a cui occorra rispondere è “perché non avete votato Rodotà”.
(Continua a leggere sul blog di Matteo Orfini)
Foto: AP Photo/Gregorio Borgia