Le case “infestate” di Hong Kong
Si chiamano hongza, sono migliaia e sono elencate in liste gestite da siti misteriosi: finirci dentro ne distrugge il valore, racconta CNN
Ad Hong Kong è un fenomeno molto conosciuto: se in una casa avviene una morte violenta, il suo valore commerciale può scendere fino al 30% o addirittura al 40%. Nella superstizione locale, la morte “contamina” la casa e la sfortuna può colpire chiunque ci si trasferisca. In cantonese si dice che la casa diventa hongza, una casa dove sono avvenute delle calamità. O più semplicemente, una casa infestata.
A seconda dell’episodio che vi è avvenuto, una morte naturale, un suicidio o un assassinio particolarmente macabro, la casa può diventare più o meno hongza e questo influisce direttamente sul prezzo. Si tratta di un fenomeno comune a molte culture: eventi particolarmente negativi, nella credenza popolare, contaminano i luoghi dove sono stati compiuti. Anche in Occidente una casa dove sia avvenuto un fatto di cronaca nera può essere difficile da vendere per un agente immobiliare, ma il fenomeno non ha nemmeno lontanamente la diffusione che ha ad Hong Kong, come racconta CNN.
Ad Hong Kong, la maledizione dell’hongza non resta confinata alla casa o all’appartamento dove è stato commesso il fatto: si diffonde, a volte colpendo tutto il vicinato. Esistono diversi siti che contengono interi elenchi di case hongza. Tutte le case e gli appartamenti inseriti in questi elenchi vedono precipitare il loro valore, anche perché gli abitanti di Hong Kong sono piuttosto attenti a verificarli prima di procedere a un acquisto.
Spesso però, quando la stampa pubblica la notizia di un suicidio o di un omicidio, non dà informazioni precise su dove è avvenuto. A volte viene indicato il piano, a volte soltanto l’indirizzo del palazzo. In quei casi tutto il piano, o addirittura tutto lo stabile, diventano hongza. Hong Kong ha una delle densità abitative più alte al mondo – 6.500 abitanti per chilometro quadrato, trenta volte quella italiana. Parecchi dei suoi palazzi e condomini sono enormi. Basta un suicidio avvenuto in un appartamento non specificato e può capitare che centinaia, migliaia di appartamenti vedano precipitare il loro valore in pochi giorni.
Questo rende il mercato di Hong Kong, che è uno dei più instabili (“volatili”, con termine tecnico) dell’Asia, un luogo ancora più pericoloso dove investire. La situazione è resa ancora più difficile dal fatto che la giurisprudenza locale ha incoraggiato questa superstizione: nel 2004 una decisione di un tribunale ha obbligato gli agenti immobiliari a tenere registri delle proprietà hongza e a informare i loro clienti della storia violenta che hanno avuto le case di cui stanno discutendo l’acquisto.
La decisione arrivò in seguito a un caso in cui un acquirente denunciò un’importante agenzia immobiliare locale per non averlo avvertito che stava per acquistare una casa hongza. Il tribunale condannò l’agenzia a pagare circa 30 mila euro per aver fallito «nell’ottenere informazioni relative all’immobile».
Le agenzie immobiliari non possono tenere traccia di tutti i casi di cronaca, passati e presenti, e dei luoghi in cui sono avvenuti. Sono costrette ad appoggiarsi a database come Squarefoot e hk-compass.com, che vende l’accesso ai suoi database per poco più di 30 euro l’anno. Non si sa chi sia il proprietario né chi gestisca molti di questi siti. Non rispondono a nessuna autorità e a nessun regolamento: nessuno conosce sulla base di quali criteri un appartamento, o un intero palazzo, finiscono nella lista delle hongza.
Il numero delle hongza non è stimabile, ma in un solo sito sono registrate più di 3.500 proprietà ed è possibile che sommando tutti i database si arrivi a parecchie volte questa cifra. Nonostante questa fama sinistra, Hong Kong è uno dei luoghi con il più basso numero di omicidi l’anno al mondo: 0,2 ogni 100 mila abitanti nel 2011, un quinto del tasso italiano e un ventesimo di quello americano. Il tasso di suicidi, dopo un picco negli anni passati, è tornato alla media (più o meno in linea con quella mondiale) di 14 l’anno ogni 100 mila abitanti – più del doppio del tasso italiano, ma lontano dal record di 30 suicidi ogni 100 mila abitanti della Corea del Sud e di 22 ogni 100 mila abitanti della Cina continentale.