Una notte ho sognato che parlavi
Gianluca Nicoletti racconta in un libro «allegro» e «scritto in modo ironico, per sdrammatizzare» cosa vuol dire essere genitore di un bambino autistico
di Carlotta Caroli - Caffeina
«Questo non è il solito libro di un genitore che fa il racconto compassionevole di una storia triste” promette Gianluca Nicoletti, giornalista, conduttore radiofonico, scrittore, autore di Una notte ho sognato che parlavi edito da Mondadori, che l’autore presenterà a Viterbo questa estate, durante il Festival Caffeina Cultura.
«Non è un libro che suscita compassione; anzi è un libro allegro, sembra impossibile ma è così. Che racconta la storia di Tommy, la mia e il mio processo di apprendimento. La materia: diventare genitore di un ragazzo autistico». L’ha scritto quando suo figlio Tommy ha compiuto 14 anni; l’ha scritto perché voleva condividere la sua esperienza con quelli che vivono la stessa situazione e che nessuno sta mai ad ascoltare: «Per far sì che le persone come me non si sentano sole, come invece ci si sente». L’ha intitolato così perché «Sentir parlare un figlio che non ha mai parlato è il sogno di qualsiasi genitore. Ogni genitore che ha un figlio autistico sogna che un giorno il suo bambino possa parlare. Sogna che quel figlio gli si rivolga con le parole, sogna di poter sentire la sua voce». Ma il più delle volte accade solo in sogno, appunto.
«Eppure questa storia non è una storia triste: io e Tommy passiamo tantissimo tempo insieme, facciamo tutto insieme, cosa che con i figli altri non accade. Te lo immagini un adolescente che va a una festa col padre? Ecco. Detto questo e tornando al libro, l’ho scritto in modo ironico, per sdrammatizzare. E alleggerire ciò che è pesante». Perché si può. Così come si può comunicare con chi non usa la parola come mezzo di espressione. «Io e Tommy oramai siamo collaudati: io capisco tutto quello che lui vuole intendere. Abbiamo superato il concetto che si possa comunicare esclusivamente con le parole. Si comunica in tanti modi, perché le persone autistiche hanno un modo tutto loro di comunicare; non solo: anche di scegliere chi può interagire con loro». Una specie di selezione all’ingresso. Che non è facile superare, dato che il più delle volte il mondo in cui si finisce una volta entrati è diverso, sconosciuto, impenetrabile, incomprensibile. E può spaventare o magari mettere soggezione. Come tutte quelle cose che sembrano troppo lontane da noi, troppo astratte.
È un non mondo, quello degli autistici. O è il mondo vero, magari. Dove il futuro non pesa come in questa dimensione. «Il fatto è che per questi ragazzi non esiste il futuro, esiste solo il presente. E tu, genitore, nel presente, fai di tutto per vedere tuo figlio felice e speri che un giorno possa avere ciò che si merita, pur sapendo che non sarà così». E con gli altri figli come si fa? «Bisogna essere delicati e giusti, i figli normali non devono risentire della mancanza dei genitori. Combatto con il tempo ogni giorno. È questa, forse, la cosa più complicata».
Per saperne di più visitate il sito di Gianluca Nicoletti.