Fotografie dalla Siria
E anche molti aggiornamenti: Human Rights Watch ha documentato attacchi aerei "intenzionali e indiscriminati" sui civili, oggi se ne parla al G8 di Londra
L’organizzazione Human Rights Watch ha diffuso mercoledì 10 aprile un rapporto che spiega come dalla fine del luglio 2012 le forze aeree siriane del presidente Bashar al-Assad abbiano ripetutamente e indiscriminatamente lanciato attacchi aerei contro i civili. Questi attacchi, dice il documento, violano il diritto internazionale umanitario, e chi li ha compiuti deve essere considerato responsabile di crimini di guerra. Gli attacchi sono avvenuti anche in giorni in cui a terra non c’era alcuno scontro tra ribelli e forze governative, e hanno colpito, intenzionalmente, obiettivi civili come negozi e ospedali. Le armi usate dall’esercito siriano sono state bombe non guidate, bombe incendiarie e munizioni ad alto livello esplosivo, sviluppate per creare un effetto di violenze indiscriminate.
Le 80 pagine del rapporto, che si intitola “Death from the Skies: Deliberate and Indiscriminate Air Strikes on Civilians” (“Morte dal cielo: attacchi aerei intenzionali e indiscriminati sui civili”), sono state redatte sullo studio di 50 attacchi aerei su alcune città siriane controllate dai ribelli nelle regioni nord-occidentali di Aleppo, Idlib, e Latakis, e sulla base di oltre 140 interviste a testimoni e persone colpite. I casi documentati da Human Rights Watch hanno causato la morte di almeno 152 civili, che sono una piccola parte dei 4300 stimati da una rete di attivisti dal luglio 2012. In un video realizzato dall’organizzazione, e pubblicato il 10 aprile sul canale YouTube “HumanRightsWatch”, Anna Neistat, direttore associato per le emergenze di Human Rights Watch, ha specificato che è la prima volta che si è in grado di documentare davvero la natura di questi attacchi aerei.
Il documento di Human Rights Watch sarà ripreso e discusso oggi, giovedì 11 aprile, dai partecipanti del G8 a Londra: durante questa riunione, che coinvolge i rappresentanti degli otto stati più potenti al mondo, si parlerà molto della situazione siriana e degli sviluppi degli ultimi giorni. Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha dichiarato in mattinata all’agenzia russa Ria Novosti di non capire il motivo dell’interferenza di molti stati nel conflitto siriano, opponendosi ancora una volta alla possibilità di trovare un accordo internazionale per far finire la guerra in Siria. Secondo Human Rights Watch l’atteggiamento che Cina e Russia stanno tenendo sulla questione siriana nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, nel quale entrambe hanno potere di veto, sarebbe uno degli impedimenti più importanti per la conclusione della guerra. Dall’ottobre 2011 al luglio 2012, infatti, Russia e Cina hanno usato il veto per bloccare l’approvazione di tre risoluzioni che andavano, in forme diverse, a colpire il regime siriano di Assad.
Durante il G8 di Londra si parlerà anche di Siria relativamente alla vendita di armi ai ribelli e al ruolo di al Qaida nel paese. Fino a oggi solo i governi di Francia e Gran Bretagna hanno annunciato di voler inviare armi ai ribelli, “emendando” l’embargo della vendita di armi in Siria stabilito dall’Unione Europea. Gli altri stati, tra cui gli Stati Uniti, si sono opposti a questa eventualità per evitare che le armi occidentali finissero nelle mani di forze di al Qaida che combatte a fianco dei ribelli siriani per destituire Assad. Mercoledì 9 aprile al Qaida in Iraq ha confermato che il Fronte al-Nusra, uno dei gruppi più attivi e militarmente efficaci tra i ribelli siriani, è un suo affiliato, confermando i sospetti che molti avevano avanzato nei mesi scorsi. Questo annuncio rischia ora di dividere ancora di più i paesi occidentali su che cosa fare in Siria, e quindi anche di prolungare la guerra.
Dopo più di due anni dall’inizio della guerra civile siriana, che secondo le Nazioni Unite ha causato circa 70.000 morti, la fine delle violenze sembra ancora molto lontana: il mese di marzo è stato il più violento dall’inizio del conflitto, con oltre 6000 morti, di cui almeno 2000 civili. Secondo l’organizzazione Syrian Observatory for Human Rights, comunque, questa stima andrebbe rivista al rialzo, visto che sia i ribelli che le forze governative non sempre riferiscono delle loro perdite.