I diritti sui video dell’Olocausto
Possono costare tantissimo, migliaia di euro per pochi secondi: registi e produttori se ne lamentano, chi li detiene dice che è inevitabile
Domenica 7 aprile Judy Maltz e Victor Isaac Taranto hanno raccontato su Haaretz i costi che un regista deve affrontare quando decide di realizzare un documentario sull’Olocausto. Per utilizzare materiali d’archivio, infatti, molto spesso bisogna pagare migliaia di dollari o di euro a un gruppo di istituzioni e di archivi cinematografici che ne detengono i diritti. Questo ha sollevato la questione della responsabilità etica di queste istituzioni, che secondo molti dovrebbero rendere il materiale d’archivio sull’Olocausto disponibile a un prezzo equo o addirittura gratuitamente, considerando la natura didattica della maggior parte dei progetti in cui queste immagini vengono usate e il loro significato storico.
I documentari che trattano temi e storie del passato stanno diventando sempre più importanti, come se fossero “i nostri nuovi maestri di storia”, spiegano i due giornalisti. Man mano che il tempo passa diventa ovviamente sempre più difficile trovare le testimonianze dirette di coloro che hanno vissuto in prima persona determinate circostanze storiche; le immagini, i filmati, le registrazioni prendono quindi il posto delle storie raccontate di persona, quando la maggioranza dei testimoni diretti è morta, e contribuiscono a conservare la “memoria” di un evento cercando di mantenerla viva. Quando il soggetto del racconto è l’Olocausto, al racconto e alle interviste dei testimoni si tende ad associare immagini di repertorio. Per i registi indipendenti che operano con budget ridotti, però, il costo dei diritti può essere spesso così proibitivo da scoraggiare il loro uso e questo sta diventando fonte crescente di frustrazione per chi produce questo genere di prodotti.
Le istituzioni che detengono i diritti del materiale d’archivio sull’Olocausto includono decine di archivi nazionali, collezioni private, musei ed emittenti televisive. Tra i più importanti ci sono gli archivi nazionali di Germania, Polonia, Russia e Ucraina. Queste istituzioni sostengono, in loro difesa, che i costi di mantenimento e conservazione dei materiali d’archivio sono così alti da non lasciare altra scelta se non farsi pagare i diritti su tali materiali. Secondo Tracy O’Brien, direttrice dei servizi bibliotecari di Facing History and Ourselves, un’organizzazione internazionale che lavora con una rete di oltre 30 mila educatori per promuovere programmi sociali contro il razzismo, “realizzare un profitto dalle immagini di un genocidio non è etico”, anche perché queste immagini diventano sempre più importanti col diffondersi delle teorie negazioniste, e pur sapendo che i costi connessi alla conservazione e all’archiviazione sono obiettivamente alti “le quote sui diritti da pagare sono spesso molto sproporzionate rispetto a tali costi”.
Sulla base dei dati relativi a varie istituzioni europee che detengono i diritti di immagini di repertorio sull’Olocausto, il prezzo di questi diritti può variare da diverse centinaia di dollari a 4 mila dollari per un minuto di filmato. Per il documentario del 2010 “Blessed Is the Match: The Life and Death of Hannah Senesh“, sulla poetessa ungherese Hannah Senesh, uccisa dalla polizia nazista e considerata un eroe nazionale in Israele, la regista Roberta Grossman ha utilizzato un filmato molto raro che mostrava gli ebrei di Budapest in marcia verso i treni che li avrebbero portati ad Auschwitz. I diritti di questo filmato sono detenuti dall’Hungarian National Archive Digital and Film Institute: Grossman ha dovuto pagare 4 mila dollari per ogni minuto di filmato, che potrà essere mostrato in qualsiasi parte del mondo, senza restrizioni e su qualsiasi tipo di piattaforma, per un periodo massimo di 5 anni. La regista ha dichiarato che è stato “doloroso” dover pagare per utilizzare tale materiale d’archivio e che “la questione è spinosa, ed è soprattutto etica, ma credo anche sia l’unico modo di rimanere a galla per molti archivi”.
Interpellato dai giornalisti di Haaretz a proposito della politica dei prezzi dell’archivio nazionale ungherese, il ricercatore Janos Varga ha dichiarato che la politica aziendale dell’archivio prevede tariffe diverse a seconda degli usi (istruzione, musei, trasmissioni televisive eccetera), che l’archivio è soltanto in parte mantenuto dallo Stato e che “anche se l’Olocausto è uno dei più tragici capitoli della storia ungherese, vendiamo materiale su di esso allo stesso modo in cui vendiamo tutto il materiale in nostro possesso”.
In Germania il Bundesarchiv, l’istituzione degli archivi di Stato tedeschi nonché uno dei più grandi archivi al mondo di filmati della Seconda guerra mondiale, ha accettato di rinunciare ai costi di licenza per l’uso dei suoi materiali e in cambio ha chiesto ai fruitori di fare una piccola donazione a un istituto ebraico a loro scelta. Ma un regista indipendente che aveva chiesto di utilizzare un filmato di un minuto del Ghetto di Varsavia per un documentario sui ghetti in Europa durante la guerra, ha ricevuto il seguente preventivo da Transit Film, una società che opera come distributore per conto del Bundesarchiv: 36 euro al secondo per i diritti televisivi, teatrali e home video, 15 euro al secondo per i diritti non commerciali e 10 euro al secondo per i diritti su Internet, con un contratto di 10 anni. Anche in questo caso la motivazione data dal rappresentante della Transit Film in merito alla politica dei prezzi è stata la stessa: quei soldi verranno utilizzati per conservare e restaurare il materiale storico al fine di mantenerlo a disposizione per il pubblico.
Tra le istituzioni che non richiedono il pagamento dei diritti sull’utilizzo del loro materiale c’è la US National Archives and Record Administration, che mette a disposizione del pubblico a costo zero il suo immenso archivio di filmati che documentano i crimini del nazismo, per la maggior parte realizzati dagli operatori delle forze alleate alla fine della Seconda guerra mondiale, o lo US Holocaust Memorial Museum di Washington, dove circa l’80 per cento del metraggio della cineteca è considerato di pubblico dominio; lo Yad Vashem, il museo nazionale dell’Olocausto di Israele, valuta invece caso per caso se far pagare o meno i diritti sul suo materiale: se questo viene utilizzato per scopi puramente didattici non viene applicato nessun costo mentre se il materiale viene usato in prodotti a scopo commerciale vengono applicate le tariffe commerciali in vigore in Israele.
Foto: Un archivio in Germania (MARTIN OESER/AFP/Getty Images)