C’è un medico a bordo?
Storie di un medico che ha risposto più volte a questa domanda, mentre viaggiava in aereo, e possibili soluzioni a un problema importante e trascurato
L’aereo attraversa placido alcune nuvole, il mondo qualche migliaio di metri più in basso sembra minuscolo e solo una cosa interrompe il ronzio monotono e costante dei motori: la voce di un’hostess che chiede «C’è un medico a bordo?». Si stima che al massimo ogni 40mila passeggeri ce ne sia uno che abbia bisogno di aiuto medico, su un volo intercontinentale, e Celine Gounder lo sa bene. Ha studiato medicina alla School of Medicine dell’Università di Washington, è esperta di malattie infettive e scrive per la rivista The Atlantic, occupandosi di salute e sanità. Gounder racconta di avere risposto in più di una occasione alla domanda sulla presenza di un medico a bordo e di chiedersi, ormai da tempo, se non sia ora di studiare sistemi più affidabili e sicuri per affrontare le emergenze sanitarie mentre si vola.
La prima volta fu su un volo da Chennai (India) a Francoforte (Germania). All’epoca era un medico alle prime armi, rispose alla domanda e mentre si spostava dal proprio posto a quello della persona bisognosa di aiuto si rese conto di non essere per nulla preparata a soccorrere qualcuno in volo: non sapeva quali strumentazioni fossero disponibili, che tipo di assistenza fosse offerta dalla compagnia aerea e che cosa potesse materialmente fare per aiutare il suo nuovo paziente. Fortunatamente si era trattato di un caso semplice e facilmente curabile: la persona aveva esagerato con sedativi e alcol per affrontare il lungo volo.
Il caso per lei più complicato e allarmante, racconta Gounder, si è verificato nel corso di un volo sull’Atlantico tra Johannesburg, in Sudafrica, e San Paolo, in Brasile. Il paziente in questo caso era un brasiliano di mezza età visibilmente obeso. Era sudato e frastornato, aveva la camicia sbottonata e gli tremavano le mani. Spiegò a Gounder di essere diabetico ma di avere preso regolarmente le medicine prima della partenza. Il medico controllò i livelli di glucosio nel suo sangue con il glucometro di proprietà del paziente, senza rilevare anomalie. Poi gli misurò la pressione, cosa non semplice con il rantolare costante dei motori, e notò che era molto bassa. Ricontrollò ottenendo lo stesso risultato, cosa che poteva indicare problemi al cuore, un’infezione grave o l’inizio di un’emorragia interna, che se non curata rapidamente si può rivelare letale.
Gounder cercò tra i pochi rimedi sanitari presenti nella valigetta del kit di emergenza dell’aeroplano qualcosa per dare sollievo al proprio paziente. Gli diede un’aspirina e poi si mise alla ricerca di un buon accesso venoso per fargli una flebo e reidratarlo rapidamente. A causa dell’obesità fu però impossibile trovare a colpo sicuro un vaso sanguigno. Gounder si accomodò nel sedile vicino a quello del paziente, somministrandogli ossigeno con una bomboletta e invitandolo a bere di continuo per mantenersi idratato.
La pressione continuava a essere bassa ma stabile. Se fosse collassato, sarebbe stato necessario farlo distendere nello stretto corridoio dell’aereo per praticare le procedure di rianimazione, operazione che si sarebbe rivelata alquanto difficoltosa considerata la stazza del paziente e la scarsa preparazione a una simile eventualità del personale di bordo. Gounder chiese di far trovare un’ambulanza all’aeroporto di San Paolo, al terminal dove sarebbe arrivato l’aereo. Dopo l’atterraggio, racconta, furono fatti prima scendere tutti gli altri passeggeri e poi solo in un secondo momento il suo paziente. Ad attenderli non c’era nessuna ambulanza.
Negli ultimi sette anni Gounder si è trovata cinque volte nella condizione di rispondere alla domanda sulla presenza di un medico a bordo, e ci sono decine di migliaia di medici in giro per il mondo che hanno avuto la stessa esperienza. Il problema del soccorso a bordo degli aerei è destinato a crescere di dimensioni nel corso dei prossimi anni. Solo negli Stati Uniti le linee aeree hanno trasportato nel 2012 circa 732 milioni di persone, e si stima che entro dieci anni il numero sarà vicino al miliardo. Volano sempre più persone e l’età media continua ad alzarsi, cosa che aumenta la probabilità di avere a bordo persone in cura per diverse patologie, lievi e gravi, passeggere e croniche.
Volare su un aeroplano non è una passeggiata, per il nostro organismo. Viene spesso sottoposto a grandi sollecitazioni, cui non è abituato, nelle ore intorno al volo vero e proprio. Bagagli pesanti da spostare, corse tra i gate alla ricerca del proprio e presenza per molte ore in un ambiente ristretto di centinaia di persone, che respirano, tossiscono e consumano aria. Poi ci sono i cambiamenti di fuso orario, che possono mandare in confusione le persone che hanno un programma di medicine da assumere secondo particolari orari. Infine ci sono le persone che vedono nel volo un momento di totale relax, in cui lasciarsi andare magari con qualche bevuta di troppo.
A tutto questo si aggiungono alcuni problemi di base, legati al funzionamento degli aeroplani. L’ambiente nella cabina è tarato per riprodurre un ambiente a un’altitudine compresa tra i 1.800 e 2.400 metri, condizioni che causano una riduzione del 10 per cento della quantità di ossigeno nel sangue dei passeggeri. Se si è sani una simile altitudine non comporta alcun rischio, mentre in particolari soggetti a rischio potrebbe rivelarsi pericolosa e sono pochi i medici curanti che avvisano i loro pazienti: lo fanno quando sanno che andranno in montagna sopra una certa altitudine, magari, ma non per il volo in aereo.
Tra i problemi di salute più ricorrenti per chi viaggia in aereo ci sono capogiri, svenimenti, nausea e vomito, diarrea, fiato corto, dolore al petto, palpitazioni e mal di testa. Nei casi gravi e con soggetti particolarmente predisposti si possono verificare infarti, ictus o altri problemi legati all’apparato circolatorio. Si verificano raramente, ma quando succede può essere necessario interrompere il viaggio, raggiungendo il primo aeroporto disponibile, una decisione estrema che costa un sacco di soldi e che viene quindi valutata molto attentamente prima di essere presa.
Le principali autorità per il volo civile del mondo richiedono al personale di bordo di avere una preparazione minima per gestire le emergenze sanitarie a bordo. Devono sapere usare i kit di primo soccorso, sapere che cosa contengono le valigette di emergenza, conoscere il funzionamento dei defibrillatori automatici esterni e devono essere in grado di praticare le procedure di emergenza per la rianimazione. Il personale sull’aereo fa comunque molto affidamento anche sulla possibilità che tra i passeggeri ci sia un medico. Secondo le stime, 8 volte su 10 c’è un medico a bordo, che risponde alla richiesta del personale. Il problema è che spesso le uniche persone disponibili sono specialisti in particolari settori della medicina, molto lontani dalle pratiche della medicina di emergenza.
Gounder fa l’esempio di Michelle Hsiang, una dottoressa specializzata in malattie infettive pediatriche dell’Università della California (San Francisco), che una volta in volo si è dovuta occupare di un anziano che stava soffrendo di continui attacchi di diarrea con conseguente disidratazione, lungo il viaggio di 12 ore dallo Sri Lanka a Londra. Non fu semplice per una persona abituata a lavorare con i bambini e che non ha alcuna esperienza sulla cura degli anziani, soprattutto con particolari patologie tipiche della senilità. Arrivata a Londra, Hsiang ebbe un’esperienza simile a quella di Gounder: poté lasciare l’aereo con il proprio paziente solo per ultima, dopo un’ora di operazioni di sbarco, e al gate non c’era personale sanitario per darle una mano.
Le leggi degli Stati Uniti tutelano il personale sanitario che si offre volontario per aiutare le persone che stanno male in volo. La legge del 1998 (US Aviation Medical Assistance Act) prevede che non ci possano essere iniziative legali contro di loro per il modo in cui hanno gestito l’emergenza sanitaria a bordo dell’aereo; sono previste comunque eccezioni nel caso in cui si dimostri l’intenzionalità della cattiva condotta. Non è comunque raro che alcuni medici preferiscano non rispondere alla richiesta di aiuto, o siano molto restii a farlo, perché non competenti nella medicina d’urgenza e perché timorosi di avere conseguenze legali per il loro operato.
Molte compagnie aeree negli ultimi anni hanno avviato programmi sanitari appositi, spesso in collaborazione con le università, per approfondire le tematiche legate al soccorso in volo. Per precauzione e per offrire un servizio migliore ai loro passeggeri, alcune compagnie aeree negli Stati Uniti (e sempre più di frequente in altre parti del mondo) hanno un servizio a terra di medici e infermiere, che possono essere consultati dal personale di bordo nel caso di un’emergenza. Danno consulenze e consigli sulle procedure da seguire, sapendo quali sono i limiti del prestare soccorso in volo e quali strumentazioni sono disponibili. Il problema è che molti medici quando intervengono a bordo preferiscono fare in autonomia, e rifiutano la consulenza con il personale medico a terra. Rendere standard una procedura per cui prima si sentono i medici scelti dalla compagnia aerea a terra e poi si affianca un medico volontario tra i passeggeri potrebbe migliorare le cose, spiega Gounder.
Nonostante ogni giorno decine di migliaia di aeroplani trasportino milioni di persone in giro per il mondo, il tema delle emergenze sanitarie a bordo continua a essere trascurato e solo negli ultimi anni si è iniziato a studiarlo con maggiore attenzione e completezza. Da regole chiare e non contraddittorie, possibilmente condivise dalle autorità per il volo dei diversi paesi, dipende il corretto soccorso delle persone in difficoltà e la possibilità stessa di offrire le cure e i rimedi migliori, senza contrattempi per gli altri passeggeri come scali di emergenza non programmati. Come una compagnia aerea affronta il problema del soccorso in volo dovrebbe diventare uno dei tanti parametri presi in considerazione prima di prenotare un posto in aereo, quanto quello dei pasti, del comfort e del costo del biglietto.