L’Italia può stare senza governo?

Perché la proposta di Grillo - legiferare senza governo - è praticamente infattibile

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse
19-10-2011 Roma
Politica
Camera - Modifica art 41 costituzione
Nella foto: banchi governo abbandonati
Photo Mauro Scrobogna /LaPresse
19-10-2011 Roma
Politics
Chamber of Deputies - modification of the art 41 of costitution
In the picture: empty government sits
Foto Mauro Scrobogna /LaPresse 19-10-2011 Roma Politica Camera - Modifica art 41 costituzione Nella foto: banchi governo abbandonati Photo Mauro Scrobogna /LaPresse 19-10-2011 Roma Politics Chamber of Deputies - modification of the art 41 of costitution In the picture: empty government sits

In un post pubblicato oggi sul blog di Beppe Grillo, intitolato “Il Parlamento è sovrano #SiPuòFare”, si avanza l’ipotesi che il Parlamento, così com’è oggi, possa discutere e approvare autonomamente alcune riforme legislative senza che ci sia bisogno di un governo. La questione se l’Italia possa stare senza governo è diventata attuale con l’esito incerto delle elezioni dello scorso febbraio ed è piuttosto complessa, visto che si intrecciano problemi di diritto e problemi di prassi governativa, ma provare a rispondere dà diverse informazioni su come funziona la democrazia italiana e su che cosa può realisticamente succedere nella situazione di crisi di queste settimane. Se la questione è complicata, la risposta è semplice: vere riforme approvate da un Parlamento senza un governo non verrebbero probabilmente mai attuate.

Cosa dice Grillo
Nel post sul blog di Grillo si dice che «Non è necessario un governo per una nuova legge elettorale o per avviare misure urgenti per le pmi o per i tagli delle Province. Il Parlamento le può discutere e approvare se solo volesse sin da domani. Si fa passare l’idea che senza Governo il Paese è immobile, congelato, in balia dello spread, delle agenzie, ma si tace sul fatto che le leggi per le riforme possono essere discusse e approvate senza la necessità di un governo in carica».

Un governo c’è
La prima cosa da dire – la dice lo stesso Grillo – è che un governo in carica attualmente c’è ed è il governo Monti, dato che c’è continuità tra un governo italiano e il successivo: formalmente le dimissioni di Monti non sono state ancora accettate dal presidente della Repubblica (che lo scorso 12 dicembre ne ha “preso atto”). Quando dalle consultazioni uscirà un nuovo governo, il presidente della Repubblica firmerà il decreto di nomina e anche l’accettazione delle dimissioni di Mario Monti.

Il problema è che, da quando un governo si dimette a quando quello successivo entra in carica, i suoi poteri sono limitati nella formula della cosiddetta “gestione degli affari correnti“: espressione che non è definita da nessuna legge, che è stata interpretata in diversi modi e che in definitiva si basa solo sulla prassi dei governi repubblicani del passato.

Normalmente un governo dimissionario si occupa solo di questioni estremamente urgenti, anche se in passato questo limite è stato interpretato con discreta elasticità. Le circostanze imposero, per esempio, che il governo Prodi dimissionario si occupasse dell’emergenza dei rifiuti in Campania o che approvasse la concessione delle basi alla NATO per l’intervento militare in Kosovo nel 1998. E il governo Monti si è già trovato a gestire, durante questo periodo interlocutorio, la complicata situazione diplomatica relativa alle accuse contro due marinai italiani in India.

Governo e Parlamento
In Italia, lasciando da parte le leggi di iniziativa popolare, le leggi possono essere proposte dal governo oppure dai parlamentari, e questo secondo scenario è quello che ha in mente Grillo. Il Parlamento, quindi, ha teoricamente la possibilità di proporre autonomamente delle leggi, ma nel processo che porta all’approvazione ci sono comunque alcuni momenti in cui, di fatto, è previsto un ruolo del governo.

Una proposta di legge parlamentare, all’inizio del suo percorso, passa per esempio dalle commissioni: qui il governo partecipa all’elaborazione del testo della legge e alla stesura della relazione, attraverso suoi rappresentanti, e si esprime sulla legge nelle primissime fasi della discussione in assemblea.

Nello scenario in cui un Parlamento volesse legiferare in modo totalmente autonomo, bisognerebbe pensare che i rappresentanti del governo non si esprimessero, si adeguassero completamente ai voleri parlamentari o non partecipassero ai lavori della commissione. Insomma non facessero tutte le cose che, in diversi passaggi, la prassi dell’operato normale del governo prevede. Ci sono poi altri momenti della vita del Parlamento in cui entra in gioco il governo, come le decisioni del calendario dei lavori insieme con i capigruppo. Per questo motivo i governi italiani hanno normalmente, dal 1954, un ministro per i rapporti con il Parlamento. Il punto principale, su cui torneremo, è che il governo è l’incaricato di eseguire, far applicare, mettere in pratica le leggi approvate dal Parlamento, e quindi è sensato che abbia un ruolo anche durante la loro stesura.

I precedenti
È difficile rispondere alla domanda se l’Italia possa rimanere senza un governo anche perché ci sono pochi o nessun precedente di una simile situazione. Durante la cosiddetta “prima repubblica”, finita negli anni Novanta, le crisi politiche non erano affatto rare, ma queste non lasciarono mai senza governo l’Italia per più di qualche settimana: al massimo si faceva uno dei famigerati “governi balneari” (così chiamati perché coprivano spesso i mesi estivi) che restavano in carica qualche mese con pochissimi margini di manovra, di solito approvando la legge di bilancio. Poi si tornava dalle vacanze e si pensava a risolvere la crisi politica. Tra parentesi, il risultato di questa instabilità è che il governo Monti è il 60esimo governo della Repubblica in 66 anni: mentre le legislature, cioè le volte in cui si è andati a votare, sono “solo” diciassette.

Si cita spesso il paragone con il Belgio, che poco tempo fa ha battuto il record assoluto di permanenza senza governo. Altrettanto spesso questo paragone viene rafforzato da considerazioni sui grandi successi economici che il Belgio avrebbe ottenuto nei suoi 540 giorni senza governo in carica. Qui abbiamo raccontato come è andata e perché il paragone con l’Italia è problematico: il Belgio è uno stato con autonomie locali molto più forti di quelle italiane e in cui il governo dimissionario rimase in carica prendendo diverse e importanti decisioni, tra cui l’approvazione di una legge finanziaria, l’indirizzo della politica estera e l’adozione di misure di sicurezza sociale. Il premier dimissionario Yves Leterme presiedette l’Unione europea nel secondo semestre del 2010, e fu sempre lui che, con l’appoggio unanime del parlamento, decise di spedire uno squadrone di F-16 in Libia in occasione dell’attacco per destituire Gheddafi. Tutti provvedimenti che in Italia sarebbe complicato far cadere sotto la definizione di “affari correnti”.

Una questione di poteri
Al di là dei tecnicismi, ci sono due considerazioni da fare di carattere molto concreto, nel caso in cui si avesse un Parlamento che legifera e che fa riforme senza un governo.

La prima è che, mentre il Parlamento approvasse autonomamente delle leggi, i colloqui per formare un governo andrebbero avanti, come prevede il ruolo del presidente della Repubblica. Questi gestisce le consultazioni e dà l’incarico di governo, per cui teoricamente in qualsiasi momento un governo potrebbe presentarsi davanti al Parlamento e giurare. Oppure, in assenza della possibilità di fare un governo, scioglie le camere. Questo si lega al secondo problema: che cioè un eventuale governo in disaccordo con le riforme approvate prima del suo insediamento – magari da una maggioranza diversa da quella che lo sostiene – potrebbe impedirne di fatto l’applicazione.

Il governo, infatti, fa le cose che abbiamo ricordato prima dell’approvazione delle leggi, ma poi deve farne altre dopo: tra queste, cose essenziali come trovare i soldi per le riforme o stendere i regolamenti attuativi o esecutivi. È proprio per questo suo ruolo essenziale e questa sua capacità di bloccare – di fatto – norme già approvate dal Parlamento che, quando cambia il governo dopo un’elezione, spesso le riforme avviate da un’altra maggioranza non vengono portate a compimento (cosa successa diverse volte negli ultimi anni).

Quindi la questione, in realtà, è semplice: se anche si arrivasse all’approvazione di alcune leggi senza il governo, e quindi il Parlamento esercitasse il suo potere legislativo, ci vuole un potere esecutivo perché queste vengano messe in pratica. Questo equilibrio tra i poteri è stato messo in discussione, nella pratica, da alcuni governi della storia italiana e da ultimo dai governi Berlusconi, che ha usato molto spesso lo strumento dei decreti-legge per governare, limitando il Parlamento alla ratifica del già deciso (vista anche la larga maggioranza del centrodestra). In realtà il modo di operare del governo Monti non è stato molto diverso, anche se nelle condizioni parzialmente diverse del tempo di crisi: questo infatti ha emanato molte delle sue riforme con il carattere di “urgenza” e quindi sotto forma di decreti-legge.

Il tutto è ulteriormente complicato dal fatto che Napolitano è in scadenza di mandato e non può sciogliere le camere, dando quindi nel brevissimo termine la prospettiva di nuove elezioni. Ma la scelta del prossimo presidente della Repubblica è ormai piuttosto vicina – si comincia a votare il 15 aprile – e il prossimo presidente della Repubblica potrà/dovrà sciogliere le camere, se non si riuscirà a formare un governo che abbia il sostegno di questo Parlamento.

Foto: Mauro Scrobogna /LaPresse