Mark Zuckerberg fonderà un comitato politico?
Lo scrive il Wall Street Journal, secondo cui si occuperebbe soprattutto di sostenere la riforma dell'immigrazione
Secondo il Wall Street Journal e altre testate statunitensi il fondatore e amministratore delegato di Facebook, Mark Zuckerberg, sta organizzando un comitato politico formato da personalità importanti del settore tecnologico, più alcuni importanti avvocati, per fare pressione sulla politica in particolare riguardo questioni collegate all’immigrazione e all’istruzione. Insieme a Zuckerberg starebbe lavorando al progetto anche Joe Green, uno dei suoi colleghi di università ad Harvard: l’annuncio ufficiale dovrebbe arrivare tra qualche settimana e il progetto non ha ancora un nome ufficiale.
Uno dei primi obiettivi del movimento, scrive il Wall Street Journal, sarà raccogliere 50 milioni di dollari: Zuckerberg ha già versato alcuni milioni di tasca sua, a cui si dovrebbero aggiungere quelli di altri dirigenti di importanti aziende del settore tecnologico, tra cui Reid Hoffman, il fondatore di LinkedIn. Dovrebbero far parte del gruppo anche alcuni consulenti importanti, alcuni con alle spalle esperienze politiche: tra questi si fa il nome di Rob Jesmer, ex direttore esecutivo del comitato politico dei repubblicani al Senato. Del gruppo dovrebbe far parte anche Joe Lockhart, ex vice presidente della comunicazione di Facebook ed ex addetto stampa dell’amministrazione Clinton.
Il Wall Street Journal spiega che il movimento dovrebbe registrarsi come “gruppo sociale”, classificato con la sigla “501 (c) (4)“. Si tratta di organizzazioni lobbistiche senza scopo di lucro che possono fare pressione per l’approvazione di alcune leggi, partecipare a campagne politiche e alle elezioni, con l’unico scopo di promuovere il benessere sociale. Per la maggior parte delle loro attività, questo tipo di organizzazioni beneficiano di esenzioni fiscali, mentre sulle singole donazioni e sulle quote spese per le attività politiche sono previste delle imposte. Inoltre, le organizzazioni “501 (c) (4)” non devono rispettare l’obbligo di rendere pubblico l’elenco dei donatori.
Mark Zuckerberg ha già partecipato a iniziative politiche. A febbraio ha ospitato una raccolta fondi nella sua casa a Palo Alto, in California, a sostegno del governatore del New Jersey – Chris Christie, un repubblicano molto centrista e moderato – e nel 2011 ha contribuito con 10mila dollari alla formazione di una commissione politica durante le ultime elezioni dal nome FB PAC, con la quale rappresentare gli interessi della società e dei propri dipendenti e con cui appoggiare determinati candidati politici: per le sue attività di lobbing, Facebook ha speso nel 2011 550mila dollari. Nel 2011 Zuckerberg aveva ospitato il presidente Barack Obama nella sede di Facebook. Anche altri dirigenti della società, tra cui il direttore generale organizzativo, Sherly Sandberg, e il co-fondatore, Chris Hughes, hanno avuto in passato ruoli importanti in alcune campagne politiche a sostegno dei democratici.
La questione dell’immigrazione è da tempo dibattuta tra alcuni dei più importanti amministratori delle aziende del settore tecnologico, tra cui il presidente di Google, Eric Schmidt, per alcuni aspetti collegati alle restrizioni che riguardano i visti per imprenditori e professionisti: molti hanno appoggiato un provvedimento in discussione al Congresso in materia, lo Startup Act 2.0, che prevede la creazione di un particolare tipo di visto da dare agli imprenditori nati all’estero che riescono a raccogliere capitali per 100mila dollari e vogliono assumere lavoratori statunitensi. Inoltre, a questi imprenditori interessa ottenere agevolazioni per assumere personale altamente qualificato non statunitense: all’inizio di marzo Zuckerberg, Schmidt, Paul Otellini, amministratore delegato di Intel, Marissa Mayer, amministratore delegato di Yahoo, tra gli altri, hanno inviato una lettera a Obama proprio per sottolineare questa questione.
Il movimento politico promosso da Zuckerberg dovrebbe quindi appoggiare alcuni dei provvedimenti in discussione al Congresso, tra cui l’Immigration Innovation Act, il progetto di riforma dell’immigrazione elaborato all’inizio dell’anno da un gruppo di senatori repubblicani e democratici, sostenuto anche dal presidente Obama: in un discorso tenuto a Las Vegas il 29 gennaio, Obama aveva detto che era necessario ripensare profondamente l’attuale sistema.
Il progetto di legge prevede al momento che gli immigrati senza documenti regolari possano rimanere a vivere e lavorare negli Stati Uniti, a patto che paghino le imposte e che si sottopongano a una serie di controlli burocratici. In un secondo momento questi potrebbero fare richiesta per ottenere la residenza, con modalità simili a quelle che deve rispettare chi ha un regolare permesso di soggiorno. Si tratta comunque di un percorso parlamentare difficile: in Senato i democratici potrebbero riuscire a far passare il provvedimento con poche difficoltà, mentre alla Camera potrebbe essere più complicato, in assenza di un solido sostegno dei repubblicani. Obama ha detto che pensa che la proposta sarà approvata definitivamente entro l’autunno del 2013.
Foto: Mark Zuckerberg (Josh Edelson/AFP/Getty Images)