I 75 anni di Tenco
Era nato il 21 marzo 1938, fece canzoni meravigliose, morì tra mille misteri e un leggendario biglietto
di Francesco Caldarola
Se un giorno di gennaio del 1967, dopo che la giuria ne aveva appena deciso l’eliminazione dal Festival di Sanremo, non fosse rientrato nella sua camera d’albergo, non avesse scritto un biglietto e soprattutto se non si fosse sparato un colpo di pistola, oggi Luigi Tenco compirebbe 75 anni.
Tenco faceva il cantautore, l’attore e il compositore: viene genericamente indicato come esponente della cosiddetta “scuola genovese”, anche se in realtà era nato a Cassine, in provincia di Alessandria. Se è vero che l’infanzia segna le persone, quella di Tenco non lasciava preludere al meglio: nacque infatti dalla relazione extraconiugale della madre con il figlio sedicenne della ricca famiglia torinese dove lavorava come cameriera. Lei dovette tornare in provincia di Alessandria, dove era nata, e Luigi prese il cognome del marito di sua madre, morto qualche mese prima.
Poi si trasferirono a Genova e lui cominciò quindicenne a suonare in gruppi jazz insieme ad altri musicisti: tra i quali Bruno Lauzi, che era suo compagno di banco al liceo, e Gino Paoli. Poi, alla fine degli anni cinquanta, si spostò a Milano, vivendo il periodo migliore della musica cantautoriale dell’epoca attorno all’etichetta Ricordi: e abitando alla “Pensione del Corso” in Galleria del Corso 1, dove stavano anche Gino Paoli, Sergio Endrigo, Franco Franchi, Bruno Lauzi e Piero Ciampi, con cui Tenco era molto amico.
Furono anni intensi in cui si incidevano dischi in rapida successione, i musicisti collaboravano tra loro, e anche Tenco cantava e suonava come semplice session man con molti colleghi, tra cui Ornella Vanoni, e in gruppi dalla vita breve o brevissima, come “i Cavalieri” dove suonavano anche Giampiero Reverberi ed Enzo Jannacci.
Tenco era bello, cupo, già allora un po’ tormentato, talentuoso: diventò ben presto un personaggio. Dopo i tour con Celentano e Gaber, nel 1962 Luciano Salce lo chiamò a recitare nel film drammatico “La cuccagna”, dove tra l’altro cantava un brano del suo amico De Andrè, “La Ballata dell’eroe”. E nello stesso anno uscì il suo primo 33 giri, che contiene successi come “Mi sono innamorato di te” ma anche “Cara maestra”, che contestava scuola, chiesa e politica, e che gli costò l’allontanamento dalla Rai per due anni.
Lo invitarono a recitare in altri film di successo, cambiò casa discografica e arrivò alla celebre RCA, scrivendo canzoni di successo come “Un giorno dopo l’altro”, che fu la sigla dello sceneggiato “Il Commissario Maigret”, e “Lontano, Lontano”. E fu lui a tradurre in italiano, insieme a Sergio Bardotti, quella che poi divenne “Yeeeeeeh!” dei Primitives di Mal. Anche la sua vita privata era intensa: con amicizie forti (come quella con Riccardo Mannerini, il poeta anarchico che influenzò molto anche Fabrizio De Andrè), e litigi (con Paoli per via della sua relazione con la diciassettenne Stefania Sandrelli). E soprattutto conobbe Dalida, la cantante francese di origini italiane che all’epoca era famosissima. Milioni di dischi venduti, fascino, grande popolarità, Dalida e Tenco furono la coppia da rotocalco, la bella e il tenebroso, e come tali si presentarono al Festival del 1967, con “Ciao Amore Ciao”. Lui non aveva ancora compiuto 29 anni.
Ma la concorrenza era forte: alla fine vinsero Claudio Villa e Iva Zanicchi, ma in gara c’erano anche “Bisogna saper perdere” di Dalla, “Cuore matto” di Little Tony, “Pietre” di Antoine, “La musica è finita” di Ornella Vanoni e “Io tu e le rose” di Orietta Berti. Il pubblico non apprezzò il brano struggente di Tenco e Dalida, e soprattutto sembrò non comprenderlo nemmeno la giuria: dodicesima in classifica e quindi esclusa dalla finale, la canzone non rientrò nemmeno col ripescaggio, e le venne preferita “La rivoluzione” di Gianni Pettenati.
Tenco non la prese bene. Tornò in albergo, all’Hotel Savoy, nella camera 219. Lo trovarono ucciso da un colpo di pistola. La storia ebbe poi molte versioni e ipotesi: c’è addirittura chi sostenne che l’avesse ucciso Dalida, o chi si convinse di una “pista argentina” immaginando complotti internazionali. La morte di Tenco travolse la curiosa e impreparata società dell’epoca, con dettagli anche inquietanti (ad esempio non è mai stato ritrovato il proiettile che lo uccise). La rete è tuttora piena di appelli, congetture, interpretazioni, ricostruzioni, e negli anni se ne sono occupate anche trasmissioni tv come Telefono Giallo di Corrado Augias e La Storia siamo noi di Giovanni Minoli.
Di certo c’è solo il biglietto (considerato autentico) lasciato da Tenco: “Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’ altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda “Io te e le rose” in finale e una commissione che seleziona “La rivoluzione”. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao Luigi”. Sono invece da allora molte le versioni su chi trovò il cadavere per primo, dove fosse la pistola, e altri dettagli importanti. Nel 2005, a 38 anni dai fatti, la procura di Sanremo dispose la riesumazione della salma per confermare, dopo nuovi esami che durarono un anno, che Tenco si fosse ucciso.
Nel 1972 fu creato il Club Tenco e nel 1974 il Premio Tenco, che si è celebrato per molti anni al Teatro Ariston aprendosi in ogni edizione con un artista diverso chiamato a interpretare una propria versione di “Lontano Lontano”. Il ricordo più poetico di Tenco resta quello di “Preghiera di gennaio”, scritto da Fabrizio De André:
Signori benpensanti, spero non vi dispiaccia
se in cielo, in mezzo ai Santi, Dio, fra le sue braccia
soffocherà il singhiozzo di quelle labbra smorte
che all’odio e all’ignoranza preferirono la morte.