Intanto in Bahrein
Le proteste continuano, anche se ne parla pochissimo: le foto di ieri tra auto bruciate, barricate per le strade e maschere di Guy Fawkes
Il Bahrein è oggi l’unico paese, insieme alla Siria, in cui la cosiddetta “primavera araba” iniziata nei primi mesi del 2011 non è ancora terminata. Giovedì 14 marzo sono state organizzate alcune proteste in occasione del secondo anniversario dell’entrata nel paese di 1.500 soldati dell’esercito saudita, voluta dal re bahreinita Hamad bin Isa Al Khalifa per aiutare le forze di sicurezza locali a opporsi ai manifestanti: gli scontri tra oppositori e polizia hanno causato diversi feriti da entrambe le parti.
In Bahrein a protestare è soprattutto la comunità sciita. Gli sciiti costituiscono circa il 70 per cento della popolazione totale di 1,2 milioni di abitanti e sono stati ripetutamente discriminati dal regime sunnita al potere, a livello politico e sociale. Secondo l’associazione islamista Wefaq, il più grande gruppo di opposizione del Bahrein, negli scontri di giovedì la polizia ha usato proiettili veri e gas lacrimogeni contro i manifestanti “pacifici”, causando circa 35 feriti, tre dei quali sarebbero ora in condizioni gravi. Secondo la ricostruzione ufficiale del governo, invece, i manifestanti hanno attaccato la polizia con bombe molotov, spranghe di ferro e bombe artigianali, ferendo diversi poliziotti. I manifestanti avrebbero anche bruciato delle auto e creato delle barricate nelle strade con delle docce e dei pali della luce, circondate da chiodi sparsi e olio.
Il mese scorso le opposizioni del Bahrein e il governo avevano ripreso i negoziati per stabilire i termini della sospensione delle proteste e delle violenze: erano i primi tentativi di dialogo dal luglio 2011, ma da quel momento ben pochi risultati sono stati raggiunti. Il problema più grande è il sospetto da parte del Bahrein, ma anche di altri paesi tra cui l’Arabia Saudita, che le proteste degli sciiti contro l’attuale governo siano orchestrate dall’Iran, anch’esso paese sciita. Durante un incontro che si è tenuto mercoledì 13 marzo a Riyad, capitale saudita, i ministri degli Interni di molti paesi arabi della regione hanno accusato di nuovo il governo iraniano di fornire «aiuto logistico alle operazioni terroriste» in Bahrein.
Secondo molti osservatori, il timore che l’Iran potesse aiutare le opposizioni del Bahrein a destituire la famiglia regnante bahreinita al Khalifa era stata la ragione principale dell’entrata dell’esercito saudita in Bahrein nel 2011. L’azione dell’esercito saudita, che allora fu definita da molti come una “invasione” vera e propria, fu all’origine di grandi violenze e scontri, che portarono a una repressione molto dura delle proteste di piazza. Un documentario multipremiato prodotto dall’emittente del Qatar Al-Jazeera nel luglio 2012, “Bahrain: Shouting in the dark“, descrisse con ricchezza di particolari quello che stava succedendo in Bahrein in quei giorni.
Da allora le proteste non si sono mai fermate, anche se con un’intensità più bassa rispetto a quelle che hanno provocato molti cambi di regime in altri paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. Secondo Al Jazeera i morti dall’inizio delle proteste sarebbero 60, anche se la scarsa attenzione che la stampa internazionale ha riservato alle proteste del Bahrein rende molto difficile avere dati e numeri più precisi.