La Chiesa argentina e la dittatura
Una storia dolorosa e complicata, tornata d'attualità dopo l'elezione del Papa, a sua volta tirato in mezzo soprattutto da uno scrittore e attivista argentino
Poco dopo l’elezione di Jorge Mario Bergoglio a papa, mercoledì 13 marzo, sono cominciate a circolare notizie su un suo presunto coinvolgimento o persino complicità nei crimini della dittatura militare argentina, che durò dal 1976 al 1983. Un esempio è la foto che sembra ritrarre Bergoglio – ma non c’è modo di identificare realmente chi è ritratto – mentre amministra la comunione all’ex capo della giunta militare Jorge Rafael Videla, nel 1990 a Buenos Aires.
Proviamo a chiarire quello che si sa di Bergoglio in quegli anni. Un tema spinoso, che va inserito in quello più ampio degli atteggiamenti della Chiesa cattolica argentina durante gli anni della dittatura.
La dittatura argentina
Nel 1976, il presidente dell’Argentina era Isabel (per tutti Isabelita) Perón, ex ballerina e terza moglie di Juan Domingo Perón, il dominatore della politica argentina per tutto il secondo dopoguerra e la cui eredità, nel complesso fenomeno politico del peronismo, è molto viva ancora oggi. Isabelita era vicepresidente dell’Argentina alla morte del marito nel 1974, e gli succedette al potere. Era però una figura debole, secondo molti manovrata dal politico di estrema destra José López Rega, che era stato segretario personale di Perón e guidava una formazione paramilitare (la Tripla A) dedita all’eliminazione degli oppositori politici, comunisti e non.
Il 24 marzo del 1976 ci fu il colpo di stato – il sesto in Argentina negli ultimi cinquant’anni – e il potere venne preso da una giunta guidata da tre ufficiali delle forze armate: il generale Jorge Rafael Videla, l’ammiraglio Emilio Eduardo Massera e il brigadier generale Orlando Ramón Agosti. La giunta rimase al potere fino al 1983, quando il regime crollò per diversi motivi economici e sociali e, non da ultimo, per le conseguenze della disastrosa guerra delle Falkland contro il Regno Unito.
Parentesi. Per quanto riguarda la guerra nelle Falkland (o Malvinas, come le chiamano gli argentini) Bergoglio sta ricevendo molta attenzione per quello che disse durante una messa per il trentesimo anniversario della guerra, come riporta oggi la stampa britannica. Le parole dell’allora vescovo di Buenos Aires furono, secondo le ricostruzioni: «Siamo venuti a pregare per tutti coloro che sono caduti, figli della patria che sono andati a difendere la loro madre, la patria, e a reclamare ciò che è loro, della madrepatria, ed è stato usurpato».
Torniamo alla dittatura militare. La repressione degli oppositori in Argentina – la cosiddetta Guerra sucia, “Guerra sporca” – era cominciata già prima del golpe, ma fu durante quei sette anni che la pratica degli arresti illegali, delle sparizioni, delle torture e delle uccisioni arrivò al massimo dell’intensità e della brutalità. Si stima che il numero delle persone scomparse – studenti di sinistra, attivisti, sindacalisti, semplici cittadini – sia stato di diverse migliaia (le stime più ampie arrivano a 30 mila persone). Videla lasciò nel 1981 il comando della giunta, che passò a Roberto Viola e poi a Leopoldo Galtieri. Nei crimini della dittatura ci furono episodi di collaborazione con altri governi sudamericani, allora quasi tutti in mano a giunte militari, con un ruolo importante dei servizi segreti statunitensi (la cosiddetta Operazione Condor).
La Chiesa cattolica e la dittatura
I critici di Bergoglio dicono che non prese mai una posizione apertamente contraria alla dittatura argentina, né denunciò mai le violazioni dei diritti umani. Dal 1973 al 1979 l’attuale Papa fu il provinciale della Compagnia di Gesù, ovvero il capo dell’ordine religioso in Argentina. I gesuiti erano molto attivi in missioni nelle aree più povere del paese e in particolare nelle villas miserias dell’enorme area metropolitana di Buenos Aires, l’equivalente argentino delle più note favelas brasiliane. Erano anche gli anni della teologia della liberazione, cioè l’orientamento di alcuni teologi sudamericani che interpretarono il messaggio cristiano in chiave “rivoluzionaria”, con grande attenzione alla giustizia sociale e all’emancipazione dei più poveri.
Questo è un punto centrale: tra molti gesuiti la teologia della liberazione ebbe molta presa, ma la gerarchia ecclesiastica cattolica stroncò di fatto il movimento con un ruolo centrale, ai massimi livelli, di papa Giovanni Paolo II, eletto nel 1978, e dell’allora cardinale Joseph Ratzinger. Bergoglio faceva parte di quel settore dei gesuiti più conservatori e contribuì quindi in modo importante a limitare la diffusione della teologia della liberazione in Argentina. In generale, l’ordine dei gesuiti venne pesantemente ridimensionato durante quegli anni.
All’interno della Chiesa cattolica le posizioni erano diverse e distanti sia tra il clero che tra i fedeli. Due vescovi e molti sacerdoti vennero uccisi negli anni della dittatura. Tra questi Enrique Angelelli, vescovo della diocesi andina di La Rioja, ucciso brutalmente il 4 agosto 1976. Dall’altra parte, l’organizzazione rigidamente gerarchica della Chiesa cattolica – particolarmente forte in Argentina – fa sì che le prese di posizione delle massime autorità abbiano un peso decisivo. E quando si viene a questo, la Chiesa cattolica argentina non ci fa una bella figura.
La notte prima del colpo di stato Videla e Massera, due dei capi della futura giunta, si riunirono con la gerarchia ecclesiastica nella sede della Conferenza Episcopale Argentina a Buenos Aires; il giorno stesso, tutte e tre i capi militari del golpe ebbero un lungo colloquio con Adolfo Tortolo, arcivescovo di Paraná e presidente della Conferenza Episcopale, che era da tempo un grande amico di almeno due di loro. La dittatura, d’altra parte, si dichiarava spesso “cristiana” oltre che nazionalista, presentandosi come argine al comunismo “ateo”.
Tra i circa ottanta vescovi argentini ci furono alcuni che operarono attivamente per aiutare le famiglie dei desaparecidos, che in molti casi si rivolgevano al clero per sapere qualcosa dei loro familiari arrestati o rapiti. Solo tre presero pubblicamente le distanze dalla dittatura: Enrique Angelelli, che venne ucciso meno di cinque mesi dopo il golpe; Jaime de Nevares, vescovo di Neuquén, che diventò presidente onorario dell’Assemblea Permanente per i Diritti Umani; e infine Miguel Hesayne, vescovo di Viedma. Dall’altra parte, i più importanti vescovi argentini, come il già citato Tortolo, l’allora arcivescovo di Buenos Aires Juan Carlos Aramburu e Raúl Primatesta, arcivescovo di Córdoba, non si schierarono mai contro la dittatura, a cui anzi erano legati da rapporti di vicinanza e di amicizia personali.
In diverse occasioni, esponenti di primo piano del clero argentino negarono l’esistenza di crimini e di violazioni dei diritti umani in Argentina, descrivendo invece l’instaurazione della giunta militare come un’azione benvenuta per fermare il comunismo. Tra il clero cattolico ci furono casi di aperto sostegno ai militari, in particolare tra i cappellani dell’esercito: non solo per la loro supposta opera di difesa del cattolicesimo e del nazionalismo argentino, ma anche, nei casi più estremi, per l’uso della violenza.
Le dichiarazioni pubbliche che si avvicinarono di più a un appoggio esplicito della dittatura furono quelle di Tortolo, dell’arcivescovo di La Plata Antonio José Plaza e di monsignor Bonamín, il vescovo incaricato delle forze armate. Per fare un esempio del livello a cui potevano arrivare le dichiarazioni del clero più vicino al regime, Bonamín disse, in una cerimonia del 1981 in presenza di Videla: «i membri della giunta militare saranno glorificati dalle generazioni future».
Concludiamo con le posizioni ufficiali. Il primo documento della Conferenza Episcopale Argentina – di cui Bergoglio non faceva ancora parte – dopo il golpe è del maggio del 1976 ed è particolarmente ambiguo: si condannano gli omicidi e i sequestri ma si dice anche che
sarebbe facile peccare con un eccesso di buona volontà per quanto riguarda il bene comune, se si pretendesse che gli organismi di sicurezza agissero con purezza chimica, da tempo di pace, mentre ogni giorno scorre il sangue; se si regolassero i disordini la cui profondità tutti conosciamo senza accettare i tagli drastici che la situazione impone; oppure se si rifiutasse il sacrificio sugli altari del bene comune di quella quota di libertà che la situazione richiede; oppure se si pretendesse di impiantare soluzioni marxiste con pretese ragioni evangeliche.
Durante gli anni della dittatura, quindi, si procedette tra le coraggiose prese di posizioni di alcuni sacerdoti – la minoranza, che a volte pagava con la vita – e la maggioranza e i massimi vertici della Chiesa, che aiutavano in silenzio nel migliore dei casi ed erano apertamente conniventi con la dittatura nei peggiori. E più si sale nella gerarchia, più il rapporto con il potere era stretto.
Jorge Mario Bergoglio e la dittatura
Nel 1976, Bergoglio, allora quarantenne, non faceva parte della Conferenza Episcopale. Ne faceva parte invece nel 2000, come arcivescovo di Buenos Aires, una delle sedi più importanti dell’Argentina. Quell’anno, l’organismo dei vescovi argentini chiese scusa pubblicamente per quanto avvenuto durante la dittatura, dicendo «Vogliamo confessare davanti a Dio ogni cosa sbagliata da noi commessa». È opinione diffusa che, con la nomina ad arcivescovo di Buenos Aires di Bergoglio, si sia scelto un “moderato” lontano dagli eccessi nazionalisti e più reazionari che erano sempre stati presenti nel clero argentino. Ma quali sono le accuse contro Bergoglio, negli anni decisivi?
Chi chiama direttamente in causa Bergoglio per i crimini commessi negli anni della dittatura militare è soprattutto un giornalista, scrittore e attivista argentino di nome Horacio Verbitsky. Verbitsky, oggi 71enne, ha fatto parte dell’organizzazione armata dei Montoneros, oppositori della giunta militare negli anni Settanta, ma è diventato celebre soprattutto per la sua carriera di giornalista d’inchiesta (Verbitsky ha anche un blog sul Fatto Quotidiano).
In particolare, nel 1995 ha pubblicato un libro che è diventato un bestseller in Argentina e gli ha dato notorietà internazionale: Il volo, basato principalmente sulle confessioni di un ufficiale della marina di nome Adolfo Scilingo che raccontò i crimini e le torture dei militari nella grande caserma dell’ESMA (Escuela de Mecánica de la Armada, oggi un museo) a Buenos Aires. L’ESMA è oggi uno dei luoghi simbolo dei crimini della dittatura argentina.
Verbitsky discende da una famiglia ebraica e non ha mai nascosto la sua diffidenza ostile verso la parte più reazionaria della Chiesa cattolica argentina, diffidenza che è legata anche a diverse esperienze personali fin da ragazzo. Un suo libro che chiama in causa direttamente Bergoglio è stato pubblicato dieci anni dopo El vuelo, nel 2005, con un riferimento chiaro anche nel titolo: El silencio: de Paulo VI a Bergoglio: las relaciones secretas de la Iglesia con la ESMA (il libro è stato pubblicato in italiano da Fandango con il titolo L’isola del silenzio. Il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina). La tesi del libro è che la gerarchia ecclesiastica argentina ebbe un ruolo attivo di complicità e di supporto della dittatura, arrivando alla “giustificazione teologica” anche dei suoi aspetti più chiaramente criminali e repressivi.
L’episodio centrale su Bergoglio riguarda il rapimento di due sacerdoti appartenenti all’ordine dei gesuiti, Orlando Yorio e Francisco Jalics. Questi vennero rapiti nel maggio del 1976 da militari della marina argentina e rilasciati dopo sei mesi di torture nella famigerata caserma dell’ESMA di Buenos Aires. Secondo Horacio Verbitsky, l’allora capo dei gesuiti ritirò la sua protezione nei confronti dei due sacerdoti, dando in questo modo un assenso più o meno implicito al loro rapimento. Le accuse sono mosse da Verbitsky sulla base di alcune dichiarazioni di Jalics, che dopo il rilascio si spostò in un monastero tedesco.
Il primo punto problematico è che l’ordine di Bergoglio a Yorio e Jalics di abbandonare la loro missione nelle villas miserias è del febbraio del 1976, un mese prima del colpo di stato militare. Inoltre, quel “via libera” che sarebbe implicito nell’ordine non è supportato da nessun documento che testimoni di contatti diretti tra Bergoglio e i militari. Verbitsky riporta poi che, in gioventù, Bergoglio fece attività politica in un’organizzazione della destra peronista, la Guardia di Ferro (stesso nome di un’organizzazione fascista rumena). Un buon riassunto delle accuse contro Bergoglio contenute nel libro di Verbitsky, in ottica piuttosto “colpevolista”, si trova in questo articolo di Peace Reporter del maggio 2006.
Bergoglio ha fatto pochi riferimenti alle accuse contro di lui, negando sempre ogni comportamento scorretto e chiamando la ricostruzione di Verbitsky “calunnie”. Ha detto che, al contrario, negli anni della dittatura operò segretamente «fin dalla notte del rapimento» per ottenere il rilascio del due gesuiti dall’ESMA, così come di altri arrestati dai militari. In un libro autobiografico pubblicato nel 2010, El Jesuita, ha scritto: «Ho fatto quello che ho potuto con l’età che avevo [40-47 anni, NdR] e le poche relazioni con quelli che contavano, e ho supplicato per le persone sequestrate».
Riguardo ai crimini della dittatura ha detto che lui, come gran parte del clero argentino, venne a sapere «solo gradualmente» di quello che stava succedendo, ma che personalmente si impegnò in diversi casi per aiutare persone in pericolo. In un caso, dice, dette i suoi documenti ad un dissidente che gli somigliava in modo da permettergli di lasciare il paese. In una breve intervista con Repubblica, pubblicata oggi, Verbitsky ha detto che «non ci sono prove schiaccianti» contro Bergoglio, ma che ha potuto scrivere due libri raccogliendo «testimonianze dei padri gesuiti che narrano le ambiguità di quel periodo». Cinque testimonianze che chiamano in causa l’operato su Bergoglio sono state pubblicate nel 2010 in un articolo di Verbitsky sul quotidiano argentino Página 12.
Un articolo in chiave “innocentista” venne invece pubblicato nell’aprile del 2005 da Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, in occasione del Conclave che elesse Benedetto XVI. Allora, a differenza dell’ultimo Conclave, Bergoglio era in molte liste dei “papabili”. Scriveva Cazzullo:
Nella prova terribile della dittatura militare, Bergoglio si mosse per salvare preti e laici dai torturatori, ma non ebbe parole di condanna pubblica che del resto non sarebbero state possibili se non a prezzo della vita, e tenne a freno i confratelli che reclamavano il passaggio all’opposizione attiva. Due di loro lasciarono i gesuiti, e subito dopo furono prelevati dalla polizia politica. Un’infamia alimentata dai nemici di Bergoglio indicò in lui l’ispiratore del sequestro; era vero il contrario: il Provinciale andò di persona da Videla per chiedere la liberazione dei due religiosi, e agli atti della giunta militare risulta la richiesta di un passaporto per loro.
In difesa di Bergoglio, come riporta oggi l’edizione spagnola di BBC, si è espresso anche il premio Nobel per la pace 1980, attivista per i diritti umani e oppositore della dittatura argentino Adolfo Pérez Esquivel: «Ci furono vescovi che furono complici [dei militari], ma non Bergoglio», che, aggiunge Esquivel, «non aveva legami con la dittatura».
Per il caso dei due gesuiti arrestati, Bergoglio è stato interrogato come testimone per quattro ore nel palazzo dell’Arcivescovado nel novembre del 2010. Nel corso del 2011 sono arrivate sulla stampa le notizie che Bergoglio era stato chiamato a testimoniare in altri due processi, uno in Argentina e uno in Francia.
Il primo riguarda la sparizione di alcuni figli di desaparecidos, che in diversi casi, durante la dittatura, vennero tolti ai propri genitori e dati in adozione: una donna, Estela de la Cuadra, ha detto in tribunale di essersi rivolta a Bergoglio, allora superiore provinciale dei gesuiti, perché lo aiutasse nella ricerca di una nipote che era nata in un centro clandestino di detenzione. Secondo la testimonianza, il sacerdote gesuita avrebbe consegnato una lettera a monsignor Mario Picchi, vescovo ausiliario di La Plata (vicino a Buenos Aires) e poi capo della diocesi di Venado Tuerto, ma le ricerche non avevano avuto successo. Bergoglio non è dunque accusato di nulla, ma è chiamato in causa come testimone a conoscenza dei fatti.
Nel secondo processo, un tribunale di Parigi ha richiesto che Bergoglio sia sentito come testimone nel processo per l’uccisione del sacerdote di origini francesi Gabriel Longueville, sequestrato e ucciso nell’agosto 1976. Anche in questo caso, non ci sono accuse contro di lui: Bergoglio, secondo quanto hanno riportato i giornali argentini, deve però rispondere a «una serie di domande puntuali» della magistratura francese che indaga sul caso.
Foto: monsignor Agostino Casaroli, segretario di Stato vaticano tra il 1979 e il 1990, con Jorge Videla e altri capi di Stato durante la cerimonia di investitura di Giovanni Paolo I nella basilica di San Pietro. Città del Vaticano, 3 settembre 1978.
(-/AFP/Getty Images)