L’uomo che scrisse l’inno russo, tre volte
La storia di Sergej Michalkov, poeta per bambini del regime sovietico che oggi avrebbe cent'anni
Il 13 marzo 1913, cento anni fa, a Mosca, nacque in un’aristocratica famiglia Sergej Vladimirovič Michalkov: padre di due registi piuttosto conosciuti, Nikita Michalkov (Oci ciornie, Il sole ingannatore) e Andrei Konchalovsky (ha una lunga carriera alle spalle, il suo ultimo film è Lo schiaccianoci in 3D), ma soprattutto l’uomo che scrisse tre volte il testo dell’inno nazionale russo.
L’attuale inno nazionale russo, adottato a dicembre del 2000, ha la stessa melodia del celebre inno dell’Unione Sovietica, composto alla fine degli anni Trenta da Aleksandr Vasil’evič Aleksandrov. Qui c’è la partitura e qui il testo, con traslitterazione e traduzione. Ma la storia è molto, molto più complicata di così.
Prima di raccontarla, una premessa: Michalkov, che è morto nel 2009, in Russia è molto conosciuto soprattutto per l’altra sua carriera, quella di autore di versi e favole per bambini, famosissime da generazioni nel suo paese. Il suo personaggio più popolare è Zio Styopa (“zio Campanile”), un bonario e altissimo poliziotto (anche Michalkov era molto alto), protagonista di una serie di poesie/filastrocche che molti bambini russi hanno imparato a memoria a partire dagli anni Trenta.
Torniamo agli inni nazionali. Michalkov fu per molti anni uno dei poeti preferiti dal regime sovietico, resistendo ai cambiamenti di leader e adattandosi alle diverse personalità che dominarono la storia russa del Novecento. Nel 1935, a 22 anni, attirò l’attenzione di Stalin per una poesia che si intitolava Svetlana, il nome della figlia del dittatore (la stessa che fuggì negli Stati Uniti a metà anni Sessanta: un’altra storia notevole). Alla fine dei suoi studi Michalkov lavorò per breve tempo in fabbrica e poi entrò a far parte del giornale Izvestiya.
Nel 1939 Zio Styopa era già un grande successo: Michalkov ricevette l’Ordine di Lenin e il Premio Stalin. Quattro anni dopo, nel mezzo della Seconda guerra mondiale, partecipò al concorso voluto da Stalin per scegliere il testo del nuovo inno nazionale sovietico, insieme al poeta armeno Gabriel El-Registan. I concorrenti furono una sessantina: Stalin scelse personalmente il loro testo (facendo solo qualche correzione a matita) per sostituire l’Internazionale scelta da Lenin durante la rivoluzione russa, che però si adattava male al nuovo nazionalismo richiesto dalla guerra, oltre ad avere il difetto di essere stato composto da un francese.
Anche per la musica ci fu un concorso, a cui parteciparono decine di compositori (tra cui Šostakovič): lo spartito vincitore fu quello di Alexander Vasilevich Alexandrov, con un brano composto pochi anni prima e già adottato dal partito bolscevico. Il nuovo inno venne trasmesso per la prima volta per radio il primo gennaio 1944.
Il testo dell’inno del 1944 – tre strofe e un ritornello – conteneva un riferimento alla guerra in corso, nella terza strofa, e ampie lodi a Stalin, nella seconda:
Attraverso le tempeste il sole della libertà risplende su di noi;
il grande Lenin ha illuminato la strada
Stalin ci ha istruito nella fede nel popolo,
nel lavoro, e ci ha ispirato grandi imprese!
Da qui in poi la storia di Michalkov diventa quella di un poeta di regime – e uno dei più apprezzati, per giunta – con tutta la serie di episodi meno gradevoli che si accompagnano alla professione. Spesso i suoi versi venivano pubblicati sulla prima pagina della Pravda, il quotidiano del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, ed erano versi decisamente impegnati: la lode dei successi tecnologici sovietici o la derisione dei leader occidentali, quando non si trattava di partecipare alle violente campagne contro gli autori sgraditi al regime come Boris Pasternak, nel 1958, o Alexander Solženitsyn, qualche anno più tardi.
Michalkov divenne presidente dell’Unione degli Scrittori Sovietici, quella presa in giro nel Maestro e Margherita di Bulgakov. Dopo la morte di Stalin e la parziale destalinizzazione sotto Krusciov, le autorità sovietiche si trovavano davanti all’imbarazzante problema dell’inno nazionale che conteneva riferimenti al precedente dittatore: le cose vennero risolte facendo in modo che, a partire dal 1955 circa, l’inno venisse sempre eseguito senza il testo di Michalkov. Per circa vent’anni l’inno dell’Unione Sovietica venne suonato senza parole.
Nel 1977, l’anno in cui l’Unione Sovietica rinnovò la sua Costituzione – sostituendo quella staliniana del 1936 – Michalkov trovò la soluzione: riscrisse il testo dell’inno con qualche variazione, in primo luogo eliminando i riferimenti a Stalin (ma tenendo quelli a Lenin). Nel frattempo era riuscito a mantenere la sua popolarità, nell’era di Leonid Brežnev, con una serie di brevi cortometraggi satirici intitolati Fitil (“il fuso”), prodotti tra il 1962 e il 1993. Fitil era trasmessa nei cinema prima delle proiezioni e prendeva in giro alcuni aspetti della vita quotidiana nell’URSS: la satira era comunque all’interno dei limiti tollerati dalle autorità e nessun episodio della serie venne mai censurato.
Poi ci fu il crollo dell’Unione Sovietica e Eltsin si sbarazzò molto presto, tra le altre cose, anche del vecchio inno sovietico, sostituendolo “temporaneamente” con Patrioticheskaya Pesnya (“la canzone patriottica”): un brano strumentale degli anni Trenta dell’Ottocento, che fu suonato per otto anni senza parole. Negli anni confusi dopo il crollo dell’URSS, infatti, anche trovare il testo per l’inno fu molto problematico. Si stabilì una commissione, si indisse un concorso che ricevette oltre seimila proposte, che vennero ridotte a venti, fatte eseguire da un coro e registrate. La commissione concluse che nessuna era all’altezza di diventare il testo del nuovo inno. Alla fine, nel 1999, venne aggiunto alla Canzone patriottica un testo scritto dal poeta Viktor Radugin.
Il testo di Radugin, mai adottato ufficialmente, durò solo qualche mese, dato che la storia travagliata degli inni nazionali russi non era ancora finita. Dopo Eltsin venne Putin, funzionario del KGB di lunga data, che tra le molte azioni simboliche di ripresa del passato sovietico rispolverò la musica del vecchio inno sovietico – attirandosi una delle rarissime critiche pubbliche da parte di Eltsin – e indisse un nuovo concorso per le parole. Alla fine venne scelto di nuovo Sergej Mikhalkov, allora ottantasettenne.
Michalkov colse ancora una volta lo spirito del tempo. Nel nuovo testo, a sessant’anni di distanza dal primo, la Russia diventa “lo stato benedetto” e “la nostra cara patria conservata da Dio”. I riferimenti alla religione possono suonare strani, per uno dei cantori dell’ateismo di Stato, ma nel 2000 – l’anno in cui, a dicembre, debuttò il nuovo inno – Michalkov dichiarò in un’intervista di essere sempre stato credente. Nel 2005 Vladimir Putin insignì Michalkov dell’Ordine di Sant’Andrea, la più alta onorificenza della Federazione Russa. Michalkov è morto il 27 agosto del 2009, a 96 anni, a Mosca.
– Il più bell’inno nazionale del mondo, di Luca Sofri
Foto: -/AFP/Getty Images