Il referendum delle Falkland
Domenica e lunedì si vota per decidere se mantenere lo stato di territorio di oltremare del Regno Unito: il "sì" è praticamente scontato
Oggi e domani, nelle isole Falkland (o Malvinas, per gli argentini) 1.650 cittadini aventi diritto di voto potranno rispondere con un sì o con un no alla domanda di un referendum sul rimanere un territorio d’oltremare del Regno Unito (British Overseas Territory). Molto probabilmente, scrive il Telegraph, vinceranno i sì, ma molti, soprattutto in Argentina, osserveranno se dal voto verrà fuori una piccola crepa nella fedeltà degli isolani nei confronti della (attuale) madrepatria.
Il 2 aprile 2013 sarà il trentunesimo anniversario dell’attacco da parte dell’Argentina alle isole Falkland, che si trovano circa 500 km al largo delle coste della Patagonia: nel 1982, l’allora governo militare del paese sudamericano cercò di riconquistarle dal dominio britannico, che vige ufficialmente dal 1833. La guerra durò poco più di due mesi e fu vinta dal Regno Unito. Ancora oggi, i due paesi continuano a litigare periodicamente per la sovranità sulle isole.
Durante una sessione parlamentare del 18 gennaio 2012, il primo ministro britannico David Cameron accusò il governo argentino di «colonialismo», sostenendo che «gli abitanti delle Malvinas vogliono continuare a essere britannici, mentre gli argentini spingono in senso contrario». Il governo delle Falkland è una forma di democrazia in gran parte autonoma, che delega al governo di Londra pochi aspetti come la politica estera e la difesa.
Il voto sarà monitorato da una serie di ispettori internazionali, provenienti da Messico, Cile, Paraguay e Uruguay, che affiancheranno l’organizzazione canadese che sarà addetta al controllo elettorale. L’idea di istituire un referendum è nata da una situazione curiosa che ha per protagonisti due membri dell’Assemblea Nazionale delle Falkland: durante una pausa dei lavori, Gavin Shaw e Dick Sawle proposero l’idea del referendum ad alcuni colleghi. La maggior parte di loro però non ne fu molto convinta. La questione finì comunque al centro del dibattito politico locale e internazionale, e anche il governo argentino fece pressione per il suo svolgimento.
Il testo del quesito è: “Volete che le Isole Falkland mantengano il proprio status di Territorio d’Oltremare del Regno Unito?”. Il risultato appare scontato, nel senso che saranno pochi i cittadini delle Falkland che vorranno separarsi dall’attuale forma di governo. L’organizzazione del referendum avrà il costo di circa 75 mila sterline (86 mila euro). La popolazione delle Falkland è formata da 2.563 persone, ma soltanto 1.973 hanno lo status di “isolano”. Il referendum, infatti, esclude tutti quelli che non hanno passaporto britannico e che non vivono sull’isola da almeno sette anni.
Il referendum è stato sostenuto anche da David Cameron, che non è riuscito però a ottenere l’appoggio esplicito degli Stati Uniti: durante la sua visita a Londra, John Kerry, il segretario di stato statunitense, ha confermato la posizione storica del governo americano, che riconosce il controllo britannico delle isole, senza prendere posizione sulla questione delle sovranità tra le parti. In realtà, sostiene il Telegraph, il referendum rappresenta per il governo degli Stati Uniti una fonte d’imbarazzo, mentre da parte sua il governo britannico lo vorrebbe sfruttare per convincere gli Stati Uniti a schierarsi ufficialmente: da una parte, infatti, gli Stati Uniti continuano a sostenere il principio dell’autodeterminazione dei cittadini delle Falkland, dall’altra però non vorrebbero incrinare i propri rapporti con il secondo più grande paese dell’America del Sud.
La questione della “sovranità” è proprio quella su cui il governo argentino si è battuto di più negli anni, accusando gli abitanti di essere stati trapiantati nelle isole appartenenti a un altro paese. Inoltre, il governo argentino sostiene che alcune risoluzioni delle Nazioni Unite obbligherebbero il Regno Unito a risolvere questo tipo di problemi in modo bilaterale, con un accordo tra i due paesi. Oltre all’esito del voto, saranno molti gli aspetti a cui a livello internazionale si farà attenzione: per esempio l’affluenza. Se sarà bassa, molti potrebbero interpretarla come un segnale negativo: gli elettori registrati al voto sono 1.650 e sono stati organizzati diversi mezzi di trasporto per permettere a tutti di raggiungere i posti in cui si vota, soprattutto per quelli che vivono nelle isole più lontane.
Un altro referendum per decidere sullo status politico delle Falkland c’è stato anche il 2 aprile 1986: il 96 per cento degli aventi diritto votò a favore del mantenimento del rapporto tuttora vigente di dipendenza con il Regno Unito e la partecipazione fu molto vasta, dell’88 per cento. Si trattava di un referendum diverso da quello in programma per oggi e domani: si svolse tramite dei questionari inviati alle persone che si erano registrate e si poteva scegliere tra diverse opzioni, compresa la sovranità argentina, che ottenne soltanto 3 voti.
A livello politico locale si è iniziato a discutere anche di una ipotetica indipendenza delle isole dal Regno Unito, anche se alla fine è sempre prevalsa una logica pragmatica: le Falkland sono protette militarmente dal Regno Unito, ma i suoi abitanti non pagano le tasse britanniche. Anche in questo caso, sono comunque pochi quelli che vorrebbero davvero l’indipendenza.
Foto: AP Photo/Lefteris Pitarakis