Linguaggi logori, pigrizie professionali
Il rifiuto di Beppe Grillo di avere a che fare con i giornali e le televisioni è anche un effetto della loro crisi di credibilità, scrive Michele Serra
La vittoria del Movimento 5 Stelle alle elezioni e la sua contestazione nei confronti del sistema italiano dell’informazione ha generato negli ultimi giorni delle comprensibili reazioni di egual disprezzo da parte di molti giornalisti, ma anche una prima riflessione critica e autocritica sullo scadimento di qualità dell’informazione e della sua capacità di raccontare e capire. Oggi ne scrive in prima pagina su Repubblica Michele Serra, spiegando come il problema non siano le povere analisi di Beppe Grillo sui giornalisti:
A ciascuno il suo: così come “ai politici”, anche “ai giornalisti” viene richiesta una riflessione profonda, se è vero, come è vero, che ci siamo ritrovati più o meno tutti dentro uno scenario imprevisto, pur essendo deputati per mestiere, noi per primi, a prevederlo. Grillo, che spesso è sopraffatto dalle proprie idee, traduce questa crisi profonda della rappresentazione mediatica nella questione, piuttosto meschina, del “chi ti paga” (in questo, è l’autoparodia del ligure diffidente). Non si rende conto di essere molto riduttivo.
La crisi è molto di più. È il frutto di linguaggi logori, categorie di giudizio consumate, pigrizie professionali. Un solo esempio: da quanti anni diciamo, noi dei giornali, che le schermaglie politiche romane, le cronache del sottobosco partitico, il gergo interno dei palazzi, non rappresentano più nessuno se non gli attori di quella commediola senza pubblico? E da quanti anni, noi dei giornali (per non dire dei telegiornali) continuiamo a dare spazio a quelle parole vuote e a quelle persone in buona parte poco significanti e poco rappresentative?
(leggi per intero sulla rassegna stampa della Camera)
Foto: PHILIPPE LOPEZ/AFP/Getty Images